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Perché il passaggio dell’Europa alle rinnovabili potrebbe dipendere dalle materie prime della Cina

In risposta alla crescente pressione per ridurre la dipendenza dalla Cina e diventare competitivi nel mercato globale dell’energia pulita, gli Stati Uniti e l’Europa hanno elaborato nuove strategie audaci per proteggere i loro mercati dalle importazioni cinesi più economiche
Dopo decenni di globalizzazione e di politiche energetiche orientate al libero scambio, l’Occidente si sta sforzando di separarsi dai mercati energetici orientali. L’impulso alla frattura del mercato è arrivato all’inizio dello scorso anno, quando la Russia ha invaso l’Ucraina, dando il via ad una guerra energetica totale con l’Europa. La crisi energetica globale che ne è seguita è stata un campanello d’allarme per l’Occidente, che si è accorto di essere diventato dipendente da pochi flussi di produzione energetica, molti dei quali sono guidati da governi instabili e autoritari. Una condizione che rappresenta un disastro in termini di sicurezza energetica.

Nell’anno e mezzo successivo all’invasione, l’Unione europea ha adottato delle misure dolorose per liberarsi dalle importazioni di petrolio e gas russo. Nel 2021 i Paesi Ue hanno acquistato ben il 45% delle loro importazioni totali di gas naturale – circa 155 miliardi di metri cubi – dalla sola Russia. Oggi invece, con un’incredibile inversione di rotta, l’Ue è sulla buona strada per raggiungere il suo obiettivo di porre fine alla dipendenza dai combustibili fossili russi entro la fine di questo decennio, come ha dichiarato la Commissione Europea ad inizio novembre.

LA DIPENDENZA DELL’EUROPA: DALLA RUSSIA ALLA CINA

Ora che la Russia è stata sistemata – scrive Haley Zaremba su Oilprice -, l’Occidente punta alla Cina. Mentre l’Europa è riuscita a liberarsi dai combustibili fossili russi in parte costruendo il proprio settore delle energie rinnovabili ad un ritmo vertiginoso, questa svolta ha spinto l’Ue in una dipendenza da Pechino. Ormai da anni, infatti, la Cina domina le catene globali di approvvigionamento di energia pulita, con una partecipazione quasi monopolistica nei componenti essenziali, che vanno dai pannelli solari fotovoltaici alle batterie agli ioni di litio.

In risposta alla crescente pressione per ridurre la dipendenza dalla Cina e diventare competitivi nel mercato globale dell’energia pulita, gli Stati Uniti e l’Europa hanno elaborato nuove strategie audaci per proteggere i loro mercati dalle importazioni cinesi più economiche. Negli Stati Uniti, l’Inflation Reduction Act (IRA) ha dato un forte sostegno alle infrastrutture per l’energia pulita di fabbricazione americana, e le nuove linee guida del Tesoro americano limitano i crediti d’imposta sull’energia pulita agli sviluppatori solari con sede negli USA che producono le loro celle fotovoltaiche a livello nazionale.

L’Europa, considerando questa misura come un attacco protezionistico non solo alla Cina, ma a sé stessa, ha risposto con un nuovo fondo di sovranità europeo “in risposta al controverso Inflation Reduction Act degli Stati Uniti e ai sussidi verdi ‘ingiusti’ della Cina”, secondo quanto riportato dal Guardian ad inizio anno. I sussidi cinesi “sono stati per lungo tempo il doppio di quelli dell’Unione europea, in rapporto al PIL”, ha riferito il Guardian citando una copia trapelata del “piano industriale Green Deal” della Commissione europea. “L’Europa e i suoi partner devono fare di più per combattere gli effetti di questi sussidi ingiusti e delle distorsioni prolungate del mercato”.

LA QUESTIONE DEI SUSSIDI GOVERNATIVI IN CINA

Ci però sono due problemi che minano l’accusa popolare secondo cui i pannelli solari economici cinesi sono in grado di competere con il resto del mercato globale grazie ai massicci sussidi governativi: in primo luogo, non c’è alcuna prova dell’esistenza di questi sussidi; poi, questi “sussidi fantasma” sono stati utilizzati per sostenere quelli reali in Occidente, che in realtà sono basati sul tipo di politica protezionistica di cui la Cina è accusata. “Il basso costo della tecnologia verde prodotta in Cina non è dovuto a qualcosa che l’Organizzazione Mondiale del Commercio considererebbe un sussidio”, ha scritto David Fickling per Bloomberg, aggiungendo che “è in gran parte il risultato del fatto che le vaste dimensioni del Paese, insieme agli obiettivi ambientali che le regole dell’OMC sono state scritte per proteggere, incoraggiano i produttori ad investire su una scala che fa vergognare il resto del mondo”.

GLI USA E LA PROPOSTA SUL COMMERCIO DI LIBERO MERCATO

E sono proprio queste politiche di libero mercato che la nuova inclinazione protezionistica della politica commerciale occidentale cerca improvvisamente di minare. “Delimitare le sfere di influenza e valutare l’affidabilità di fornitori e Paesi è all’ordine del giorno”, si legge in una recente analisi della Stiftung Wissenschaft und Politik, l’Istituto tedesco per gli affari internazionali e di sicurezza. Il segretario al Tesoro degli Stati Uniti, Janet Yellen, ha chiesto il passaggio dal commercio di libero mercato al “friendshoring”, un sistema in cui i Paesi spostano le catene di approvvigionamento verso “Paesi fidati”, cioè con valori e affiliazioni politiche simili. In altre parole, lontano da Russia e Cina.

Anche lo Strategic Foresight Report 2022 della Commissione europea ha richiesto una simile riconfigurazione delle reti commerciali. Le mosse sono chiaramente reazionarie e, in definitiva, basate su una storia d’origine falsificata di un’iniziale trasgressione commerciale cinese, che non è mai avvenuta. Per molti economisti e sostenitori del libero scambio si tratta di uno sviluppo estremamente preoccupante.

Se diversificare i mercati e ridurre la dipendenza da un unico soggetto produttore di energia pulita è ovviamente essenziale per la sicurezza energetica globale, tagliare le importazioni cinesi da un giorno all’altro non solo è impossibile, ma sarebbe anche un disastro economico e climatico. La realtà è che gli obiettivi climatici non possono essere raggiunti senza i pannelli solari cinesi a basso costo e senza le terre rare, e anche la transizione verso la produzione di energia pulita basata sull’home-shoring dipenderà dal sostegno dei mercati cinesi. Raggiungere gli obiettivi globali della decarbonizzazione richiede dei livelli di cooperazione internazionale senza precedenti, e le strategie energetiche in silos potrebbero rappresentare un passo pericoloso nella direzione sbagliata.

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