Secondo l’analista Ron Bousso, se i governi europei vogliono che i cittadini abbiano energia verde a basso costo, dovranno accettare il fatto che ottenerla sarà più costoso e più guidato dal governo di quanto precedentemente pubblicizzato
L’ambizione dell’Europa di sviluppare un’energia pulita ed economica, attraverso il Green Deal dell’Unione europea, di recente si è scontrata con la realtà, poiché alcuni blackout e una serie di progetti di energie rinnovabili annullati hanno reso evidente che la strada verso un’energia a basso costo avrà un prezzo molto elevato.
Come ricorda l’analista Ron Bousso sul sito Reuters, gli investimenti europei nelle energie rinnovabili sono aumentati notevolmente nell’ultimo decennio, con l’avvio da parte dei governi di politiche volte a ridurre le emissioni di gas serra – uno sforzo che ha subito un’accelerazione dopo che l’invasione russa dell’Ucraina ha creato uno shock nei prezzi dell’energia.
ENERGIE RINNOVABILI E RETI ELETTRICHE
La quota di energie rinnovabili nel settore energetico dell’Unione europea lo scorso anno è salita al 47% dal 34% del 2019, con una capacità record di 168 GW di energia solare e 44 GW di energia eolica installata solo tra il 2022 e il 2024. In Gran Bretagna, nel 2024 la produzione di energia rinnovabile per la prima volta ha superato il 50%.
Tuttavia, gli investimenti nelle infrastrutture di rete – inclusi tralicci, cavi, trasformatori e tecnologie di accumulo a batteria – sono riusciti a malapena a tenere il passo con il rapido cambiamento del mix di produzione di energia. Secondo un rapporto della Commissione europea, entro il 2030 tra il 40% e il 55% delle linee a bassa tensione avrà più di 40 anni, mentre la loro lunghezza, tra il 2021 e il 2022, è aumentata solo dello 0,8%.
LE LINEE GUIDA UE PER LO SVILUPPO DELLE RETI ELETTRICHE
La scorsa settimana la Commissione europea ha pubblicato delle linee guida per lo sviluppo delle reti elettriche, in cui stima che l’Ue entro il 2040 richiederà 730 miliardi di euro di investimenti nella distribuzione di energia e altri 477 miliardi di euro nello sviluppo della rete di trasmissione. La carenza di investimenti nelle infrastrutture di rete ha creato problemi in molti sistemi, un rischio che è stato messo a nudo il 28 aprile scorso, con il catastrofico blackout nella Penisola Iberica.
Per superare questa sfida, gli operatori dovranno investire in tecnologie come condensatori sincroni o batterie che si attivano entro pochi millisecondi in caso di interruzione per offrire un backup. Il blackout iberico mette in luce la necessità di maggiori investimenti negli elementi “banali” – ma vitali – delle infrastrutture di rete.
GLI INVESTIMENTI NELLE INFRASTRUTTURE
La sfida non riguarda solo l’Europa. Sebbene gli investimenti globali nelle tecnologie pulite siano aumentati, i dati principali mascherano un quadro meno roseo. L’Agenzia Internazionale per l’Energia, in un rapporto pubblicato il 5 giugno, afferma che gli investimenti globali nelle reti elettriche nel 2024 hanno raggiunto la cifra record di 390 miliardi di dollari, e sono destinati a superare i 400 miliardi di dollari nel 2025, il 20% in più rispetto a dieci anni fa.
Tuttavia, la spesa per l’ammodernamento delle reti elettriche non ha tenuto il passo: nel 2016, per ogni dollaro speso per nuova capacità di generazione, circa 60 centesimi sono stati investiti nelle reti; questo rapporto è sceso a meno di 40 centesimi, con la diminuzione dei costi delle energie rinnovabili.
Si tratta di uno squilibrio è insostenibile, poiché i sistemi energetici occidentali obsoleti, soprattutto quelli europei, andranno incontro a crescenti problemi, se non verranno spesi migliaia di miliardi di dollari per l’ammodernamento delle reti.
I costi a lungo termine dell’inazione per mitigare i cambiamenti climatici saranno molto più elevati e l’Unione europea sta già spendendo oltre 100 miliardi di euro all’anno in sussidi ai combustibili fossili. Tuttavia, la visione a lungo termine non è facile da vendere per i politici, in un periodo di crescente populismo, nazionalismo e polarizzazione. In definitiva, se i governi europei vogliono che i loro cittadini abbiano energia verde a basso costo, dovranno accettare il fatto che ottenerla sarà più costoso e più guidato dal governo di quanto precedentemente pubblicizzato.
I COSTI DEL GREEN DEAL PER L’ITALIA
Per quanto riguarda l’Italia, la premier Giorgia Meloni chiede all’Unione europea di rivedere il Green Deal, la Lega di Matteo Salvini vorrebbe cancellarlo, insieme all’eccesso di regolamentazione nei settori energetici, e anche molte imprese sono di questo avviso poiché, a detta loro, il Green Deal starebbe facendo più danni dei dazi di Donald Trump.
In effetti, il mese scorso, durante un question time alla Camera, la Meloni ha dichiarato che “l’azione del Governo per rendere più ragionevoli gli obiettivi del Green Deal riguarda diversi settori quali la siderurgia, la chimica e l’energia. Il Governo sostiene gli sforzi per una semplificazione del quadro normativo del Green Deal, che sta prendendo forma nei dispositivi Omnibus”.
Come ha ricordato due mesi fa il presidente di Nomisma Energia, Davide Tabarelli, “secondo la Commissione europea il Green Deal costa circa 1.285 miliardi l’anno (l’8% del PIL), il peso dei dazi è stimato tra lo 0,4 e lo 0,7%”.
Secondo Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASVIS) “nonostante sia imperfetto, il perseguimento del piano europeo porterà diversi benefici, anche economici. Negli ultimi 6 mesi il prezzo della materia prima nella bolletta elettrica in Italia è stato in media di 132 euro/MWh, rispetto a 104 della Germania, ai 94 della Spagna e ai 90 della Francia. Sviluppare energia rinnovabile per raggiungere la neutralità carbonica, come prevede il Green Deal, è utile sia a combattere la crisi climatica, sia a ridurre il costo dell’energia per le famiglie”.
LO STUDIO DI WIELDMORE: LE AZIENDE ITALIANE RISCHIANO UN -25% SUGLI UTILI
Le analisi della boutique finanziaria Wieldmore suggeriscono per le aziende italiane più esposte un potenziale impatto negativo dei rischi di transizione e dei rischi fisici fino al 25% dell’utile cumulato dei prossimi 5 anni, circa due terzi del quale nella seconda metà del periodo. I motivi sono legati alla combinazione di regole ambientali e condizioni climatiche sempre più estreme.
Le imprese più esposte saranno quelle con processi produttivi ad alta intensità di carbonio o legate all’importazione di materie prime da Paesi terzi. Ad esempio, a causa del meccanismo CBAM – il sovrapprezzo per compensare le minori regole ambientali dei Paesi esportatori –, il costo delle importazioni di alluminio da fuori Unione europea potrebbe crescere fino al +33% entro il 2030.