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Perché le aziende tacciono sugli impegni per il clima

Il Wall Street Journal ha scoperto che molte aziende oggi sono meno disposte a discutere del cambiamento climatico e della loro risposta ad esso in modo così dettagliato rispetto a qualche anno fa

Questo mese il Wall Street Journal ha riportato il fatto che le aziende di vari settori starebbero eliminando dai loro report il testo sul cambiamento climatico e sulle zero emissioni nette, lamentando il fatto che le aziende starebbero “annacquando” i loro impegni in materia. Potrebbe essere temporaneo, o anche naturale.

L’analisi delle dichiarazioni di delega di diverse grandi aziende, condotta dal WSJ, ha mostrato che, a quanto pare, molte di loro erano meno disposte a discutere del cambiamento climatico e della loro risposta ad esso in modo così dettagliato rispetto a qualche anno fa. Il quotidiano economico ha suggerito che potrebbe trattarsi di un’inversione di tendenza provocata dalle politiche energetiche dell’amministrazione Trump e dall’abolizione dell’Inflation Reduction Act.

LE AZIENDE PARLANO MENO DI CAMBIAMENTO CLIMATICO

Tra le aziende “coinvolte” nel ridimensionare il testo sul cambiamento climatico – scrive Oilprice – figurano American Airlines, Kroger, American Eagle Outfitters ed e.l.f. Beauty. La loro colpa è stata quella di ridurre la quantità di testo dedicata al cambiamento climatico e ai loro sforzi per contrastarlo, o di rimuoverlo completamente.

Quelle summenzionate non sono le uniche società ad aver adottato un approccio piuttosto generico sul cambiamento climatico. Nella sua ultima dichiarazione, Coca-Cola menziona il clima e le emissioni solo in termini generali e brevi. Anche GM non entra nei dettagli dei suoi sforzi per raggiungere l’obiettivo net zero, e nemmeno United Airlines. Eppure, ci sono delle ragioni perfettamente rispettabili per questo, anche dal punto di vista di un attivista per il clima.

REPORT SEPARATI SU CLIMA ED EMISSIONI

La maggior parte di queste aziende produce dei report separati sui cambiamenti climatici e sulla riduzione delle emissioni perché è la prassi di questi tempi. “Modifichiamo periodicamente il testo utilizzato nei messaggi e nelle comunicazioni esterne”, ha dichiarato al WSJ un portavoce di American Eagle Outfitters, spiegando che “il nostro impegno nella riduzione delle emissioni di gas serra resta invariato”.

Altri commenti delle aziende citate seguono la stessa linea: queste società hanno già interiorizzato il linguaggio e le azioni per la riduzione delle emissioni e non sentono più il bisogno di parlarne a gran voce. E poi, ovviamente, c’è il fattore Trump.

LE MOSSE DEL GOVERNO USA SU CLIMA E TRANSIZIONE ENERGETICA

L’attuale amministrazione USA ha tagliato miliardi di dollari di sussidi per le imprese legate alla transizione energetica. Di conseguenza, queste imprese stanno subendo una sorte ancora peggiore della loro a causa dell’inflazione delle materie prime, dei maggiori costi di finanziamento che non hanno nulla a che fare con il governo Trump e, in particolare, del ritiro degli investitori che si sono resi conto di aver sovrastimato la velocità con cui il loro investimento sulle zero emissioni nette sarebbe stato recuperato.

Le politiche di Trump hanno certamente danneggiato l’aspetto positivo degli impegni e delle dichiarazioni sul net zero, ma probabilmente è stata la mancanza dei profitti promessi a giocare un ruolo maggiore e a spingere le aziende a moderare gli impegni e le dichiarazioni.

GUPTA: “TUTTO CIÒ CHE È PULITO PER ORA È MORTO”

“L’intero settore solare, eolico, idrogeno, celle a combustibile… tutto quello che è pulito per ora è morto”, ha dichiarato a Bloomberg ad inizio anno un gestore di hedge fund focalizzato sulla transizione energetica. “I fondamentali sono molto deboli. Non parlo di lungo termine, parlo di dove vedo debolezza in questo momento”, ha dichiarato a Bloomberg Gupta, che gestisce circa 100 milioni di dollari. A quanto pare, le prospettive a lungo termine per il net zero restano rosee, mentre il breve termine è più problematico.

IL MONITORAGGIO DELLE EMISSIONI NON È REDDITIZIO

Un’altra cosa che stanno capendo è che il monitoraggio delle emissioni non è redditizio, non senza un solido sostegno finanziario, che al momento manca. Sempre il Wall Street Journal ha riportato che le startup focalizzate sulla transizione stanno fallendo, dopo che Trump ha eliminato i sussidi. Le batterie dei veicoli elettrici, la cattura diretta dall’aria e persino l’energia solare – che si supponeva fossero ormai consolidate – oggi stanno subendo le conseguenze di un’eccessiva pubblicità. Con i benefici promessi dall’azzeramento delle emissioni nette che non si sono mai concretizzati, a differenza dei costi legati alla spinta alla transizione, si può davvero biasimare la dirigenza aziendale per aver rimosso il termine “azzeramento delle emissioni nette” dai propri report?

In effetti, un recente sondaggio del Conference Board ha rilevato che ben l’80% dei dirigenti aziendali ha affermato che le proprie aziende stavano modificando il linguaggio sulla transizione, per paura di una reazione negativa che ha spinto il 50% degli intervistati a smettere completamente di parlare di zero emissioni nette. Questa reazione negativa non può essere attribuita a Trump: è una conseguenza naturale dell’eccessiva pubblicità che non ha mai mantenuto le promesse fatte. Quello che sta accadendo, quindi, è un processo naturale che – si potrebbe sostenere – è arrivato anche tardi.

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