Oggi i prezzi del greggio hanno registrato un calo di circa il 3% sia per il West Texas Intermediate che per il Brent
Non sono giorni caldi soltanto sul fronte del gas. I Paesi membri del G7 sono impegnati nella formulazione di un tetto al prezzo del petrolio importato dalla Russia. Il 5 dicembre scatterà l’embargo relativo agli acquisti da parte dei paesi europei mentre il cap riguarderà gli scambi da Mosca agli Stati terzi tramite i Grandi Sette. Intanto, per il Cremlino, gli effetti sanzionatori mossi da Bruxelles si fanno sentire.
LIMITI AI PREZZI DEL GREGGIO, IL G7 LAVORA
Proviamo a fare ordine. Oggi, come ha riferito Bloomberg, l’Ue ha lavorato su un limite di prezzo del petrolio russo tra 65 e 70 dollari al barile. Trattative in corso ma che fanno emergere già segnali di eccessiva benevolenza comunitaria verso Mosca: un tetto troppo alto potrebbe incidere poco sui commerci. L’incontro con gli ambasciatori del G7 può portare già a risposte definitive.
“Polonia, Lituania ed Estonia lo considerano troppo alto perché vogliono il prezzo fissato al costo della produzione, mentre Cipro, Grecia e Malta lo trovano troppo basso, a causa del rischio di un maggiore deflagging delle loro navi, il che potrebbe significare che il G7 ha trovato un buon mezzo”, ha riferito a Reuters un diplomatico europeo.
E come ricorda la stessa agenzia, “circa il 70%-85% delle esportazioni di greggio della Russia sono trasportate da petroliere piuttosto che da oleodotti. L’idea del massimale di prezzo è quella di vietare alle compagnie di spedizione, assicurazione e riassicurazione di gestire carichi di greggio russo in tutto il mondo, a meno che non venga venduto per non più del prezzo massimo fissato dal G7 e dai suoi alleati”.
WTI E BRENT IN CALO
Alcune risposte alle trattative odierne sono arrivate anche dai mercati. Oggi i prezzi del greggio Brent e del Wti hanno registrato un calo evidente. Dalle prime ore della giornata, infatti, il Brent è sceso del 3% a 85,65 dollari e il benchmark statunitense, il greggio WTI, è sceso di nuovo al di sotto di 80 dollari al barile, a 78,70 dollari. Già a inizio settimana, il calo del greggio WTI era stato importante: raggiungendo il livello di 75 dollari al barile, il più basso da gennaio scorso.
MOSCA PERDE MA CHI GUADAGNA?
“Poiché le principali compagnie di spedizioni e assicurazioni del mondo hanno sede nei paesi del G7, il limite di prezzo renderebbe molto difficile per Mosca vendere il suo petrolio a un prezzo più alto”, ricordava sempre Reuters analizzando le prime reazioni. D’altronde, l’obiettivo del cap è economico e non strettamente tecnico.
Francia e Germania sono favorevoli al limite di prezzo, riservando i giudizi solo per la capacità di applicazione. Invece, Paesi come Grecia, Cipro e Malta hanno sollevato questioni di natura più tecnica. Ad opporsi rimangono Polonia e Ungheria. Varsavia vorrebbe un intero altro pacchetto di sanzioni mentre Budapest si dice non convinta dalla misura.
Dunque, è Mosca a perderci. Ma come? Spedendo sempre meno barili di petrolio verso Rotterdam, unico porto rimasto nel Vecchio Continente per le consegne via mare. Si è passati, infatti, da oltre un milione di barili quotidiani (fino a inizio febbraio) ai 95mila odierni. Le destinazioni coinvolgono invece l’Asia per tre quarti dei traffici. Cina, India e Turchia sono ormai sempre più protagonisti e danno nuova vita alle petroliere in circolazione. Pechino potrebbe, ad esempio, guadagnare dalla fissazione di un tetto occidentale ottenendo greggio a prezzi scontati. Ma lo stesso discorso vale per Nuova Delhi. Anche se il Dragone si è detto formalmente contrario al limite su cui ragiona il G7 per la questione di disponibilità di greggio.
Invece, per quanto riguarda Ankara, stanno aumentando i controlli sulle coperture assicurative delle petroliere transitanti negli stretti. Questo per mettere in sicurezza i traffici alle porte di casa: ciò però implica anche maggiori difficoltà per Mosca nelle esportazioni extra-Ue. Negli ultimi sei mesi, la Russia ha trasportato quasi 650mila barili di greggio al giorno provenienti dal porto di Novorossiysk, sul mar Nero, attraverso lo stretto dei Dardanelli, secondo i dati di Bloomberg. La potenza anatolica non partecipa alle sanzioni europee ma pretende comunque garanzie.