Nelle ultime sei settimane, sia il Brent che il WTI hanno registrato dei guadagni significativi, rispettivamente del 15,4% e del 18,2%. Un fattore centrale che contribuisce a questa ripresa è il costante impegno dell’OPEC+ a ridurre la produzione
I prezzi del petrolio di recente hanno registrato un notevole aumento, segnando uno spostamento dalla loro prolungata permanenza in territorio ribassista. Il mix tra l’OPEC+ che si impegna a ridurre la produzione, un sostanziale ritiro dalle scorte di greggio e l’ottimismo riguardo al potenziale di un atterraggio morbido per l’economia globale sembrano essere le principali forze trainanti di questo andamento. Tuttavia – scrive Osama Rizvi su Oilprice – questo ottimismo sembra ignorare la pletora di fattori ribassisti che rimangono in gioco nel mercato petrolifero odierno.
L’ANDAMENTO DEI PREZZI DEL PETROLIO NELLE ULTIME 6 SETTIMANE
Nelle ultime sei settimane, sia il Brent che il WTI hanno registrato dei guadagni significativi, rispettivamente del 15,4% e del 18,2%. Un fattore centrale che contribuisce a questa ripresa è il costante impegno dell’OPEC+ a ridurre la produzione. Questo sviluppo può essere analizzato in due modi: da un lato, la persistenza dei tagli alla produzione implica delle imminenti limitazioni dell’offerta, segnalando così un trend rialzista; d’altro canto, queste riduzioni dell’offerta derivano dalle preoccupazioni relative alla domanda di petrolio, e ci sono molte ragioni per interpretare questi tagli alla produzione come ribassisti, piuttosto che rialzisti.
I PRINCIPALI INDICI SONO IN CALO
Stanno emergendo delle chiare indicazioni di un rallentamento dell’economia globale, ma questi segnali vengono opportunamente ignorati dai rialzisti del petrolio. Ad esempio, il PMI non manifatturiero statunitense a giugno è sceso da 53,9 a 52,7. Allo stesso tempo, il PMI manifatturiero ha sostenuto una traiettoria al ribasso di 9 mesi, una serie di perdite mai vista dalla crisi finanziaria del 2008.
Il Leading Economic Index (LEI) del Conference Board accentua questa flessione, passando di recente da 106,9 di maggio a 106,1 di giugno, un calo consecutivo senza precedenti di 15 mesi, che segna il calo continuo più lungo dal 2009.
Analogamente, l’attività economica nell’Eurozona sta affrontando un calo. La performance economica della regione ha subito un duro colpo negli ultimi mesi, evidenziato da un forte calo della produzione delle imprese.
L’HCOB flash PMI – un indicatore cardine per la produzione aziendale – ha rivelato un calo degno di nota, a significare la contrazione più consistente negli ultimi 8 mesi a partire da luglio. Il Flash Eurozone Composite PMI Output Index è sceso da 50 di giugno a 48,9 di luglio, riflettendo una seconda riduzione consecutiva dell’attività dopo 5 mesi di crescita. Il PMI dell’Eurozona è sceso a 42,7 dal 43,6 di giugno, rispetto al 49,3 dello scorso anno.
I nuovi ordini sono precipitati a livelli mai visti dal 2009, mentre gli ordini del settore dei servizi hanno registrato il loro calo iniziale in 7 mesi. Il rallentamento si è manifestato anche nei mercati del lavoro, con il lavoro inevaso che ha toccato il punto più basso dal febbraio 2013.
I DATI DELLE GRANDI ECONOMIE GERMANIA E CINA
La Germania continua ad affrontare delle sfide significative. L’economia si è contratta dello 0,1% nel primo trimestre 2023, insieme al suo PMI manifatturiero, che è precipitato a 41, il minimo di 38 mesi. Sono stati osservati dei drastici cali dei nuovi ordini di lavoro, a causa della riduzione della domanda e della debole attività economica. Anche la creazione di posti di lavoro è stata gravemente colpita, ed ora è al punto più basso degli ultimi due anni.
La Cina, la seconda economia più grande del mondo, ha costantemente deluso investitori e analisti, poiché la sua riapertura post Covid non è riuscita a prendere slancio. Il Paese di recente ha riportato un altro calo diffuso dell’attività commerciale, con il suo PMI che a luglio ha raggiunto 49,3, leggermente superiore ai 49 di giugno. Da marzo 2022, l’indice ha indicato finora una contrazione (sotto 50) per 12 dei 17 mesi. Inoltre, le varie misure volte a stimolare la crescita all’interno della Cina si sono rivelate insufficienti.
L’ECONOMIA GLOBALE VA VERSO UNA RECESSIONE
Alla luce di questi convincenti indicatori, diventa evidente che l’economia globale sta camminando verso una recessione. Date queste circostanze, i tagli alla produzione non devono essere interpretati come un segnale di carenza di offerta; piuttosto, sottolineano le preoccupazioni che contribuiscono ad un imminente calo della domanda. Di conseguenza, il rally del prezzo del petrolio in corso probabilmente è temporaneo.
Rizvui prevede un massimale di circa 90 dollari, con una resistenza sostanziale probabilmente intorno agli 85 dollari. La probabilità che gli Stati Uniti entrino in una recessione aumenta man mano che ci avviciniamo alla fine del 2023. Il sentimento del mercato globale appare attualmente confuso.
Presto prevarrà il sentimento ribassista, insieme alle prese di profitto, che alla fine faranno precipitare i prezzi del petrolio sotto i 70 dollari, probabilmente intorno ai 65 dollari. L’aspettativa di Rizvi è che, entro la fine dell’anno, i prezzi del petrolio raggiungeranno i 60 dollari.