Mentre l’Italia celebra i successi della differenziata, i progetti per nuovi impianti per i rifiuti speciali sono fermi negli uffici, il mercato dei RAEE alimenta l’illegalità e un quadro normativo incerto frena gli investimenti. L’intervista a Andrea Giustini (Gruppo EcoEridania)
Le richieste per costruire nuovi impianti per la gestione dei rifiuti stagnano negli uffici, gli imprenditori italiani non investono nella raccolta di RAEE e il malaffare prospera. È l’altra faccia della medaglia della gestione dei rifiuti, uno dei vanti del nostro Paese. “La burocrazia rallenta i processi. Abbiamo diversi progetti che stagnano negli uffici. Iniziare un processo di autorizzazione è spesso complicato e tutto è reso ancora più complesso dai cittadini che, inconsapevoli dei potenziali effetti positivi, aprono sempre più comitati. In questo scenario, aziende come la nostra procedono acquistando società poiché risulta più semplice rispetto ad aprire nuovi impianti”, spiega Andrea Giustini, Presidente del Gruppo Ecoeridania, gruppo attivo nello smaltimento di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi di origine sanitaria e industriale, nell’intervista rilasciata a Energia Oltre.
L’ITALIA RACCOGLIE SOLO IL 30% DI RAEE, DOVE FINISCE IL RESTO?
La nota più dolente sono i RAEE, un tesoro nazionale consegnato al malaffare. Infatti, il tasso di raccolta nel nostro Paese ufficialmente si è fermato al 30% nel 2024. Un dato che potrebbe ingannare. Infatti, una fetta importante del potenziale economico dei rifiuti da apparecchiature elettroniche finisce nel mercato nero, un fenomeno ancora molto presente. Intanto, a breve si discuterà della “tassa RAEE” di 2 euro per ogni chilogrammo di rifiuti elettronici non raccolto rispetto al target UE del 65%. Un’imposta che all’Italia costerebbe circa 2,6 miliardi di euro l’anno.
La direttiva europea sui RAEE va nella direzione giusta?
La direttiva europea sui RAEE va nella direzione giusta ma difficilmente è applicabile. La filiera non ha ancora capito appieno come governare questo processo, tra i più nobili che possiamo mettere in campo. C’è ancora tanto da fare. L’Europa pensa bene ma si perde a livello applicativo. Chi ci governa dovrebbe iniziare ad imporsi, non solo consigliare. Servono sanzioni più severe. Questo è l’unico settore in cui si fa fatica a pensare di investire perché manca ancora una reale chiarezza normativa.
Come valuta, invece, la proposta di revisione della Direttiva quadro sui rifiuti?
La difficoltà non risiede tanto nelle norme quanto nella loro applicazione e interpretazione. In Italia, da una provincia all’altra, si registrano approcci divergenti, con conseguenze sulla coerenza del sistema. Quello che sarebbe necessario è un impegno comune per armonizzare le prassi e restituire alle regole quella chiarezza e prevedibilità di cui sia le imprese che le istituzioni hanno bisogno.
Mi sembra però che non ci sia alcuna norma specifica su rifiuti sanitari clinici e industriali altamente pericolosi. Quanto c’è da fare ancora nel settore?
Il sistema Italia sul fronte dei rifiuti sanitari funziona in modo perfettamente efficiente da tutti i punti di vista. Permangono invece criticità nello smaltimento dei rifiuti pericolosi, che non sono ancora pervenuti, nonostante la ripresa produttiva. In particolare, la farmaceutica sta guardando nuovamente all’Italia per la sicurezza della produzione del farmaco. Tuttavia, attualmente non siamo in grado di assicurare lo smaltimento.
Soffermiamoci sul tema dei rifiuti radioattivi di origine sanitaria. Il deposito nazionale entrerà in esercizio solo nel 2039. Serviranno altri depositi nel frattempo?
Il mondo sanitario non produce quasi nulla dal punto di vista dei rifiuti radioattivi. Finché non inizieremo a costruire centrali nucleari di nuova generazione in questo Paese, il problema non si porrà. È stato programmato un deposito nazionale, ma servirà principalmente a mettere in sicurezza le scorie di eventuali centrali di nuova generazione che, spero, inizieremo a costruire in Italia.
Avete in cantiere qualche nuovo progetto?
Stiamo lavorando in particolare sul revamping di impianti, ad esempio sulla tipologia di rifiuti da trattare, oppure per ingrandirli e renderli più produttivi. Stiamo lavorando con Corepla e una raffineria per preparare la prima partita di materia per fare il riciclo chimico sulle plastiche ad un livello di raffinazione superiore. L’obiettivo è riprodurre la plastica. Stiamo parlando del futuro del recupero delle plastiche, noi prepareremo il prodotto. Se tutto procede come previsto entro fine anno partiranno i primi carichi.


