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Pasini (Cnr): in Italia manca una vera cultura del rischio climatico

Cosa lega la pandemia di coronavirus al cambiamento climatico e quanto rischia l’Italia. Intervista ad Antonello Pasini, climatologo presso il CNR, blogger e autore di L’equazione dei disastri. Cambiamenti climatici su territori fragili

In un recente webinar ha spiegato che l’Italia si è riscaldata di un grado in più rispetto alla media mondiale perché, tra le varie cause, c’è stato un cambiamento nella circolazione e gli anticicloni africani hanno “preso il sopravvento” su quelli delle Azzorre. A cosa è dovuto il cambiamento?

Questo cambiamento è dovuto sostanzialmente alle azioni umane che, con l’emissione di gas ad effetto serra come l’anidride carbonica, con la deforestazione e l’uso non corretto del suolo, hanno fatto riscaldare sia l’aria che l’acqua degli oceani. Questo è accaduto, in particolare, anche intorno all’Equatore, in tutta la zona tropicale. Come immediata conseguenza la cella della circolazione atmosferica equatoriale si è espansa verso nord, facendo sì che gli anticicloni che prima rimanevano stabilmente sul deserto del Sahara ora entrino spesso nel Mediterraneo, portando aria molto più calda di quella tipica dell’anticiclone delle Azzorre.

Ma non c’è solo un influsso sulle temperature: quando questi anticicloni si ritirano sull’Africa si assiste spesso ad irruzioni di aria fredda da nord. E quando aria fredda si incunea sotto aria calda e umida preesistente in loco, quando incontra mari molto caldi per le precedenti ondate di calore, le piogge diventano molto violente, magari con grandinate eccezionali e alluvioni lampo.

Il territorio italiano è particolarmente esposto agli effetti dei cambiamenti climatici. Quanto è diffusa la percezione di questo rischio e cosa si sta facendo per prevenirlo?

Per molto tempo la gente ha pensato che il cambiamento climatico sarebbe stato un problema unicamente per i nostri figli e i nostri nipoti. Adesso, con questi eventi estremi così forti, si comincia a percepire che il problema è di adesso. Tuttavia non esiste ancora una vera “cultura” del rischio in Italia.

La protezione civile è molto efficiente ad affrontare le situazioni di emergenza, ma mancano azioni decise per fermare il riscaldamento globale e una pianificazione che possa adattare i territori ai danno che in ogni caso già stiamo subendo. Esiste una strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, si sta portando avanti un pinao operativo nazionale, ma mancano spesso piani comunali, che sono essenziali, perché solo i sindaci e i loro collaboratori possono sapere in quale parte del loro territorio un certo evento estremo, magari previsto dalla protezione civile, potrà fare danni oppure no.

Nel suo libro L’equazione dei disastri ha spiegato come una singola equazione possa descrivere sia i rischi del cambiamento climatico, sia quelli di una pandemia. Cosa rende simili i due fenomeni?

I due fenomeni mostrano una crescita molto forte (non lineare, addirittura esponenziale nel caso del Covid-19) se non si fa nulla per fermarli. Inoltre, per entrambi c’è un tempo di ritardo tra quando noi agiamo per fermarli e quando vediamo i risultati delle nostre azioni.

Ad esempio, i risultati del lockdown abbiamo cominciato a vederli dopo un paio di settimane, perché questo è il tempo di incubazione del virus. Per il clima siamo messi peggio, perché se riduciamo fortemente le nostre emissioni di gas serra, i risultati sulla temperatura si vedranno tra qualche decina di anni, a causa del lungo tempo di permanenza della CO2 in atmosfera e del riscaldamento lento ma inesorabile dei mari. Tuttavia quella equazione di cui scrivo nel libro ci fa anche vedere che attualmente abbiamo molti più strumenti per combattere il cambiamento climatico rispetto a quello che possiamo fare per combattere il Covid-19.

Crede che la pandemia possa favorire la transizione energetica verso le fonti rinnovabili? Oppure, al contrario, crede possa favorire il mantenimento dello status quo, visti i bassi prezzi di petrolio e gas?

La questione è controversa. Molto dipenderà dalla volontà politica di imboccare o meno la strada di un rapporto più armonico con l’ambiente, al fine di tutelare il pianeta ma anche il benessere di noi umani, che siamo legati molto strettamente a tutto ciò che accade al nostro ambiente: basti pensare ai cosiddetti “servizi ecosistemici” che ci fornisce “gratis” la natura.

Certo, dovremmo imparare la lezione del coronavirus: come la deforestazione per far posto a colture intensive e l’espansione di megalopoli nelle foreste portano a vivere a stretto contatto con animali selvatici (con un aumentato rischio di passaggio di virus dagli animali all’uomo), così il nostro bruciare combustibili fossili, le azioni di deforestazione e un’agricoltura non sostenibile aumentano il riscaldamento e gli impatti dei cambiamenti climatici. Un diverso modo di vivere sul pianeta è possibile: dobbiamo imboccare la strada giusta per raggiungerlo.

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