Giorgia Meloni attacca Stellantis, ma il gruppo automobilistico non esita a replicare con tanto di numeri. Nel frattempo, per Confindustria si avvicina l’elezione del nuovo presidente tra cambiamenti e ripensamenti dei contendenti. Infine, Cdp è pronta ad aprire nuove sedi a Belgrado a Rabat e al Cairo (e non solo). Ecco le notizie di oggi riportate dai quotidiani
Nella giornata di ieri, durante il Question time alla Camera, la premier ha attaccato Stellantis accusando il Gruppo presieduto da John Elkann di essere manovrato dai francesi, ma la casa automobilistica ha prontamente replicato dimostrando con i numeri quale sia il suo contributo all’economia italiana.
Per Confindustria sta per entrare nel vivo la scorsa per la presidenza, ma non mancano ripensamenti, cambiamenti e giravolte dei contendenti.
Cassa depositi e prestiti, invece, è pronta ad aprire i primi uffici fuori dall’Unione Europea. L’ad Scannapieco: “facciamo da cinghia di trasmissione per l’economia italiana”
STELLANTIS REPLICA ALL’ATTACCO DI MELONI
Non si ferma lo ‘scontro’ a distanza fra la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e Stellantis. Infatti, proprio nella giornata di ieri la stessa Meloni parlando al Question Time della Camera ha dichiarato: «Il governo vuole difendere l’interesse nazionale e instaurare un rapporto equilibrato con Stellantis per difendere la produzione e i livelli occupazionali. Vogliamo tornare a produrre in Italia almeno un milione di auto all’anno». A riprendere la questione, oggi, è il quotidiano La Stampa, che riporta quanto detto da un portavoce di Stellantis che, sempre nella giornata di ieri, ha ricordato ieri i numeri della produzione in Italia e il fatto che «il 63 per cento dei veicoli prodotti sia destinato all’esportazione», dunque produca in vantaggio per i conti della Penisola. Stellantis, dicono a Torino, «è fortemente impegnata in Italia dove ha investito diversi miliardi di euro in nuovi prodotti e siti produttivi».
Inoltre, Meloni – durante il Question time alla Camera -ha lamentato che «nel cda siede un membro del governo francese». Questo – spiega il quotidiano – accade perché al momento della fusione il gruppo francese Psa aveva all’interno rappresentanti del governo di Parigi, come è sempre avvenuto. Perché Fca non aveva un membro del governo italiano in Cda? Perché i vari governi di Roma si sono ben guardati dal farlo e perché se lo avessero fatto i liberisti oggi alleati di Meloni e la sinistra radicale oggi nel Pd sarebbero insorti all’unisono”.
“Il gruppo di Tavares – scrive La Stampa – è impegnato negli stabilimenti italiani ma non può da solo raddoppiare la produzione di auto nella Penisola. Ed è vero che l’attuale livello di produzione rischia di non essere sufficiente a garantire tutto l’indotto dell’automotive. Ecco allora il passaggio chiave dell’intervento della presidente del Consiglio ieri: «Vogliamo tornare a produrre in Italia con chi vuole investire davvero sulla storica eccellenza italiana». Il governo sta cercando produttori aggiuntivi a Stellantis che vogliano insediarsi nella Penisola? Magari sfruttando gli incontri dei prossimi mesi previsti dal calendario del G7 che Roma presiederà fino al 31 dicembre? È una possibilità. Forse più realistica di quella avanzata ieri da Meloni: «Se si vuole vendere un’auto pubblicizzandola come un gioiello italiano allora quell’auto deve essere prodotta in Italia». È stata la stessa premier a smentire questa regola assistendo, nel dicembre scorso, all’annuncio del leader serbo Vucic che ha approfittato della visita della collega italiana per dire che la Panda elettrica verrà prodotta nel suo Paese. Il criterio, del resto, è scivoloso: a Melfi non dovrebbero più produrre Jeep Renegade e Compass. Ed è dubbio che i suv Lamborghini (marchio italiano ma gruppo tedesco) potrebbero continuare ad essere costruiti in Emilia. Perché l’auto, prodotto globale per antonomasia, sfugge al sovranismo della lamiera”.
CONFINDUSTRIA: I CAMBIAMENTI E I RIPENSAMENTI CHE PRECEDONO LE ELEZIONI DEL PRESIDENTE
La corsa per la presidenza di Confindustria sta per entrare nel vivo e – come spiega oggi il quotidiano la Stampa – “l’insediamento dei saggi per l’elezione del nuovo presidente di Confindustria si avvicina: sarà il primo febbraio. In quell’occasione si potranno depositare le autocandidature. I contendenti dovranno presentare almeno 20 firme e sottoporsi al giudizio della commissione. I saggi saranno chiamati a verificare se hanno i requisiti per la corsa alla presidenza di Confindustria. Il mazzo di carte può essere ancora rimescolato ma il quadro inizia a delinearsi”.
La situazione attuale vede Emanuele Orsini, amministratore delegato di Sistem Costruzioni e vice di Bonomi, che per ora sembra essere davanti a tutti. “Fonti accreditate tra le Confidustrie italiane lo accreditano già in possesso di oltre 40 firme. Tra i firmatari il gruppo dei delegati di Emilia centro, anche se negli ultimi giorni ci sarebbe qualche ripensamento, quelli della Toscana e del Trentino. Nella scia ci sarebbero anche capi azienda di grandi multinazionali come Tim, Leonardo e Fincantieri. Anche in Veneto il quadro per lui non è poi così netto”, scrive il quotidiano.
Anche se partito tardi, Edoardo Garrone sarebbe in ascesa e, come spiega La Stampa, “il patron della Erg, avrebbe il sostegno di Assolombarda che conta ben 19 delegati in consiglio generale. Assolombarda, che come sempre non si può dire granitica nelle sue preferenze, non ha però ancora rilasciato indicazioni ufficiali. (…) Anche il Veneto Est potrebbe sostenere Garrone”. Ma, ai tre candidati potrebbe aggiungersene un quarto: Tonino Gozzi, patron del gigante Duferco.
PASSAGGI, TRADIMENTI E GIRAVOLTE
La situazione, dunque, è ancora molto fluida, anche se – spiega La Stampa – “passaggi, tradimenti sotto banco e giravolte alla luce del sole fanno parte della storia di Confindustria quando si deve decidere il presidente. I bookmaker danno favorito l’ex presidente di Federlegno Emanuele Orsini che continua la sua campagna di raccolta firme pancia a terra. Suoi sponsor sono anche il presidente della Luiss Luigi Gubitosi e figure di peso, extra Confindustria, come Fabrizio Palenzona, sempre attento a qualsiasi partita di potere, ma anche l’Ance e un pezzo di mondo romano che gli garantirebbe anche almeno la metà del consenso dell’Unione industriale di Roma, apparentemente attendista perché spaccata tra il sostegno a Garrone da parte di Luigi Abete e quello a Orsini di Aurelio Regina. Ma non mancherebbero anche quelli che non si rassegnano nel vedere candidato Gianni Brugnoli e persino qualche simpatizzante di Alberto Marenghi. Alla fine lo scenario più probabile è che nessuno per ora avrà la maggioranza necessaria della metà più uno del consiglio generale necessario per vincere e che si andrà a un ballottaggio all’ultimo voto in primavera. Per ora, come diceva Frank Underwood, il potere è come il mercato immobiliare: quello che conta è la posizione”.
CONFINDUSTRIA, IL COMMENTO DI CARRARO
«È un momento complesso per l’industria italiana». Queste le parole di Enrico Carraro, presidente dell’omonima multinazionale dei sistemi di trasmissione meccanica e di Confindustria Veneto, in un’intervista al quotidiano La Repubblica. Complicato nel breve periodo dalle tensioni geopolitiche e dalla frenata della Germania, «che allontana anche da noi la ripresa». E complicato nel lungo periodo dall’«assenza di una politica industriale», in Italia e in Europa. Carraro parte da qui per spiegare perché Confindustria, che si avvia a scegliere il nuovo presidente, ha bisogno di essere guidata da un «imprenditore autorevole, con la capacità di trainare il governo condividendo scelte e percorsi».
In merito alle candidature degli attuali vicepresidenti Orsini e Marenghi, Carraro sottolinea: «Candidature del tutto legittime e che riscuotono interesse, ma che per dimensioni dell’azienda e per contesto industriale non rispondono all’identikit che molti imprenditori ritengono necessario. Nelle ultime settimane però sono emersi nomi diversi, di imprenditori a tutto tondo, che mi portano a dire che non è necessario perseguire altre candidature».
«Io – spiega Carraro a Repubblica – spero che chiunque stia correndo lo faccia per il bene del sistema industriale. Il fatto di non perseguire una candidatura per me non è stato un passo indietro, ma avanti».
CDP: NUOVE SEDI A BELGRADO, RABAT E CAIRO PER AIUTARE LE AZIENDE ESTERE
Sul fronte Cassa depositi e prestiti, Dario Scannapieco, amministratore delegato di Cdp e da luglio presidente di Elti (European long term investors association) al Corriere della Sera racconta il grande lavoro messo in atto «per posizionare Cdp come un interlocutore molto forte dell’Ue: un terzo delle risorse di InvestEu dedicate alle banche promozionali sono state usate da Cdp».
Scannapieco snocciola i risultati raggiunti: «Con oltre 1 miliardo di euro ottenuti solo nell’ultimo triennio, il Gruppo Cdp — spiega — è la cinghia di trasmissione delle risorse europee in Italia». Al momento Cdp – scrive il quotidiano – gestisce 900 milioni su 2,7 miliardi di garanzie di InvestEu destinate alle banche promozionali, oltre a 200 milioni di grant nell’ambito dello strumento Ue per il finanziamento delle infrastrutture dei trasporti. «La garanzia — sottolinea — permette di usare meno capitale a parità di rischiosità o a parità di assorbimento di capitale di assumere più rischio: possiamo usare in modo più accorto il capitale regolatorio di Cassa».
“Il dialogo con Bruxelles – riporta il Corriere della Sera – si concretizza anche nell’attività che Cdp si appresta ad avviare all’estero: «Cassa ha deciso di aprire i primi uffici come development agency italiana, società dedicata alla cooperazione internazionale», spiega Scannapieco, aggiungendo che nei primi giorni di febbraio sarà inaugurata ufficialmente la sede di Belgrado «dove mi recherò in missione anche per siglare alcuni contratti. Poi apriremo a Rabat e al Cairo. Per fare l’attività di cooperazione bisogna stare sul campo». Cdp, che fa parte del comitato di indirizzo del Piano Mattei, ha in programma di aprire altre sedi: «I prossimi passi saranno nell’Africa subsahariana, a Nairobi in Kenia dove ci sono molte agenzie di sviluppo e poi in Senegal. Siamo in collegamento con il ministero degli Affari esteri. Operiamo con fondi propri e con fondi dello Stato come il fondo clima». In Africa Cdp sta portando avanti il progetto Archipelagos per lo sviluppo delle pmi africane mentre da Belgrado promuoverà l’accesso al credito delle micro e piccole imprese dei Balcani tramite intermediari finanziari locali. Un passo obbligato l’impegno nei Paesi in via di sviluppo, che altri player internazionali come l’agenzia francese di sviluppo stanno già portando avanti da tempo”.