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Petrolio

Sul prezzo del petrolio tutto dipende da Usa e Cina

In caso di mancato accordo, Bank of America Merrill Lynch ipotizza addirittura un crollo delle quotazioni del greggio fino a 30 dollari al barile.

Stati Uniti e Cina sembrano aver fatto progressi negli ultimi giorni sulla querelle riguardante i dazi doganali e potrebbe essere un buon segnale in vista della riunione del G20 che si terrà nelle prossime ore. Ma se le trattative dovessero fallire, le ricadute sul mercato petrolifero potrebbero essere significative. In caso di mancato accordo, Bank of America Merrill Lynch ipotizza addirittura un crollo delle quotazioni del greggio fino a 30 dollari al barile.

RISCHIO PETROLIO A 30 DOLLARI

Anche a livello globale le ripercussioni economiche potrebbero essere sostanziali con un impatto particolarmente dannoso per la Cina. In risposta, Pechino potrebbe sentirsi costretta a lasciare che lo yuan si indebolisca nel tentativo di impedire il crollo delle esportazioni. Ciò, a sua volta, ridurrebbe drasticamente la domanda di petrolio. Poiché il greggio ha un prezzo in dollari, uno yuan più debole renderebbe il petrolio molto più costoso in Cina. Ma di contro potrebbe deridere le richieste Usa di cessare l’acquisto di petrolio dall’Iran. In ogni caso gli effetti combinati di “un’economia globale più debole, diminuzione della domanda cinese e maggiore export iraniano di petrolio porterebbero i prezzi del petrolio a 30 dollari al barile”, ha detto il capo della merce di Bank of America, Francisco Blanch. in un’intervista a Bloomberg.

PROIEZIONI DI CRESCITA DELLA DOMANDA LEGATE A USA E CINA

Molto dipenderà dunque da ciò che accadrà a margine del vertice del G20. “Le proiezioni di crescita della domanda globale di 0,93 e 1 milione di barili al giorno per il 2019 e il 2020 sono approssimativamente allineate alle previsioni del PIL degli economisti” hanno scritto gli analisti della Bank of America. “Eppure c’è il rischio di finire per essere troppo ottimisti nel caso in cui le relazioni commerciale Usa-Cina peggiorino ulteriormente”.

SEMBRA ORMAI SICURA UNA ESTENSIONE DEI TAGLI DI OPEC+

Per ora, i prezzi del petrolio sono rimbalzati sulla scia delle tensioni Usa-Iran. La guerra di parole tra Trump e gli alti funzionari iraniani dimostra che la prospettiva di uno scontro militare è tutt’altro che remota. Nel frattempo, nei giorni successivi ai colloqui Usa-Cina, l’OPEC+ si incontrerà a Vienna, dove probabilmente estenderà i tagli alla produzione. “Un’estensione dell’accordo di riduzione della produzione di altri sei mesi sembra un affare fatto – ha scritto Commerzbank in una nota -. Il ministro russo dell’Energia, Novak, ha sottolineato il successo della collaborazione e ha descritto la cooperazione internazionale come più importante che mai”.

LE SCORTE POTREBBERO VANIFICARE IL TENTATIVO DI FAR AUMENTARE I PREZZI

Ma un’estensione dei tagli è solo il minimo indispensabile per evitare che i prezzi diminuiscano. Tanto è vero che, come ha scritto l’Aie nel suo rapporto sul mercato petrolifero di giugno “l’Opec ha ora circa 3,2 milioni di barili al giorno detenuti in capacità di riserva” e “questa è una buona notizia per i consumatori e per la salute in generale dell’economia globale attualmente vulnerabile, poiché limiterà una significativa pressione al rialzo sui prezzi del petrolio”.

SPESA UPSTREAM PREVISTA IN CRESCITA

Secondo un nuovo rapporto di Morgan Stanley, inoltre, i prezzi del petrolio hanno oscillato negli ultimi anni ma ancora molto al di sotto dei massimi pre-2014. Nonostante questo la spesa upstream dovrebbe continuare ad aumentare negli anni a venire, guidata ancora una volta dallo shale americano. “Crescita più moderata, ma ancora una traiettoria positiva da qui in poi per il Capex globale upstream”, ha scritto la banca d’investimento in una nota ai clienti. Aggiungendo che la spesa dovrebbe aumentare del 6 per cento CAGR fino al 2022, ma in calo rispetto alla sua stima precedente dell’8 per cento, in gran parte a causa del recente ribasso dei prezzi del petrolio.

LA SPESA GLOBALE UPSTREAM DOVREBBE PASSARE DA 461 A 554 MILIARDI DI DOLLARI TRA IL 2019 E IL 2022

Tra il 2019 e il 2022, la spesa globale upstream dovrebbe passare da 461 a 554 miliardi di dollari. Ciò dopo diversi anni in cui la spesa si è attestata intorno ai 450 miliardi di dollari. Va notato, tuttavia, che la somma non raggiungerà il picco del 2014 di oltre 700 miliardi di dollari. Fondamentalmente, spiega però Morgan Stanley c’è un “punto di flessione” in cui la spesa petrolifera aumenta e diminuisce: il petrolio deve essere scambiato oltre i 50 dollari al barile per il WTI e 60 dollari per il Brent, se si vuole che l’industria aumenti costantemente la spesa. Qualsiasi prezzo al di sotto di tale livello produce l’effetto contrario. Infatti, secondo la banca d’investimento l’industria petrolifera vedrebbe una diminuzione del 20% degli investimenti se il Brent avesse una media di 50 dollari anziché 60 dollari. E la spesa globale si ridurrebbe di 100 miliardi di dollari se i prezzi del petrolio avessero una media di 10 dollari al barile in meno.

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