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Idroelettrico

Superbonus, mitigazione del calore ed emergenza siccità: cosa c’è sui giornali di oggi

Il rallentamento dei cantieri agevolati, le iniziative locali per affrontare il cambiamento climatico e l’emergenza idrica in Italia: la rassegna dei giornali

SUPERBONUS, CANTIERI IN FRENATA: -14,8% NEL 2024

A maggio le famiglie e i condomìni hanno pagato poco più di 3 miliardi di euro con i bonifici “parlanti” per i bonus edilizi. Un anno prima erano stati versati 3,39 miliardi. È quanto si legge su Il Sole 24 Ore di oggi. Il calo del 10,6% può essere ricostruito partendo dal Bollettino delle entrate tributarie e racconta la frenata degli investimenti nei cantieri agevolati dal fisco (superbonus e altre detrazioni ordinarie). Dopo tutti gli interventi “blocca cessioni” varati dal Governo Meloni dalla fine del 2022, qualcuno si sarebbe potuto aspettare un calo ancora più marcato, ma i dati vanno letti senza fermarsi all’ultimo mese e tenendo conto dei vari fattori che ancora sostengono gli investimenti.

Se consideriamo i bonifici eseguiti da gennaio a maggio del 2024, vediamo che in questi primi cinque mesi sono stati versati 13,1 miliardi, contro i 15,4 miliardi dello stesso periodo del 2023. La riduzione media è del 14,8%. Il calo era iniziato già nel secondo semestre dell’anno scorso, ma in quel caso la contrazione su base annua si era fermata al 10,3 per cento. Segno che la frenata sta aumentando di intensità.

Anche i rapporti mensili dell’Enea sul superbonus nella versione “eco” mostrano un sostanziale stallo dei nuovi investimenti (fermi a 119,3 miliardi al 30 giugno). Nonostante la discesa, non c’è dubbio che il livello degli investimenti di questi primi mesi del 2024 sia ancora ben al di sopra della media del 2019, l’ultimo anno “normale” prima del Covid e del superbonus. E in effetti ci sono alcuni fattori che stanno tenendo relativamente aperti i rubinetti dei pagamenti.

Il primo è la necessità di completare i lavori già iniziati, anche accettando detrazioni meno ricche di quelle degli anni scorsi, ma comunque generose in termini assoluti (pensiamo solo al superbonus del 70%: oggi pare povero, ma nel 2019 sembrava inimmaginabile). La seconda ragione che potrebbe pesare in questo periodo è la volontà di portarsi avanti con i lavori non agevolati dal superbonus, dal momento che tutte le detrazioni ordinarie – con la sola eccezione del bonus barriere del 75% – sono in scadenza al 31 dicembre 2024.

In attesa di vedere se la manovra per il 2025 concederà qualcosa in più del 36% (unica agevolazione attualmente a regime), molti proprietari che avevano in programma ristrutturazioni minori stanno correndo per chiudere i cantieri entro la fine dell’anno o per arrivare a spendere almeno 96mila euro (il massimale di spesa agevolata previsto per il 50% e destinato – senza proroghe – a essere ridotto a 48mila euro con il 36% dal 2025). Il terzo è un fattore tecnico, ma non per questo trascurabile. Il blocco del mercato dei crediti ha fatto venir meno gli sconti in fattura “a tappeto”, perciò oggi quasi tutti i lavori agevolati devono essere saldati con bonifico. Ciò significa che potrebbe essere sparita un’altra fetta di investimenti, oltre a quella monitorata dai pagamenti tracciati, conclude il quotidiano.

LA LOTTA ALLE ISOLE DI CALORE SI FA CON UN MIX DI INTERVENTI LOCALI

Non solo maxi piani strategici per mitigare il calore. Per far fronte al cambiamento climatico anche l’ingegno (e l’impegno) locale e puntuale di piccole amministrazioni o di privati cittadini può dare un contributo e fare la differenza, attraverso lo sviluppo di interventi mirati, che puntano alla manutenzione del patrimonio arboreo esistente, all’inserimento di installazioni bio-based nei contesti urbani per la mitigazione del calore, alla deimpermeabilizzazione dei suoli o all’uso di tecnologie e sistemi innovativi nella costruzione o nel recupero di immobili per combattere il surriscaldamento, favorire l’uso di acque meteoriche e dare vantaggio al ripristino della biodiversità. È quanto si legge su Il Sole 24 Ore di oggi.

Azioni puntuali che, sommate, non solo fanno bene all’ambiente, ma migliorano l’estetica e la vivibilità metropolitana, generando esempi virtuosi per la collettività. «È l’unione che fa la forza – spiega Elena Granata, docente di Urbanistica al Politecnico di Milano e autrice di diversi libri sul ruolo dell’architettura e della pianificazione per il ripensamento dei luoghi urbani –. Occorre creare le condizioni per moltiplicare piccoli interventi di piantumazione, depavimentazione, ombreggiamento con soluzioni nature-based, di creazione di aree umide o di sistemi per la ritenzione dell’acqua. Micro-azioni che devono essere distribuite il più possibile in tutta la città, per ridurre la durezza del paesaggio urbano, coinvolgendo sia la Pa sia i cittadini».

Un tema che Granata ha affrontato nella recente redazione del primo “Piano Clima per il Comune di Seregno”, in Brianza. «Soprattutto al Nord – prosegue – in contesti in cui la proprietà privata delle aree verdi è molto diffusa, occorre studiare strategie pubbliche per spingere i cittadini a contribuire allo sforzo comune. L’atteggiamento del “Nimby, not in my backyard” va ribaltato nel concetto di “proprio nel mio giardino”. Tutti devono avere consapevolezza di come singole decisioni, ad esempio nello scegliere le specie arboree per appezzamenti a servizio di ville e abitazioni, finiscono con l’avere un impatto sulla collettività. L’intelligenza nella pianificazione anche di una piccola amministrazione sta nel definire un quadro comune di regole per guidare gli abitanti nel valorizzare ciò che già esiste».

(…)

Dall’Italia all’estero, si moltiplicano gli studi in materia. «Per esempio a Tel Aviv –  afferma Margherita Brianza, paesaggista e co-fondatrice dello studio P’arcnouveau di Milano – è in corso uno studio di ricerca per capire se e come le palme da dattero possano essere irrigate con acqua salina. Non per abituarle a vivere in condizioni aliene a quelle per cui sono nate, ma al contrario per inserirle con conoscenza laddove hanno possibilità di svilupparsi a vantaggio di tutto il sistema», conclude il quotidiano.

BASTA BALLE SULL’ACQUA

Parliamo di siccità. Di nuovo. La Sicilia è in grave difficoltà da varie settimane. Altre regioni italiane, dall’Abruzzo alla Sardegna, passando per la Puglia stanno affrontando scarsità crescenti di acqua. È quanto scrive su Il Foglio di oggi Giulio Boccaletti, esperto di sicurezza delle risorse naturali e saggista. Si parla di emergenze, perdite di rete, razionamenti, nuovi invasi, quelli vecchi da mantenere, invasi piccoli, grandi invasi, falde e pompe, desalinizzazione e riuso, insomma l’arsenale delle discussioni che si fanno ogni qual volta manchi l’acqua. Nel frattempo, per non farci mancare nulla, temporali ai piedi delle Alpi buttano giù occasionali e improvvisi fiumi d’acqua che eccedono la capacità di deflusso delle infrastrutture urbane. Mi sono occupato di questi temi in giro per il mondo per diversi anni. Ho scritto un paio di libri sull’argomento. Vorrei fare cinque considerazioni in merito a ciò che sta succedendo. Qualcuno – non io, ovviamente – potrebbe definirle cinque ipocrisie del dibattito in cui cadiamo ogni qual volta il paese si trovi ad affrontare la siccità. Preferisco chiamarle cinque “brevi lezioni”, nello spirito di cercare di contribuire al dibattito. Ve le riassumo in testa a questo articolo perché sintetizzano quello che credo sia lo stato di fatto.

Prima lezione: fingiamo stupore sapendo benissimo che la siccità non è una novità in Italia. Seconda: quando succede guardiamo al cielo, invece di guardarci allo specchio. Terza: parliamo di perdite di rete per evitare di affrontare il territorio. Quarta: qualcuno deve pur pagare per sbloccare gli investimenti che ovviamente servono. Quinta: dobbiamo accettare che le discussioni si concludano con una decisione. Andiamo con ordine.

Per la prima, spero mi perdoniate il colloquialismo: questa roba non è una novità. Chi è sorpreso da quanto sta succedendo o ha vissuto sulla Luna, o se ne è disinteressato e dovrebbe sentirsi in obbligo di tacere. Che in Italia ci sia un problema serio di adattamento a condizioni materiali estreme, è cosa nota. Il 15 luglio il Cnr diramava un comunicato stampa lamentando cali delle precipitazioni del “50 per cento al nord, del 30 per cento al centro, del 50 per cento al sud e del 60 per cento nelle isole”. Contestualmente, gli invasi registravano volumi ridotti della metà e il caldo portava enorme evaporazione. Si doveva intervenire con scorte di foraggio per evitare di perdere il bestiame. Il comunicato stampa in questione però non è del 2024. E’ del 2002.

(…)

Il cambiamento climatico si esprime non nel singolo evento, ma nella trasformazione della distribuzione statistica, nella frequenza e profondità degli eventi medi. Il passato ci dice che siamo impreparati ad affrontare eventi estremi di questo tipo. Ma è del tutto evidente che se essi accadessero una volta per ogni generazione ci si potrebbe legittimamente interrogare sulla necessità di fare interventi strutturali per una rarità. Ma rari, questi eventi, non lo sono più. Sappiamo che il clima sta cambiando. Decenni di studi e, ormai, anni di osservazioni ci dicono che uno spostamento di questa statistica sta succedendo eccome. Da decenni sappiamo anche che il pianeta si sarebbe riscaldato.

E ora abbiamo serie storiche sufficientemente lunghe per vedere che la temperatura sul pianeta sta aumentando, e lo fa in maniera non uniforme. Sappiamo che l’Europa si sta riscaldando più del resto dell’emisfero, in media. Il Mediterraneo più del resto d’Europa, in media. E sappiamo anche che questo riscaldamento cambia le statistiche meteoclimatiche in Italia, con probabili siccità più frequenti e profonde, e fenomeni temporaleschi più intensi. Guardate che non siamo i soli ad avere questo problema. Il fatto che il Mediterraneo sia un cosiddetto hot-spot climatico non significa che sia l’unico, conclude Boccaletti.

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