La Turchia mira non solo ad aumentare la sicurezza energetica ma anche ad ottenere il potere di determinare i prezzi e a trarre profitto dal trasformazione del paese in un hub commerciale dell’intera regione
La geografia ha dotato la Turchia di una grande importanza strategica, situata al crocevia tra Europa, Asia e mondo arabo, ma è stata meno generosa con le risorse naturali. Per soddisfare i suoi bisogni energetici Ankara fa affidamento, infatti, sulle importazioni per quasi i tre quarti del consumo interno di energia, che si traducono in gran parte nell’approvvigionamento di gas russo.
Per questo il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha manifestato più volte l’intenzione di diversificare le forniture attingendo a nuove fonti di gas nel Mediterraneo orientale e nell’Iraq settentrionale. Tuttavia, lo sblocco di queste risorse è pieno di rischi sia economici sia geopolitici che potrebbero rendere difficile la sfida di collegare al mercato turco le nuove vie di approvvigionamento.
Le sfide verso oriente
Le risorse del Mediterraneo orientale sono suddivise tra tre paesi – Israele, Egitto e Cipro – che hanno storicamente relazioni complicate con la Turchia e anche tra loro. Il gas dell’Iraq settentrionale è esposto invece a tensioni politiche determinate dalle aspirazioni separatiste del popolo curdo, nonché dalle turbolenze più ampie nella regione, dilaniata da anni di guerra.
Insomma “ci sono molti fattori da considerare ed è difficile essere ottimisti, visto il miscuglio di numeri”, ha sottolineato Gareth Winrow, un analista indipendente esperto nel settore energetico turco al Financial Times. Tuttavia, alcuni recenti avvenimenti possono essere interpretati come segnali di un certo progresso. Rosneft, uno dei principali gruppi russi attivi nel settore energetico, ha annunciato questo mese l’avvio di una serie di trattative con il governo regionale iracheno del Kurdistan per la costruzione di un gasdotto che avrà lo scopo di rifornire il mercato turco ed europeo.
L’accordo definitivo è previsto per la fine dell’anno, secondo quanto hanno anticipato da Rosneft qualche giorno fa, e vedrà partire un progetto “accelerato” che dovrebbe far fluire il primo gas entro il 2020. Si aprono, quindi, nuove potenziali forniture ma il coinvolgimento di Rosneft dimostra quanto sia difficile per Turchia sfuggire alla “morsa” della Russia quando si parla di questioni energetiche. A dimostrazione di ciò, il colosso russo ha acquistato lo scorso anno una partecipazione del 30 per cento nel giacimento egiziano di Zohr da Eni, a ulteriore conferma del fatto che le imprese russe controllate dallo Stato stanno assumendo una posizione di dominio nel campo delle risorse energetiche che rischia di essere sottovalutata anche sui mercati europei. Zohr, comunque, servirà il mercato egiziano quando inizierà la produzione, prevista per la fine di quest’ anno. Il gigantesco campo ha un’enorme potenziale di esportazione, così come le risorse dei paesi vicini del Mediterraneo orientale.
Le risorse nel Mediterraneo orientale
Lo sviluppo del giacimento Leviathan in Israele, costato 3,75 miliardi di dollari, è stato approvato a febbraio dai suoi proprietari, guidati da Noble Energy che fa parte della Us drilling. La perforazione nelle acque cipriote è stata finora deludente, ma rimane ancora la speranza di ritrovamenti più grandi. La Turchia vede nel gas del Mediterraneo orientale un’opportunità, non solo come fonte di approvvigionamento, ma anche come modo per diventare un hub energetico per il resto d’ Europa.
Berat Albayrak, ministro turco per l’Energia e genero di Erdogan, ha dichiarato a luglio che si sarebbe recato in visita in Israele prima della fine dell’anno proprio per parlare della costruzione di un gasdotto tra i due paesi. Un accordo di questo tipo suggellerebbe un miglioramento delle relazioni bilaterali dopo le tensioni causate dall’uccisione da parte di Israele di 10 attivisti turchi filopalestinesi durante l’assalto di una nave in rotta verso Gaza nel 2010. Un ostacolo maggiore potrebbe essere però la ricerca di un percorso per l’infrastruttura di collegamento attraverso una regione travolta dalle rivalità. L’ostilità arabo-israeliana porta ad escludere le acque libanesi e siriane, ma il percorso alternativo, vicino a Cipro, è ancora più difficile. Il fallimento a luglio dei colloqui di riunificazione con la parte turca dell’isola, in fuga, fa temere il peggio per le possibilità di un sostegno cipriota. Ad aprile Israele ha firmato un accordo preliminare con Cipro, Grecia e Italia per la costruzione di un gasdotto separato diretto verso l’Europa occidentale: un segnale evidente di come il paese voglia “coprire” la scommessa turca con un’eventuale migliore rotta di mercato.
Il gas azero e il Turkish Stream
L’eventuale accesso al gas del Mediterraneo orientale e a quello nell’Iraq settentrionale si aggiungerebbe alle nuove forniture che dovrebbero arrivare in Turchia l’anno prossimo attraverso il gasdotto Trans-Anatoliano (Tanap) dall’Azerbaigian. Nel frattempo Gazprom ha iniziato a lavorare da maggio al Turkish Stream, un’opera da 12,7 miliardi di dollari per aggiungere ulteriori forniture russe al paese e al resto dell’Europa attraverso la Grecia. La corsa verso la realizzazione di nuove infrastrutture riflette lo status della Turchia come mercato energetico in maggiore crescita tra i paesi del gruppo Ocse più ricchi, con uno sviluppo medio annua del 4,4 per cento tra il 2005 e il 2015.
Con la diversificazione degli approvvigionamenti, la Turchia mira non solo ad aumentare la sicurezza energetica come detto ma anche ad ottenere il potere di determinare i prezzi e a trarre profitto dalla trasformazione del paese in un hub commerciale dell’intera regione. Senza dimenticare il fatto che la maggior parte del deficit commerciale turco è rappresentato proprio dalla voce energetica e per questo “ha bisogno di abbassare i prezzi del gas”, ha chiarito al Financial Times Matthew Bryza, un ex diplomatico statunitense, direttore della Turcas, una società turca attiva nel settore energetico.