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Ulivi Xylella

Xylella, una vicenda tra falsi miti e realtà

Scienza messa alla berlina, bufale che diventano verità. Bruxelles che ci bacchetta. Intanto il batterio continua a mietere gli ulivi del Salento
Nell’epoca di internet e delle fake news capita che si rincorrano falsi miti e che magari chi è chiamato a decidere non sia sereno nel compiere scelte che finiscono per incidere sulle persone o sul territorio. Il caso più eclatante degli ultimi tempi è quello della Xylella, un batterio che vive e si riproduce all’interno dell’apparato conduttore della linfa grezza delle piante. A distanza di anni da quando scoppiò il primo caso in Puglia, gli strascichi di una serie di scelte errate continuano a farsi sentire: oltre ad aver ucciso migliaia di piante, decine di scienziati sono finiti sotto inchiesta e sono state avviate e prorogate una serie di indagini sulla vicenda. Ma soprattutto si è negato per molto tempo l’esistenza del microrganismo patogeno bollandolo come un complotto, una bufala o nella migliore delle ipotesi, un’invenzione dei media per coprire multinazionali desiderose di investire senza problemi sul territorio o di voler fare affari con presunti (e inesistenti) ulivi ogm.

XylellaUna storia simile a quella ormai emblematica della virologa Ilaria Capua che insieme ad altre dodici persone, venne accusata per il traffico di virus dell’influenza aviaria. Una sorta di “untore” del XXI secolo che avrebbe avuto lo scopo di arricchirsi commercializzando dei vaccini. Salvo poi scoprire anni dopo la decisione dei giudici di archiviare il caso con la Capua, nel frattempo, trasferitasi negli Stati Uniti per continuare il suo lavoro ormai azzerato in Italia. Con la Xylella pare ripetersi una vicenda analoga. Senza dar retta alla scienza, si innescò un’autentica caccia alle streghe che portò alla fine del Piano Silletti per il contenimento dell’emergenza, all’inizio di una gestione commissariale, e all’apertura di una inchiesta della procura di Lecce. Inchiesta giunta ormai alla terza proroga e dalla quale si attende ancora una risposta all’interrogativo se qualcuno abbia introdotto volutamente il batterio nel Salento. Infine, alla creazione di una task force regionale che ancora è al lavoro per studiare un modo per contenere il fenomeno. Insomma, ci si è resi conto che non esisteva nessuna teoria del complotto e che le ordinanze del Tar non avrebbero salvato il paesaggio.

Così a distanza di quattro anni dalla scoperta della “Xylella che non esiste” il settore è in ginocchio con aziende che hanno chiuso i battenti e uliveti abbandonati a fare da sfondo in diverse zone della regione: l’area jonica è quella colpita più pesantemente, i territori intorno a Maglie ormai sono compromessi mentre la parte adriatica fino a Lecce risulta ancora abbastanza integra. Più a Nord, invece, ci sono alcuni focolai come a Oria, San Pietro Vernotico e San Vito ma si spera che non si propaghi ancora.

Nel mezzo una serie di “battaglie” istituzionali. Due su tutte. La prima il 5 aprile scorso che ha portato la dichiarazione di illegittimità da parte della Corte Costituzionale della norma della Regione Puglia contenuta nella legge del 2016 che fissava vincoli urbanistici sui terreni interessati dall’espianto degli ulivi colpiti da Xylella. La Consulta ha ‘bocciato’ il comma 3 perché prevedeva che da tali vincoli fosse esentata, a certe condizioni, solo la realizzazione delle opere pubbliche e non anche quelle private. Da qui l’impugnazione da parte della presidenza del Consiglio ritenendo potesse impattare sulla realizzazione di opere importanti. La seconda qualche giorno fa quando è stata modificata dalla Giunta regionale la legge per combattere la Xylella adeguandola alle indicazioni fornite dall’Europa diversi anni fa e che ricalca a grandi linee, e riabilita di fatto, il piano Silletti. Ora si prevede la rimozione immediata degli alberi infetti, di tutte le piante notoriamente malate e che presentano sintomi o sospettate di essere infette nel raggio di 100 metri, l’abbattimento delle piante ospiti a prescindere dal loro stato di salute. Vengono inoltre specificati i siti nei quali entro un raggio di 200 metri il servizio fitosanitario regionale ha disposto la rimozione immediata delle piante infette. Per quanto riguarda la tutela degli ulivi monumentali, la legge stabilisce che non vanno rimossi ma isolati e specifica che la norma vale per le piante non infette ricadenti nel raggio di 100 metri di distanza da quelle infette nella zona soggetta a eradicazione. Inoltre, al fine di sostenere la vitalità degli ulivi monumentali malati, la sperimentazione scientifica è consentita anche nell’area infetta ad esclusione della zona “cuscinetto” di 20 km nella quale si applicano le misure di contenimento.

Xylella Dopo le istituzioni, anche la scienza si è ripresa una rivincita grazie alla prestigiosa rivista “Nature” che ha accusato il nostro paese di aver ignorato tutte le raccomandazioni del mondo scientifico e di non aver seguito i piani di contenimento concordati con la Commissione Europea, mettendo così in pericolo l’intera Europa. “Dall’agosto 2016 si sono registrati progressi significativi nell’attuazione della decisione Ue – si legge nelle raccomandazioni della relazione della Commissione europea rivolte al nostro Paese in seguito a un audit tenuto in Puglia nel novembre 2016. – ma sono necessari ulteriori sforzi per prevenire l’ulteriore diffusione della malattia. In particolare, alcuni alberi infetti nella zona ‘cuscinetto’, la fascia di 20 chilometri a nord della provincia di Lecce, all’epoca dell’audit erano risultati rimossi in ritardo o non rimossi, aumentando le possibilità di diffusione della malattia”. Casi puntualmente verificatisi in Spagna con il primo rilevamento del batterio in una piantagione di mandorli vicino Valencia a luglio e in precedenza nell’isola di Maiorca su delle viti o in Corsica un paio di anni fa su una pianta simile al mirto. L’auspicio è che la lezione sia stata d’esempio anche per il futuro e che la politica non corra dietro a presunti complotti, sottovalutando le conseguenze delle scelte del presente. Anche se il rischio del “braccio di ferro” è sempre dietro l’angolo.

Alessandro Sperandio

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