Alla base della sua realizzazione c’è la necessità di diversificare gli approvvigionamenti e di avere una fonte a basse emissioni di Co2 come “ponte” verso le rinnovabili. Le proteste? Gli ulivi espiantati per i lavori torneranno al loro posto e l’azienda adempirà alle prescrizioni per tutelare la salute e la sicurezza dei cittadini
Il gasdotto Tap è a più del 50 per cento della sua realizzazione, a quasi 16 mesi dall’inizio della costruzione. Lo ha comunicato qualche giorno fa la multinazionale svizzera, secondo la quale “il calcolo, aggiornato all’inizio di settembre, include tanto l’ingegneria, che l’approvvigionamento dei materiali che la costruzione vera e propria”, in Albania, Grecia e Italia. Tuttavia mentre nei primi due paesi le aziende contrattiste hanno preparato circa il 70 per cento del percorso del gasdotto (539 km su 765 km), oltre il 45 per cento dei tubi in acciaio saldati sono già istati installati e le trincee riempite”, e “circa il 95 per cento dei 55mila tubi necessari alla costruzione del gasdotto sono stati consegnati” (in parte anche in Italia nel porto di Brindisi dal 3 al 6 settembre scorsi), nel nostro Paese si prosegue con lo scontro tra Regione Puglia e governo, in particolare con Michele Emiliano che contesta il progetto attraverso ricorsi a Tar e Consiglio di Stato.
Uno dei punti più dibattuti che ha riempito le cronache passate ha riguardato lo spostamento temporaneo degli ulivi dall’aera di cantiere del micro tunnel di uscita del gasdotto. Piante secolari che avrebbero rischiato di scomparire nel trasferimento. Durante la fase 0, in cui tutt’ora si trova il progetto, c’è stato il trasloco di poco più di 200 piante con una certa fatica a causa delle tensioni e dell’opposizione locale che ha richiesto l’impiego delle forze di polizia. Gli ulivi alla fine sono stati portati in siti autorizzati. Ne mancano 16 che verranno spostati a partire dal 1 novembre quando si riapriranno i termini per questa operazione: fino al 31 ottobre, infatti, le piante non si possono muovere perché in stato vegetativo e potrebbero non sopravvivere a un reimpianto. Naturalmente con cautela a causa della Xylella, il batterio che sta colpendo migliaia di ulivi del Salento.
Terminata questa fase si passerà alla realizzazione di un pozzo di spinta nel quale calare il mezzo meccanico che dovrà scavare il percorso del micro tunnel, realizzarlo e poi costruire il terminale di ricezione. Tutti passaggi che ancora devono essere autorizzati. Tap pensa di chiudere entro autunno dopo il primo via libera del Consiglio dei ministri l’8 agosto. Per quanto riguarda la Fase A1 del progetto (costruzione del pozzo di spinta e discesa del mezzo meccanico per lo scavo del micro tunnel) sono state ottemperate più della metà delle 14 prescrizioni previste, mentre procede in sede di comitato tecnico la verifica di esclusione dalla Via del micro tunnel stesso (prescrizione A5 con termine finale di presentazione delle osservazioni previsto per il 23 settembre), la cui realizzazione dovrebbe iniziare il prossimo gennaio, come ha sottolineato lo stesso governo nella riunione dell’8 agosto. Tempi che potrebbero essere rispettati dopo l’impugnazione da parte del governo della legge sulla partecipazione della Regione Puglia – che il governatore Michele Emiliano avrebbe potuto usare per riaprire la partita della Tap – in quanto, si legge nel comunicato del cdm, “alcune norme prevedono strumenti di partecipazione regionale relativamente a opere statali e di interesse nazionale che incidono significativamente sul dibattito pubblico previsto per tali opere dalla legislazione statale di riferimento”. Tradotto, per il governo la Regione Puglia ha violato “la competenza legislativa riservata allo Stato” all’interno della Costituzione in materia di “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia” oltre che i criteri sulla disciplina delle funzioni amministrative.
In una recente intervista alla Gazzetta del Mezzogiorno dell’amministratore delegato di Tap Luca Schieppati, il manager ha assicurato che per quest’opera “sarà evitata qualsiasi interferenza tra il pozzo di spinta e la falda locale con l’adozione di una metodologia che assicura la perfetta tenuta stagna. Anche nel punto di uscita del micro tunnel realizzeremo modifiche ottimali, ancora meno impattanti. E poi, una novità di grande valore anche tecnologico: per realizzare la tubazione stiamo facendo realizzare una macchina ad hoc per rendere l’intervento chirurgico e non invasivo. Per gli ulivi adotteremo tecniche di salvaguardia assolute, anche contro il batterio Xylella, come è stato già fatto per i 210 alberi zollati e trasportati a Masseria del Capitano”. Insomma verranno rispettate tute le prescrizioni arrivate da Regione e ministero dell’Ambiente. Parole che Schieppati ha ribadito proprio qualche giorno fa per rassicurare i proprietari delle terre su cui incideranno i lavori: “Le nostre maestranze stanno lavorando con gran cura lungo il percorso per assicurare che i terreni su cui sia stata completata la costruzione siano restituiti ai proprietari o agli utilizzatori nella loro condizione originale se non migliore. Stiamo anche collaborando con le autorità e con gli stakeholder locali per assicurare che i vantaggi del nostro progetto siano tangibili in tutte le comunità attraversate dalla conduttura”.
In Albania, per esempio, il passaggio del Tap dal 2013 ha aiutato più di dodicimila famiglie ad effettuare gli aggiornamenti catastali dei terreni e a ricevere i certificati di proprietà. L’azienda ha aggiornato infatti i dati catastali di circa 34mila proprietà delle quali solo meno del 30 per cento era interessata dai lavori di costruzione del gasdotto, prendendo in considerazione non solo gli appezzamenti direttamente interessati dal progetto, ma per un corridoio di 300 metri lungo il percorso di 215 km di Tap attraverso l’Albania, coprendo tutte le spese.
In ogni caso pare che qualcosa stia cambiando anche sul territorio di Melendugno: nei giorni scorsi è terminata la fase di presentazione delle domande per il programma Tap Start, un impegno a finanziare progetti di investimento in campo socio-ambientale. Sono stati inviati più di 30 progetti e i partecipanti sono triplicati rispetto all’edizione precedente. “Questa significativa partecipazione – ha commentato Michele Mario Elia, Country manager di Tap – e ancora di più il fatto che il 25% delle domande provenga dall’area di Melendugno e dintorni, dimostrano che il gradimento nei confronti del progetto è forte anche a livello locale. Tap non si accontenta di essere un attore fondamentale della diversificazione energetica dell’Italia, e delle politiche di decarbonizzazione della Puglia ma vuole collaborare in modo concreto e duraturo con chi vive insieme a noi in questo territorio, perché sia protagonista dello sviluppo locale, aiutando a realizzare le idee migliori”.
Altro punto dolente riguarda la sicurezza per la popolazione. Per esempio determinata dai presunti rischi derivanti dalla realizzazione di una centrale di depressurizzazione (Prt, Pressure Reduction Terminal) a Meledugno. Il gas, infatti, una volta trasportato via mare, approda sulla terraferma per essere immesso nella rete di Distribuzione nazionale per cui va abbassata la pressione in maniera indotta. Sul tema è stato presentato un esposto contro possibili danni ambientali da una delegazione di cittadini che ha depositato in procura l’atto. L’azienda si è detta non a conoscenza dell’esposto ma ha assicurato che l’impianto alla fine “è solo un terminale di ricezione così come ampiamente emerso da recenti sentenze emesse sia del Tar Lazio che dal Consiglio di Stato. Siamo certi che stiamo costruendo un impianto sicuro sotto il profilo della sicurezza e privo di emissioni in atmosfera. L’idea che ci possa essere un giudice terzo o un’inchiesta non ci spaventa perché siamo certi della qualità del nostro lavoro progettuale”.
C’è da dire che impianti simili si realizzano in tutto il mondo e anche nel resto d’Europa dove le regole sono stringenti. Per esempio il Nord Stream 2 che approderà in Germania è in corso di realizzazione e dovrebbe vedere la luce nel giro di un paio di anni. In Albania il ministero dell’Energia pochi giorni fa ha presentato uno studio preliminare di fattibilità per il gasdotto ionico-adriatico, sperando che l’Ue possa finanziare la sezione tra Albania e Montenegro. L’infrastruttura, lunga 511 km, dovrebbe costare fino a 618 milioni di euro, e collegare la Trans-Adriatic pipeline con il Montenegro, la Bosnia e la Croazia. Più a est procedono, invece, i lavori per il gasdotto “Turkish Stream”: sono stati posati più di 170km secondo quanto comunicato dal ministro dell’Energia russo Aleksandr Novak durante l’86esima sessione della fiera internazionale di Izmir. Il progetto è partito il 7 maggio e avrà come terminal europeo la Grecia. Mentre a sud la compagnia Sound Energy ha ricevuto una proposta del gruppo marocchino Advisory & Finance per finanziare il gasdotto per collegare i pozzi di Tendrara alla linea che collega il Marocco con l’Europa. Il progetto dovrebbe costare tra i 60 ei 100 milioni di dollari ed è un elemento strategico nella commercializzazione del gas.
Ma al di là dei ragionamenti di carattere locale ci sono anche ragioni geopolitiche e strategiche serie per la decisione di realizzare un gasdotto. A dirlo sono studi autorevoli come il recente rapporto della norvegese DNV GL secondo cui il dominio delle Big Oil verrà rovesciato in meno di vent’anni dal gas naturale che durerà almeno fino alla metà del secolo. Lo profetizza il capo dell’agenzia Remi Eriksen, considerato negli ambienti finanziari come uno dei maggiori esperti al mondo di valutazione del rischio in ambito industriale. Secondo Eriksen, parlando di stime prudenziali, si prevede un “boom” delle rinnovabili, mentre calerà l’uso di petrolio e carbone. “Il gas supererà il petrolio quale fonte d’energia maggiormente utilizzata nel mondo nel 2034”, e nel 2050 coprirà il 27% del mix energetico mondiale diventando di fatto la fonte maggiore per la transizione energetica. Senza dimenticare un altro studio, redatto di recente da Global Market Insights società leader nel settore della consulenza globale e della gestione di mercato, secondo cui l’intero mercato dei gasdotti dovrebbe oltrepassare i 2 trilioni di dollari a livello mondiale entro il 2024 grazie alle crescenti scoperte di riserve non convenzionali e all’alto numero di centrali elettriche alimentate a gas in tutto il mondo, utilizzate per la loro alta efficienza e per le ridotte emissioni di Co2. Infine un altro elemento da tenere in considerazione e affrontato dall’amministratore delegato di Snam, Marco Alverà durante il forum di Cernobbio di inizio settembre. I dibattiti sulle sanzioni alla Russia “rendono ancora più urgente e necessaria un’alternativa, che stiamo sviluppando con altri soci, di portare il gas per l’Europa da una nuova fonte che è il Mar Caspio e cioè il corridoio Sud che deve arrivare in Puglia attraverso il Tap”. Alverà ha spiegato che “la geopolitica è parte integrante del nostro settore, perché importiamo molto gas dalla Russia e gas dal Nord Africa”. Inoltre la novità è rappresentata dal fatto che gli “Stati Uniti da importatori di greggio e gas sono diventati esportatori, quindi, anche fenomeni climatici, come gli uragani, hanno di colpo impatto su prezzi e disponibilità di gas. E questo rende più fragile il sistema”.
Alessandro Sperandio