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Dalle città deboli segnali di transizione ecologica nello scenario post-pandemico. La fotografia Istat

È quanto emerge dal Rapporto Ambiente Urbano 2021 redatto dall’Istituto di Statistica.

Nel 2021 l’offerta di Trasporto pubblico locale (Tpl) torna ai livelli pre-pandemici, la domanda non recupera. Resta ampio il divario Nord-Sud nei servizi di Tpl. Nel Tpl rallenta lo sviluppo delle infrastrutture fisse, ma prosegue il rinnovamento del parco circolante. Si rafforza l’offerta dei servizi di mobilità condivisa. Mentre le aree di forestazione urbana, utili alla mitigazione dei cambiamenti climatici, sono presenti solo in 55 capoluoghi su 109 (+22% di superficie rispetto al 2011). Aumentano, infine, i consumi finali di energia (+6,4%) e migliora l’efficienza energetica dell’illuminazione stradale (+10,7% di punti luce a Led). È la fotografia scattata dall’Istat nel Rapporto Ambiente Urbano 2021.

RALLENTA LO SVILUPPO DELLE INFRASTRUTTURE FISSE PER IL TPL

Nel 2021 prosegue lo sviluppo delle reti filoviarie (+6,9% rispetto all’anno precedente, +37,3% dal 2016), ma non si registrano progressi per le reti di tram e metropolitana. La rete delle infrastrutture fisse in funzione nei comuni capoluogo comprende 380 km di tramvie, 317 km di filovie e 191 km di metropolitane.

Nell’ambito del Piano di Ripresa e Resilienza (PNRR), l’Investimento 4.2 della Missione 2, Componente 2 (“Sviluppo del trasporto rapido di massa”), prevede la realizzazione entro il 2026 di 231 km di nuovi impianti fissi (11 km di metropolitane, 85 km di tramvie, 120 km di filovie e 15 di funicolari), prosegue Istat.

Soltanto 23 dei 109 comuni capoluogo dispongono di almeno una delle principali modalità di trasporto a impianti fissi (la metropolitana è presente in sette città, il tram in 12, il filobus in 13), continua l’analisi dell’Istituto di statistica. Oltre due terzi degli 888 km complessivi di linee di tram, filobus e metropolitana si trovano nelle città del Nord. Le infrastrutture più estese in rapporto alla superficie urbanizzata sono la rete tranviaria di Milano e la rete filoviaria di Bologna (rispettivamente 121,8 e 121,5 km per 100 km2). Fra le reti di metropolitana, le densità più elevate si registrano a Milano e Brescia (48,9 e 25,6 km per 100 km2).

IN QUATTRO CAPOLUOGHI SU CINQUE IL TPL VIAGGIA SOLO SU GOMMA

Nell’insieme dei comuni capoluogo, il trasporto su gomma (autobus e filobus) fornisce il 57,8% dell’offerta di Tpl (47% nei capoluoghi metropolitani, 95,6% negli altri capoluoghi), ma in quattro città su cinque rappresenta la quasi totalità (oltre il 99%) dell’offerta complessiva.

Solo in tre città il trasporto su gomma non è predominante: Milano (dove il 63,8% dell’offerta è fornito dalla metropolitana e il 12,8% dal tram), Napoli (64,5% metropolitana, 4,2% tram e funicolare) e Venezia (40,9% trasporti per vie d’acqua, 10,1% tram).

La composizione dell’offerta, tuttavia, va lentamente modificandosi: nel quinquennio 2016-2021 la quota dell’autobus è diminuita di 2,7 punti percentuali (dal 58,7 al 56%), mentre quella della metropolitana è cresciuta nella stessa proporzione (dal 31,1 al 33,8%). È in lieve aumento anche la quota del filobus (dall’1,4 all’1,8%), mentre si riducono le quote del tram (dal 7,1 al 6,8%) e delle altre modalità (funicolare/funivia e trasporti per vie d’acqua: dall’1,7 all’1,5%), sottolinea Istat.

TRA I CAPOLUOGHI SOPRA I 100 MILA ABITANTI 1 SU 5 ANCORA SENZA PUMS

Alla fine del 2021 sono 58 (sette in più rispetto al 2020 e 19 in più rispetto al 2019) i capoluoghi che hanno adottato o approvato il Piano urbano di mobilità sostenibile (Pums), fra cui 35 dei 43 capoluoghi sopra i 100mila abitanti che hanno l’obbligo di adottarlo secondo la normativa vigente. Nella maggior parte dei casi (44 su 58) i Pums coprono il solo territorio comunale del capoluogo. Resta poco utilizzata, pertanto, la possibilità di estendere il piano ai comuni limitrofi, adottando un approccio alla pianificazione della mobilità per aree funzionali (come i bacini di pendolarismo), anziché per unità amministrative.

CONTINUA IL RINNOVAMENTO DEL PARCO VEICOLARE, ANCORA TROPPI BUS OBSOLETI AL SUD

I servizi di autobus forniscono la maggior parte dell’offerta di Tpl (il 56% dei posti-km ma più del 90% fuori dalle città metropolitane), quindi l’adeguamento del parco circolante agli standard di emissione più avanzati è fondamentale per la sostenibilità della mobilità urbana. Nel 2021 il numero dei veicoli in esercizio torna a crescere (+1,9% sull’anno precedente), anche se recupera solo in parte la flessione del 3,8% registrata nel 2020 rispetto al 2019.

La quota di autobus a emissioni zero o conformi allo standard più avanzato (Euro 6) guadagna 6,2 punti percentuali, raggiungendo il 44%. Cresce, tuttavia, anche la quota dei veicoli Euro 5 (dal 31,2 al 33,1%), mentre si riduce sensibilmente quella dei veicoli in classe Euro 4 o inferiore (dal 31 al 22,9%), prosegue l’Istituto di Statistica.

I maggiori progressi si registrano nelle città del Centro e del Mezzogiorno, determinando una significativa riduzione delle differenze territoriali nella composizione del parco circolante per classe di emissioni: i bus Euro 6 sono il 44,2% del totale nel Nord (+2,4 p.p.), il 45,3% nel Centro (+9,7 p.p.) e il 41,7% nel Mezzogiorno (+11,2 p.p.). Le città del Sud, tuttavia, restano in forte ritardo nella dismissione degli autobus più obsoleti, avendo ancora in circolazione il 35,9% di veicoli in classe Euro 4 o inferiore, contro il 23,8% del Nord-ovest, il 19,9% del Nord-est, il 19,8% del Centro e il 16% delle Isole, chiude l’Istat.

QUASI UN AUTOBUS SU TRE A BASSE EMISSIONI, IN FORTE CRESCITA I VEICOLI ELETTRICI

Gli autobus a basse emissioni (elettrici/ibridi o alimentati a metano/Gpl) sono il 32,9% del totale, in aumento di 2,3 punti percentuali rispetto all’anno precedente e di 8,7 punti rispetto al 2016.

Tra gli autobus a basse emissioni, quelli elettrici o ibridi sono ancora una minoranza, pari al 7,4% del totale. Rispetto al 2020, tuttavia, la flotta di questi veicoli è cresciuta del 73,5%, mentre quella degli autobus alimentati a gas si è leggermente ridotta (-1,1%), prosegue l’Istituto di Statistica.

L’incidenza dei veicoli a basse emissioni è significativamente più elevata nel Nord-est (53%) e più bassa nelle Isole (20,5%), mentre nei capoluoghi metropolitani, nonostante un incremento di quasi 10 punti percentuali, resta nettamente inferiore alla media degli altri capoluoghi (28,6% contro 38,3%), continua l’Istat.

Fra le grandi città, tuttavia, la quota dei bus a basse emissioni è molto variabile: supera il 75% a Bologna e il 60% a Catania e Bari, mentre è nulla a Reggio di Calabria e presenta valori molto inferiori alla media dei comuni capoluogo a Genova, Milano, Firenze, Napoli, Messina e Cagliari.

PIENO RECUPERO DELL’OFFERTA DI TPL, MA LA DOMANDA RESTA DEBOLE

Nel 2021 l’offerta di Tpl registra un incremento del 26,2% rispetto all’anno precedente, recuperando pienamente il calo connesso all’impatto della pandemia, senza differenze di rilievo fra città grandi e medio-piccole (+26,6% nei capoluoghi metropolitani, +25,2% negli altri capoluoghi).

Nell’insieme dei comuni capoluogo il valore medio risale a 4.748 posti-km per abitante (+2,6% rispetto al 2019). La distribuzione territoriale dell’offerta di Tpl, tuttavia, resta fortemente disuguale (6.048 posti-km per abitante nelle città del Nord, 5.653 in quelle del Centro e soltanto 1.961 in quelle del Mezzogiorno), prosegue l’Istat.

Diversamente dall’offerta, la domanda di Tpl ha avuto nel 2021 una ripresa molto debole (+4,3% sull’anno precedente), attestandosi su un valore medio di 104,3 passeggeri per abitante (-45,6% rispetto al 2019), aggiunge Istat. L’incremento è stato ancora più modesto nelle grandi città (+3,8% nei capoluoghi metropolitani, contro +6,1% degli altri capoluoghi) e addirittura negativo nell’insieme dei capoluoghi del Mezzogiorno (-2,8% sull’anno precedente, -54,7% rispetto al 2019). Si amplia, di conseguenza, il divario territoriale nell’utilizzazione dei servizi di Tpl: 147,3 passeggeri per abitante nei capoluoghi del Nord, 118,2 in quelli del Centro e appena 27,4 in quelli del Mezzogiorno.

ACCELERA LO SVILUPPO DELLE CICLABILI, ANCORA AMPIO IL DIVARIO FRA NORD E CENTRO-SUD

La rete delle piste ciclabili continua ad espandersi a ritmo crescente, registrando nel 2021 un incremento del 7,4%, dopo il +5,3% del 2020, il +4,4% del 2019 e il +3% del 2018. Lo sviluppo complessivo delle ciclovie supera 5.300 km nell’insieme nei comuni capoluogo (+25,1% rispetto al 2016). Tuttavia, 27 capoluoghi (uno su quattro, fra cui Messina e Catania) dispongono di una rete molto ridotta (meno di 10 km) e altri sei – tutti nel Mezzogiorno – ne sono del tutto privi.

Nell’ambito del PNRR l’Investimento 4.1 della Missione 2, Componente 2 (“Rafforzamento della mobilità ciclistica”), prevede la realizzazione entro il 2026 di 365 km di nuove piste ciclabili urbane, prosegue Istat.
L’incremento delle piste ciclabili è stato più intenso al Centro-sud (+9,8% sull’anno precedente, contro +6,5% del Nord), confermando il trend degli ultimi cinque anni. Il divario territoriale, pertanto, si va lentamente riducendo, ma le differenze sono ancora molto ampie e la dotazione resta particolarmente carente nelle grandi città del Mezzogiorno. Oltre il 70% dell’infrastruttura ciclabile si concentra, infatti, nelle città del Nord, dove la densità raggiunge 65 km per 100 km2 di superficie territoriale, contro i 27,4 della media dei capoluoghi: quasi quattro volte il valore medio del Centro (17,7) e più di dieci volte quello del Mezzogiorno (6,3), aggiunge l’Istituto di Statistica.
La densità della rete è mediamente più alta nei capoluoghi metropolitani (41,6 km per 100 km2, contro i 24,1 degli altri capoluoghi), ma le differenze fra le grandi città sono ancora maggiori di quelle fra le ripartizioni. Le densità più elevate si rilevano a Torino e Milano (fra 160 e 170 km di piste ciclabili per 100 km2), seguite da Bologna e Firenze (fra 115 e 120). All’estremità opposta si collocano, invece, Napoli (16,1 km di piste ciclabili per 100 km2) e Reggio di Calabria, Messina e Catania (meno di 5).

NELLA MOBILITÀ CONDIVISA CONSOLIDATE LE TENDENZE DEL PERIODO PANDEMICO

I dati 2021 sul car sharing confermano l’inversione di tendenza osservata nell’anno della pandemia, che ha interrotto la crescita dei servizi a flusso libero e rilanciato quelli a postazione fissa. Per il secondo anno consecutivo, infatti, i servizi a flusso libero registrano un ridimensionamento delle proprie flotte (-5,7% sull’anno precedente, -20,7% rispetto al 2019), mentre continuano ad aumentare i veicoli gestiti dai servizi a postazione fissa (+8% sull’anno precedente, +25,4% rispetto al 2019). Poiché questi ultimi, tuttavia, restano meno numerosi (poco più di 1.200 contro i circa 5.700 dei servizi a flusso libero), l’offerta complessiva del car sharing continua a restringersi (-3,5% sull’anno precedente, -15,1% rispetto al 2019). Torna a crescere, invece, la platea delle città servite in cui opera almeno una delle due modalità di servizio (36, come nel 2019: 23 nel Nord, 4 nel Centro e 9 nel Mezzogiorno).

I servizi di bike sharing sono presenti in 61 capoluoghi (6 in più rispetto all’anno precedente), con una flotta di oltre 42mila biciclette utilizzate prevalentemente da servizi a flusso libero (72,5%). Dopo il rilancio osservato nel 2020 (+14%), la flotta cresce di un altro 9,7% nel 2021, segnando un nuovo massimo storico.

La crescita è ancora più sostenuta per lo scooter sharing, che nel 2011 è presente in 14 capoluoghi contro i 5 dell’anno precedente e compare per la prima volta fuori dai capoluoghi metropolitani e in alcune città del Mezzogiorno. La flotta complessiva conta poco più di 9mila motocicli (+21% sull’anno precedente, +58,8% rispetto al 2019), conclude l’Istat.

BOOM DEL BIKE SHARING E DEI SERVIZI DI MICROMOBILITÀ ELETTRICA

Completano il ventaglio dell’offerta di mobilità condivisa i servizi di micromobilità elettrica, introdotti in via sperimentale in alcune città nel 2019. Nel 2021 i capoluoghi serviti passano da 22 a 42, con una distribuzione territoriale piuttosto equilibrata (18 nel Nord, 8 nel Centro e 16 nel Mezzogiorno) e una flotta complessiva di circa 50mila monopattini (+67,1% sull’anno precedente).

L’offerta complessiva di mobilità condivisa nei comuni capoluogo sale a 61,7 veicoli ogni 10mila abitanti, oltre il 30% in più dell’anno precedente. La disponibilità si concentra nelle grandi città (91 veicoli ogni 10mila abitanti nei capoluoghi metropolitani, contro i 29,1 degli altri capoluoghi) e nelle città del Centro e del Nord (rispettivamente 79,2 e 72,2 veicoli ogni 10mila abitanti, contro i 25,6 del Mezzogiorno), puntualizza l’Istituto di Statistica.

Insieme alla crisi della domanda di Tpl, la rapida espansione dell’offerta di mobilità condivisa (trainata dal bike sharing e dai servizi di micromobilità) rappresenta la novità più rilevante nello scenario post-pandemico della mobilità nelle città italiane. L’impatto della pandemia, invece, non ha arrestato la crescita del tasso di motorizzazione (passato, fra il 2019 e il 2021, da 625 a 631 autovetture per 1.000 abitanti nei comuni capoluogo). Ciò porta a ipotizzare che i servizi di mobilità condivisa, intesi a costituire un’alternativa all’uso dell’auto privata, abbiano finito per intercettare, piuttosto, una quota significativa della domanda di Tpl.

DEBOLE CRESCITA DEL VERDE URBANO NELL’ULTIMO DECENNIO

Nei comuni capoluogo, dove vive il 30% della popolazione italiana (17,6 milioni di abitanti), il verde urbano rappresenta in media il 2,9% del territorio (572 km2), pari a 32,5 m2 per abitante. Le aree naturali protette (comprese quelle della Rete Natura 2000) sono invece pari al 16,7% (oltre 3.268 km2), Complessivamente le aree verdi urbane e protette, al netto delle sovrapposizioni, coprono 3.841 km2, pari al 19,6% del territorio dei capoluoghi. La superficie complessiva delle aree verdi aumenta in media dello 0,3% all’anno dal 2011 (+0,6% all’anno nei capoluoghi metropolitani).

Non tutte le aree verdi sono aperte alla fruizione diretta dei cittadini: la proporzione di quelle accessibili è di 19,5 m2 per abitante. Il rapporto è significativamente più alto nelle città del Nord (mediamente 30,1 nel Nord-est e 20,1 nel Nord-ovest, mentre scende a 18,9 al Centro e a 11,9 nel Mezzogiorno). Tra i capoluoghi metropolitani spiccano Venezia e Torino (40,5 e 22,5 m2 per abitante), mentre agli ultimi posti si trovano Genova al Nord e Messina nel Mezzogiorno, con meno di 6 m2 per abitante. La disponibilità di aree verdi accessibili è minore nei capoluoghi metropolitani rispetto agli altri capoluoghi (16,0 contro 23,3 m2 per abitante in media), prosegue Istat.

Le aree naturali protette, capaci di produrre servizi ecosistemici e di importanza strategica ai fini della tutela della biodiversità, ricoprono più della metà del territorio a Venezia, Messina e Cagliari (la Laguna a Venezia, i Monti Peloritani e la Dorsale Curcuraci a Messina e lo Stagno a Cagliari, una delle più importanti aree umide d’Europa).

IN AUMENTO LE AREE DI FORESTAZIONE URBANA

Le aree di forestazione urbana e periurbana (compresi nell’investimento 3.1 dedicato alla tutela e alla valorizzazione del verde urbano e extra urbano nel PNRR), contribuiscono alla riduzione delle emissioni e dell’effetto “isola di calore” tipico delle aree urbane. Sono stati realizzati interventi di forestazione urbana in 55 capoluoghi (erano 30 nel 2011), estesi per 12,7 milioni di m2, corrispondenti a 34 m2 per ettaro di superficie urbanizzata. Tali aree sono particolarmente diffuse nei capoluoghi del Nord, che presentano valori molto superiori a quelli delle altre ripartizioni: 77 m2 per ettaro nel Nord-est e 40 m2 nel Nord-ovest, 20 m2 nel Centro, 8 m2 al Sud e 6 nelle Isole.

Rispetto al 2011 la superficie dedicata alla forestazione urbana è andata progressivamente aumentando (+22,2%), senza differenze di rilievo tra i capoluoghi delle città metropolitane e i capoluoghi di provincia. Gli incrementi più marcati si sono registrati nei capoluoghi del Nord-ovest (+33%), a seguire quelli delle Isole (+31,0 %), più contenuti al Sud (+19,6%) e nel Centro (+9,2%), aggiunge Istat.

PIÙ FRUIBILI I SERVIZI DIGITALI PER CITTADINI E IMPRESE

Il PNRR prevede un intervento organico per migliorare funzionalità e accessibilità dei servizi digitali di tutte le pubbliche amministrazioni (Investimento 1.4: Servizi digitali e cittadinanza digitale). Per quanto riguarda i comuni capoluogo, nel 2021 aumenta la diffusione dei servizi online di livello elevato, che consentono ai cittadini di concludere l’intero iter di alcune pratiche amministrative per via telematica: dal 26,5% al 34,5% dell’insieme dei servizi offerti dal comune, indipendentemente dal livello di digitalizzazione.

Variano di poco, invece, le quote dei servizi online di livello intermedio (scarico e inoltro della modulistica) e basso (solo scarico della modulistica), mentre diminuisce sensibilmente la quota dei servizi non accessibili online o che consentono al massimo la visualizzazione delle informazioni necessarie (dal 31,3% al 24,1%), prosegue Istat.

A livello territoriale i progressi più rilevanti si osservano nei capoluoghi del Nord-est (dal 38,2% al 51,7%), del Nord-ovest (dal 34,3% al 40,7%) e del Centro (dal 25,0% al 37,0%).

Nel Mezzogiorno, dove i valori restano al di sotto della media Italia, il progresso dei servizi di livello elevato è stato più contenuto (dal 16,7% al 24,1% nel Sud e dal 9,1% al 14,8% nelle Isole), continua Istat. Tra i capoluoghi metropolitani, in particolare Torino, Venezia, Genova, Bari e Roma offrono più del 60% dei servizi online con livello elevato di digitalizzazione. Di contro, Firenze e Cagliari dispongono al massimo di servizi di livello intermedio.

Esaminando i servizi di livello elevato più diffusi e utilizzati, si osserva che, tra i servizi rivolti ai cittadini, il 61,5% dei comuni offre il rilascio di Certificati anagrafici e il 57,8% servizi di supporto alle mense scolastiche. Tra i servizi rivolti alle imprese, invece, il 61,5% dei comuni offre lo Sportello unico per le attività produttive (Suap), il 56,0% i Permessi di costruire e il 55,0% la Dichiarazione di inizio attività produttiva (Diap) e lo Sportello unico per l’edilizia (Sue), conclude Istat.

TORNANO A CRESCERE GLI ACQUISTI CON APPLICAZIONE DI CRITERI AMBIENTALI MINIMI

Nel 2021, su 102 comuni capoluogo che hanno effettuato almeno un acquisto per le 18 categorie di beni e servizi regolamentate dai Criteri ambientali minimi (Cam), 89 hanno applicato, almeno in parte, i corrispondenti Decreti attuativi. Rispetto al 2020, quando si era osservata una diminuzione dei comuni con applicazione di Cam (82), si ritorna alla situazione pre-pandemica (nel 2019 erano 85 comuni).

L’applicazione dei Cam è molto più diffusa nelle città del Nord e del Centro, dove si osserva anche un incremento del numero medio di categorie acquistate applicando i Cam. Infatti, l’applicazione dei Cam ha riguardato, in media, 7,5 categorie di beni e servizi acquistati nel Nord (76,5% delle categorie acquistate contro 71,9% del 2020) e 7,3 categorie nel Centro (77,7% contro 74,2% del 2020). Sostanzialmente stabile, invece, il dato dei capoluoghi del Mezzogiorno (3,7 categorie, pari al 35,9%), prosegue l’Istituto di statistica.

Nel 2021, tutte le 14 Amministrazioni dei capoluoghi metropolitani hanno applicato i Cam in media per 5,2 categorie di beni e servizi acquistati (73,2%). La variabilità interna a questo gruppo, tuttavia, è molto ampia, aggiunge Istat. I Cam sono applicati più estesamente a Genova (per 9 categorie, nel 75% dei casi), Torino (8 categorie, 100% dei casi), Venezia (7 categorie, 87,5% dei casi), Reggio di Calabria (7 categorie, 100% dei casi) e Roma (6 categorie, 100% dei casi). Molto indietro risultano, invece, Messina (3 categorie, 100% dei casi), Napoli (2 categorie, 100% dei casi) e Catania (1 categoria, 13,3% dei casi).

MAGGIORI DIFFICOLTÀ NELL’APPLICAZIONE DEI CAM NELLE CITTÀ MEDIE E PICCOLE

Nel 2021, dei 102 comuni capoluogo che hanno effettuato acquisti per almeno una categoria di beni e servizi regolamentata dai Cam, 49 hanno lamentato difficoltà nella loro applicazione e sei di questi comuni hanno effettuato tutti gli acquisti senza applicarli. È quanto rileva l’Istat nel Rapporto Ambiente Urbano 2021.

Le principali difficoltà riscontrate dalle Amministrazioni comunali sono riferite a problemi per le verifiche di conformità alle specifiche tecniche dei Cam (31,4% dei comuni che hanno effettuato acquisti), alla mancanza di conoscenza e formazione da parte di tecnici e funzionari comunali (30,4%), all’interpretazione delle norme e alla stesura dei capitolati di gara (27,5%) e alla difficoltà di reperire fornitori idonei nelle piattaforme della PA e nel libero mercato (20,6%), prosegue Istat.

Sono i capoluoghi di provincia (non metropolitani) a riferire maggiori difficoltà nell’applicazione dei Cam: il 33% lamenta problemi per le verifiche di conformità, il 34,1% per mancanza di formazione, il 29,5% per la normativa troppo complessa e il 21,6% per la mancanza di fornitori, senza differenze rilevanti tra le ripartizioni territoriali. Tra le Amministrazioni dei capoluoghi metropolitani, difficoltà rilevanti sono riportate soltanto da Venezia, Bologna e Bari.

MIGLIORA L’EFFICIENZA ENERGETICA DELL’ILLUMINAZIONE STRADALE

Nel 2021 i punti luce per l’illuminazione stradale nei comuni capoluogo ammontano a circa 2,3 milioni (-0,9% sul 2020). Nonostante la leggera flessione, si osserva un investimento significativo da parte delle Amministrazioni nell’efficienza energetica dell’illuminazione stradale. Rispetto all’anno precedente, i punti luce con lampade a Led aumentano del 10,7%, raggiungendo il 61,4% del totale (+6,4 punti percentuali).

Le quote maggiori di punti luce a Led si rilevano nelle città del Centro (76,6%), del Nord-ovest (73,3%) e tra i capoluoghi di città metropolitana (72%). Fra questi ultimi, i progressi più rilevanti si osservano a Genova (dal 25,0 del 2020 al 68,5% del 2021), Messina (dal 46,6 al 67,4%) e Bari (dal 9,7 al 27,2%). Molto indietro rimangono, invece, Reggio di Calabria e Palermo, con una quota di punti luce a Led di circa il 2%, prosegue Istat.

Considerando, invece, i punti luce che montano ancora lampade a vapori di mercurio o a incandescenza (la cui produzione è vietata da una direttiva Ue fin dal 2015 perché considerate inquinanti), la loro quota residuale è in continua diminuzione (5,6%, contro il 6,8% del 2020). Tuttavia, questa tipologia di lampade risulta ancora presente in misura significativa in alcuni capoluoghi di città metropolitana come Venezia (44,6%), Palermo (31,4%), Catania (11,5%) e Napoli (8,8%).

NELLE GRANDI CITTÀ IN CALO IL CONSUMO DI ELETTRICITÀ PER L’ILLUMINAZIONE PUBBLICA

Nel 2021, a livello nazionale, l’illuminazione pubblica assorbe in media 85,9 kWh pro capite. Nei 14 capoluoghi di città metropolitana, invece, il consumo è circa la metà: passa da 41,9 kWh per abitante a 40,2 kWh (-4,1% sul 2020) e rappresenta una quota in diminuzione di 3,4 punti percentuali dei consumi elettrici complessivi delle amministrazioni (dal 48,2% al 44,8%). È quanto rileva l’Istat nel Rapporto Ambiente Urbano 2021.

Tutti i 14 capoluoghi hanno un consumo pro capite per l’illuminazione pubblica inferiore al dato nazionale, che risulta ovunque in diminuzione, tranne a Milano, Venezia, Bologna e Roma. Tra le grandi città che hanno investito nell’efficientamento dell’illuminazione pubblica si segnalano Genova e Messina, che hanno conseguito una riduzione di circa il 30% dei consumi pro capite, sottolinea l’Istituto di statistica.

AI LIVELLI PRE-PANDEMICI I CONSUMI ENERGETICI

Nel 2021 aumenta il consumo totale di energia (elettrica e da gas metano) sia a livello nazionale, sia per l’insieme dei 109 comuni capoluogo. Per questi ultimi l’incremento è del 6,4% rispetto all’anno precedente e il livello si attesta a 80 tep per 100 abitanti. Aumenta soprattutto la componente del gas (+7,0%, da 42,5 a 45,5 tep per 100 abitanti) e in misura minore quella elettrica (+5,5%, da 32,7 a 34,5).

La variazione dell’ultimo anno inverte il trend discendente del 2019-2020, osservato su tutto il territorio nazionale, e recupera il decremento del 5,4% registrato nell’anno pandemico. Un incremento di questa entità non si registrava almeno dal 2015 e non può essere associato a particolari condizioni climatiche, dato che le temperature medie del 2021 risultano sostanzialmente simili a quelle del quinquennio precedente, evidenzia Istat.

I livelli di consumo, che risentono delle differenti condizioni climatiche dei territori, sono invece fortemente diversificati per ripartizione geografica. Nel Nord, dove complessivamente i consumi di energia sono maggiori, si impiegano in totale 119,5 tep per 100 abitanti nel Nord-est (+7,9% sul 2020) e 97,2 nel Nord-ovest (+6,5%). Nel Centro, invece, dove l’incremento è minore (+4,6%), il consumo medio è di 71,6 tep per 100 abitanti. Nel Sud si consumano 54 tep per 100 abitanti (+6,0%) e nelle Isole l’impiego scende al valore più basso (40 tep per 100 abitanti, +7,3%), anche per effetto della metanizzazione ancora in corso della Sardegna, precisa l’Istituto di statistica.

MINORI CONSUMI PRO CAPITE DI ENERGIA NEI CAPOLUOGHI METROPOLITANI

I consumi pro capite sono più bassi nelle grandi città: nei capoluoghi metropolitani la media è di 68,3 tep per 100 abitanti (+4,9% sul 2020) contro i 93,1 degli altri capoluoghi (+7,5%). È quanto rileva l’Istat nel Rapporto Ambiente Urbano 2021.

Tra le grandi città, Milano, Venezia, Bologna e Firenze superano il valore medio dei consumi pro-capite complessivi di elettricità e gas metano. Milano e Venezia presentano valori superiori alla media per entrambe le componenti, Catania solo per la componente dell’energia elettrica e Bologna e Firenze solo per la componente del gas metano. Tra gli altri capoluoghi, il valore più elevato si rileva a Vicenza (171,6 tep per 100 abitanti), mentre quelli più bassi si osservano in tre comuni della Sardegna, prosegue Istat.

I consumi di energia elettrica diminuiscono solo in cinque capoluoghi, mentre sono in aumento di oltre il 10% in altri 16, tra cui Torino e Firenze. I consumi di gas diminuiscono solo in tre capoluoghi, tra cui Genova e Napoli e aumentano di oltre il 10% in altri 20.

DI NUOVO IN AUMENTO LA PRODUZIONE DI RIFIUTI URBANI

La riduzione dei rifiuti urbani è l’obiettivo prioritario dettato dalla Direttiva 2008/98/CE, al fine di ridurre i danni alla salute umana e all’ambiente. La gestione del ciclo dei rifiuti è fondamentale nella transizione verso l’economia circolare (PNRR, missione 2 componente 1). Nonostante i rifiuti urbani rappresentino una modesta frazione dei rifiuti totali prodotti (il 17,4% nel 2020), la loro gestione risulta complessa per l’eterogeneità della loro composizione e provenienza.

Nel 2021 in Italia la quantità di rifiuti urbani ammonta a 29,6 milioni di tonnellate. Dopo il brusco calo osservato nel 2020 (-3,1% sul 2019), la produzione pro capite si attesta a 500,9 kg per abitante, ritornando così ai livelli pre-pandemici (+2,9% rispetto all’anno precedente, -0,3% sul 2019), aggiunge Istat.

I comuni capoluogo, dove risiede il 29,8% della popolazione, nel 2021 producono il 32% dei rifiuti urbani (9,5 milioni di tonnellate), pari a 539,3 kg per abitante (+3,6% sul 2020). Nell’insieme dei capoluoghi, tuttavia, la produzione di rifiuti pro capite resta ancora al di sotto del livello pre-pandemico (-3,1% rispetto al 2019). L’incremento dei valori pro capite si rileva in 91 capoluoghi su 109, e 56 di questi tornano al livello del 2019 (±1%) o lo superano, evidenzia l’Istituto di statistica.

L’incremento si riscontra in tutte le ripartizioni geografiche, ma è significativamente più contenuto nel Nord-est (+1,2%) e più marcato nelle Isole (+5,1%), nel Nord-ovest e nel Centro (oltre +4%). Tra i capoluoghi metropolitani, che registrano in media un incremento del 4,3% rispetto all’anno precedente, il valore del 2019 è superato a Reggio di Calabria (+15,7%), Napoli (+5,1%), Genova (+4,5%) e Messina (+3,9%). Incrementi rilevanti si osservano, tuttavia, anche a Palermo (+6,1%), Milano (+5,5%) e Roma (+5,1%), mentre Bari e Bologna sono gli unici capoluoghi metropolitani dove la produzione di rifiuti pro capite continua a diminuire anche dopo la pandemia (rispettivamente -3,9% e -1% rispetto al 2020).

POCHI PROGRESSI NELLA RACCOLTA DIFFERENZIATA, ANCORA LONTANO IL TARGET UE

Elevati standard di qualità e quantità di raccolta differenziata sono fondamentali per il raggiungimento dei target di preparazione al riutilizzo e al riciclaggio previsti dal pacchetto sull’economia circolare (Direttiva 2018/851/UE, recepita dal D.Lgs. 116/2020). Ciononostante, il tasso di preparazione al riutilizzo e al riciclaggio dei rifiuti urbani (48,1%, stabile rispetto al 2020) risulta ancora inferiore all’obiettivo del 50% richiesto dell’Ue per il 2020. Inoltre, l’obiettivo del 65% di raccolta differenziata, fissato dal D.Lgs 152/2006 entro il 2012, non è stato ancora conseguito da tutti i comuni.

Nel 2021, in tutta Italia, la quota di raccolta differenziata si attesta al 64%, con un incremento di un punto percentuale sul 2020, inferiore a quello medio dei due anni precedenti (+2,5 punti percentuali). La quota di raccolta differenziata nei comuni capoluogo raggiunge il 53,5%, con un incremento di 1,1 punti percentuali rispetto al 2020. Le quote più elevate si rilevano nel Nord-est (67,6%), nel Nord-ovest (60,2%) e nel Centro (52,0%); molto indietro il Sud (44,7%) e le Isole (33,1%). I capoluoghi che hanno superato il target del 65% sono 61, contro i 56 del 2020 e i 17 del 2015. In 53 capoluoghi, tuttavia, si registra una quota di raccolta differenziata inferiore rispetto all’anno precedente, sottolinea Istat.

GRANDI CITTÀ IN FORTE RITARDO SULLA RACCOLTA DIFFERENZIATA

Nel 2021 la popolazione italiana residente in comuni che hanno raggiunto o superato il target del 65% di raccolta differenziata dei rifiuti urbani è il 58,7% del totale (+2 punti percentuali rispetto al 2020). Considerando i soli comuni capoluogo, tuttavia, tale quota scende al 29,3% (+1,7 punti rispetto al 2020) e si riduce ulteriormente nell’insieme dei capoluoghi metropolitani (4,4%, stabile rispetto al 2020). Negli altri capoluoghi di provincia la quota è del 57,1% (+3,4 punti percentuali rispetto al 2020).

Tra le ripartizioni la quota di popolazione residente nei capoluoghi che hanno raggiunto il target è più elevata nel Nord-est (55,4%, stabile rispetto al 2020). Seguono il Nord-ovest (30,6%, -1,5 punti percentuali rispetto al 2020), il Centro (20,9%, +1,9 p.p.), le Isole (20,6%, +1,4 p.p.) e il Sud (19,7%, +7,5 p.p.), prosegue Istat.

Nel 2021 i capoluoghi di provincia (non metropolitani) raggiungono il 63,7% di raccolta differenziata (+1,2 punti percentuali rispetto al 2020), contro il 44,3% dei capoluoghi di città metropolitana. Tra questi ultimi, Genova ha registrato l’incremento più significativo rispetto all’anno precedente (+4,5 punti percentuali); seguono Cagliari e Napoli con un incremento di oltre 3 punti. Cinque capoluoghi metropolitani, invece, non registrano progressi o riducono sensibilmente le loro quote di raccolta differenziata: Milano (-0,2 punti percentuali sul 2020), Venezia (-0,8), Bari (-3,3), Reggio di Calabria (-2,8) e Palermo (-0,9), aggiunge l’Istituto di statistica.

Venezia e Cagliari hanno superato, dal 2020, il 65% di raccolta differenziata dei rifiuti urbani, mentre otto capoluoghi metropolitani sono ancora al di sotto del 50%: Roma (45,0%), Genova (39,9%), Bari (38,3%), Napoli (37,5%), Reggio di Calabria (34,8%), Messina (32,1%), Palermo (13,6%) e Catania (11,3%).

Riguardo al peso dei materiali raccolti, la frazione organica rappresenta la quota prevalente dei rifiuti urbani differenziati nei comuni capoluogo (35,3% del totale, a fronte di un dato medio nazionale del 39%). La carta rappresenta, invece, il 24,3% della raccolta (contro il 19,1% della media nazionale) e il vetro l’11,7%, in linea con la media nazionale, sottolinea Istat.

POCHI CAPOLUOGHI HANNO AGGIORNATO LA ZONIZZAZIONE ACUSTICA NEGLI ULTIMI 5 ANNI

Nel 2021 l’81,7% dei comuni capoluogo ha adottato o approvato la zonizzazione acustica (atto tecnico obbligatorio con il quale il comune fissa i limiti per le sorgenti sonore esistenti). Solo il 19,3% di questi comuni ha aggiornato il piano recentemente (tra 2016 il 2021), mentre il 27,5% dei comuni lo ha aggiornato nei cinque anni precedenti. Nel 34,9% dei capoluoghi la zonizzazione è precedente al 2010.

Negli ultimi cinque anni la zonizzazione acustica è stata aggiornata dal 40,9% dei capoluoghi del Nord-est, dal 21,4% dei capoluoghi delle Isole e dal 20% dei capoluoghi del Nord-ovest. Nel 68,2% dei comuni del Centro vige ancora una zonizzazione aggiornata a più di 10 anni prima. Nel Mezzogiorno si riscontrano le percentuali più elevate di comuni che non hanno mai adottato o approvato questo strumento (42,3% nel Sud e 50% nelle Isole), prosegue Istat.

Tra i capoluoghi metropolitani solamente Reggio di Calabria, Palermo e Cagliari hanno aggiornato la zonizzazione negli ultimi 5 anni; a Torino, Milano, Bologna e Catania l’ultimo aggiornamento è stato effettuato tra il 2010 e il 2015, in altre sei città prima del 2010. Bari, infine, non ha una zonizzazione acustica in vigore.

ATTIVITÀ DI CONTROLLO DEL RUMORE IN CRESCITA AL NORD-OVEST E AL CENTRO

Aumentano le attività di controllo dei valori limite previsti dalla normativa sull’inquinamento acustico. Nel 2021 sono stati effettuati 910 controlli (5,2 ogni 100mila abitanti), con un aumento rispetto al 2020 del 12,3%. Analogo andamento si riscontra per i controlli che hanno accertato un superamento dei limiti, i quali sono aumentati del 12,2% (2,3 ogni 100mila abitanti). Il superamento dei limiti è stato accertato nel 44,4% dei casi.

I controlli totali e quelli con rilevazione di superamenti aumentano in maniera considerevole soprattutto nel Centro (+70,7% e +55,7% sul 2020), mentre nel Nord l’aumento è più contenuto (+20,8% e +14,5%). Nei capoluoghi del Mezzogiorno si riscontra invece una diminuzione del 21% dei controlli e del 5,6% dei superamenti, nelle Isole si ha una diminuzione del 5,6% dei controlli e dell’8,4% dei superamenti nel Sud.

Un aumento di controlli e superamenti si osserva anche nei capoluoghi metropolitani (rispettivamente +6,3% e +6,4% sul 2020), ma assai più contenuto rispetto alla media degli altri comuni capoluogo (+21,6% e +25,2%).

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