Che cosa dice il pre-consuntivo petrolifero dell’Unem sul 2023
Nel 2023 i mercati petroliferi hanno confermato le tendenze emerse nel corso degli ultimi tre anni, con una domanda di petrolio in costante crescita per il recupero post-pandemia e un’offerta che non sempre ha tenuto lo stesso passo.
La domanda di petrolio complessivamente è stata pari a 102 milioni b/g, 2,4 milioni in più rispetto allo scorso anno e 1,3 milioni al 2019. Questa robusta crescita è stata trainata quasi esclusivamente dai Paesi non-Ocse, in particolare dalla Cina che ha contribuito per circa i tre quarti del totale, a fronte di una sostanziale stabilità di quella dei Paesi Ocse.
I TREND DEI SINGOLI PAESI
Analizzando le dinamiche dei singoli Paesi, emerge come la domanda degli Stati Uniti sia stata di poco inferiore a quella del periodo pre-Covid (-1,9%), mentre per l’Europa il gap è risultato ben più consistente (-6,3%) con volumi tornati sui livelli del 2014. Complessivamente, negli ultimi dieci anni la domanda è cresciuta di 10 milioni b/g, che diventano oltre 25 milioni rispetto al 2000, ossia poco più di vent’anni fa, a fronte di una popolazione mondiale che nello stesso periodo è aumentata di 2 miliardi di persone (da 6 a 8 miliardi), di cui 1,7 miliardi nei Paesi non-Ocse.
LE ATTESE PER IL 2024
Le attese per il 2024 sono di un ulteriore progresso, stimato dall’Agenzia Internazionale per l’Energia (AIE) in circa 900.000 b/g – anche se altre Istituzioni stimano una crescita ben superiore, compresa tra gli 1,5 e i 2,2 milioni b/g – per il modesto calo dei Paesi Ocse, ampiamente compensato da quelli non-Ocse che dal 2013 hanno superato i primi. Ciò nonostante tassi di crescita economica meno sostenuti rispetto al passato sia in Cina che in Europa. Quanto all’offerta di petrolio, nel 2023 si è attestata a 101,8 milioni b/g, con un progresso di soli 1,7 milioni b/g rispetto al 2022. Un rallentamento dovuto alle scelte dell’Opec Plus che da fine 2022 ha progressivamente ridotto la propria produzione per cercare di arginare la caduta dei prezzi osservata a partire dalla seconda metà del 2022 e proseguita nella prima parte di quest’anno.
LE MOSSE DI OPEC+
Dal novembre 2022 l’Opec Plus, tenendo conto anche delle successive riduzioni volontarie di Russia (500.000 b/g) e Arabia Saudita (1 milione b/g), ha ridotto l’offerta di circa 5 milioni b/g, ossia il 5% dell’offerta mondiale, mentre i paesi non-Opec Plus hanno aumentato la loro produzione di 2,1 milioni b/g grazie agli Stati Uniti che sono divenuti a tutti gli effetti i primi produttori mondiali, con volumi persino superiori a quelli di Arabia Saudita e Russia messi insieme, rafforzando così la propria presenza sui mercati internazionali grazie ad esportazioni di greggio e prodotti pari ad oltre 6 milioni b/g. A queste riduzioni si sono recentemente aggiunti gli ulteriori tagli volontari annunciati il 30 novembre scorso per un totale di 2,2 milioni b/g, però solo da parte di alcuni Paesi, limitati per ora al primo trimestre 2024. Una decisione che non ha ottenuto un consenso unanime tra i vari Paesi aderenti, sia sull’entità sia sulla ripartizione, aprendo un fronte di dissenso
interno guidato dai Paesi africani.
Un’altra novità in casa Opec Plus è stato l’annuncio dell’ingresso del Brasile, che attualmente produce intorno ai 3,7 milioni b/g, però in qualità di Paese osservatore in quanto non disposto a sottostare ad alcuna quota produttiva. Con questa mossa, dal chiaro sapore politico considerato che
il Brasile è uno degli artefici della trasformazione dei Brics in una sorta di Brics+ con l’adesione di Arabia Saudita, Emirati Arabi, Argentina, Egitto, Etiopia e Iran, l’Opec Plus arriverà a rappresentare il 60% della produzione mondiale rispetto all’attuale 50%, con l’evidente scopo di esercitare un
controllo sempre più stretto sull’offerta e quindi sui prezzi del petrolio.
LE STIME DI AIE, IL TREND DEI PREZZI
L’AIE stima che nel 2024 l’offerta di petrolio crescerà ancora, superando i 103 milioni b/g (+1,6 milioni b/g vs il 2023, prevalentemente per la crescita produttiva dei Paesi non-Opec) e spingendo il mercato in una possibile condizione di surplus, la cui entità è però legata all’evoluzione del contesto
macroeconomico e geopolitico.
In questo quadro, i prezzi del Brent hanno mostrato un andamento a “strappi”, con rapide inversioni di tendenza dovute alle tante incertezze che hanno caratterizzato l’anno, visto il protrarsi del conflitto russo-ucraino e, più recentemente, l’avvio degli scontri in Medio Oriente.
Ad una prima fase ribassista nei primi mesi dell’anno, con prezzi che hanno oscillato nella fascia 75-80 dollari/barile, a partire dall’estate è seguita una fase decisamente rialzista che ha spinto le quotazioni del Brent ben oltre i 95 dollari/barile, sulla scia degli annunci di nuove riduzioni dell’offerta da parte di Arabia Saudita e Russia e anche per i problemi che hanno interessato diverse aree di produzione.
Nuova correzione di rotta a partire da novembre, con prezzi che hanno ricominciato a scendere fino ai 74 dollari/barile di inizio dicembre, per l’indebolimento del contesto macroeconomico che, secondo molti analisti, proseguirà anche nel 2024, e a nulla è servito l’annuncio di un ulteriore
riduzione di offerta dell’Opec Plus visto che nella settimana successiva
l’annuncio il greggio ha perso oltre 5 dollari/barile.
Elementi che indicano una chiara tendenza dell’offerta globale a riequilibrarsi in tempi molto più rapidi rispetto al passato. In media nel 2023 il Brent ha quotato intorno agli 83 dollari/barile, in calo
di oltre il 16% rispetto ad un 2022 che aveva fatto registrare i picchi massimi degli ultimi dieci anni.
Quanto alle attese per il 2024, lo stato attuale dei fondamentali indicherebbe il protrarsi dell’attuale fase ribassista che, secondo alcuni analisti, potrebbe portare ad una quotazione media annua nella forchetta 75-85 dollari/barile, senza tuttavia escludere possibili spike.
Le stesse tendenze del greggio, anche più accentuate, si sono avute sul mercato dei prodotti raffinati in larga parte dovute alle difficoltà che ha incontrato la raffinazione nel coprire una domanda abbastanza sostenuta, in particolare nel settore dei trasporti, in un contesto di scorte basse e
necessità di intervenire con le manutenzioni degli impianti non più rinviabili come nel 2022. Gli incrementi maggiori si sono avuti tra agosto e settembre, quando le quotazioni sui mercati internazionali (Platts Cif Med) di benzina e gasolio sono tornate a superare i 1.000 dollari/tonnellata,
corrispondenti a 75-80 centesimi euro/litro, come accaduto solo all’indomani dell’invasione russa dell’Ucraina.
LA SITUAZIONE POST 24 FEBBRAIO 2022
Ciò è stato l’effetto combinato delle sanzioni alla Russia su greggi e prodotti raffinati e, appunto nel periodo estivo, delle temperature estreme negli Stati Uniti, Europa e in Cina, che hanno limitato la flessibilità operativa degli impianti di circa il 20% rispetto ai livelli operativi standard, riducendo
l’offerta di prodotti che sono venuti a mancare soprattutto sui mercati europei.
In valore assoluto le esportazioni russe di greggio e prodotti durante il 2023, si sono mantenute in linea con i volumi precedenti le sanzioni, intorno ai 7,6 milioni b/g, ma sono andate perlopiù in Cina, che è passata dagli 1,6 milioni b/g del 2021 agli attuali 2,4 milioni, e in India, che da poco più di 100.000 b/g è arrivata ad oltre 2 milioni. Di contro, l’Europa dai 3,4 milioni b/g del 2021 è scesa agli attuali 600.000 b/g diretti verso quei Paesi oggetto di deroghe specifiche al regime sanzionatorio.
I prezzi dei prodotti, al pari di quelli del greggio, si sono successivamente fortemente ridimensionati tornando ad inizio dicembre sotto gli 800 dollari/tonnellata, pari a 55-60 centesimi euro/litro (-20% rispetto ai picchi di settembre) per un sostanziale riequilibrio dei fondamentali.
Quanto agli investimenti in E&P, nel 2023 sono ammontati a circa 470 miliardi di dollari, un valore in linea con quello degli ultimi tre anni, ma meno della metà rispetto a quello di 10 anni fa quando però i costi di sviluppo di nuovi progetti erano molto più alti (circa il 60% in più). Un volume ritenuto dall’Agenzia internazionale per l’energia (Aie) più che sufficiente a soddisfare la domanda di petrolio dei prossimi anni che, sempre secondo l’AIE, nel 2028 dovrebbe toccare il picco di 106 milioni b/g per poi stabilizzarsi nei decenni successivi intorno ai 97-100 milioni b/g. Ciò pone dunque il problema di continuare ad incontrare una domanda comunque crescente di petrolio, garantendo un’offerta supportata da investimenti adeguati a compensare il naturale declino delle attuali
produzioni.
SCENARIO NAZIONALE
Nel 2023 la domanda di energia italiana si stima intorno ai 145 Mtep, inferiore di oltre il 3% (-4,6 Mtep) rispetto allo scorso anno e di circa il 9% rispetto al 2019 (-13,5 Mtep, di cui oltre il 70% dovuto ai minori consumi di gas che hanno caratterizzato gli ultimi due anni).
Il petrolio, che torna ad essere la prima fonte energetica nazionale con un peso del 37%, rileva una modesta variazione (-0,8%), soprattutto per le criticità della petrolchimica (-15%) che, come negli altri Paesi europei, sta risentendo delle crescenti esportazioni cinesi a basso prezzo, parzialmente
bilanciata dall’aumento dei carburanti per la mobilità stradale e aerea. Il gas naturale diminuisce dell’8,5% e scivola al secondo posto tra le fonti di energia, con un peso del 35%, per effetto delle temperature miti del 2023, a cui si è accompagnata una minore domanda sia nella termoelettrica
sia nel settore industriale per il forte aumento dei prezzi osservato dalla seconda metà del 2021, e ancor più nel 2022. Ciò ha portato ad una profonda ristrutturazione ed efficientamento dei processi manifatturieri, in particolare di quelli “gas intensive”, i cui effetti saranno strutturali.
COME CRESCONO LE RINNOVABILI
Le rinnovabili crescono di circa il 9%, recuperando gran parte delle perdite registrate nel corso del 2022, sebbene oltre il 74% di questa ripresa sia dovuto alla fonte idroelettrica (+33%) che lo scorso anno aveva scontato un lungo periodo di siccità. Il carbone diminuisce, invece, del 33% scontando sia una domanda elettrica in contrazione, sia il venir meno della necessità di supportare la
carenza di gas per la produzione termoelettrica, visto il ridimensionamento delle quotazioni del gas.
I consumi petroliferi nel complesso mostrano un modesto calo (-0,8%), sostenuti in particolare dal buon andamento della benzina (+5%), del carboturbo (+21%), tornato molto vicino ai livelli pre-pandemici, e dei bitumi (+7%).
Considerando i soli carburanti (benzina, gasolio e gpl) il segno diventa leggermente positivo (+0,3%) grazie soprattutto alla benzina che nel 2023 ha superato gli 8 milioni di tonnellate, livello che non toccava dal 2013. Un risultato effetto anche della progressiva ibridizzazione del parco auto che,
in termini di nuovo immatricolato, nel giro di dieci anni è passata da una quota di poco più dell’1% all’attuale 31%, con indubbi vantaggi anche dal punto di vista delle emissioni di CO2 allo scarico che nello stesso arco di tempo di sono ridotte di oltre il 13%. A migliorare è stata inoltre la carbon
intensity dei prodotti consumati grazie in particolare al maggior utilizzo dei biocarburanti.
LE IMPORTAZIONI DI GREGGIO
Altro elemento di rilievo riguarda le importazioni di greggio che nel 2023 non hanno più potuto contare su quelle russe, sostituite dal maggior apporto di altri paesi, tra i quali gli Stati Uniti che sono diventati per la prima volta nella storia il nostro terzo principale fornitore. Complessivamente nel 2023 abbiamo importato 82 tipi di greggi da 28 Paesi diversi proseguendo sulla strada della diversificazione delle aree di approvvigionamento iniziata anni fa: basti pensare che negli anni ’70
importavamo 25 qualità di greggi da soli 15 Paesi, con i paesi Opec che coprivano circa l’87% del totale, mentre oggi sono scesi al 50%.
Ciò si è riflesso anche nelle lavorazioni delle raffinerie che nel 2023 sono state pari 69,2 milioni di tonnellate, in lieve calo (-0,7%) rispetto al 2022, con un tasso di utilizzo in linea con quello dello scorso anno (78%) ma inferiore agli altri Paesi Ocse (84%) e ben lontano da quello del 2005 (99%).
In leggera ripresa le esportazioni di prodotti finiti ammontate nel complesso a 28,4 milioni di tonnellate (+0,5%), con un accresciuto peso del Medio ed Estremo Oriente quali mercati di destinazione, specialmente per i prodotti di alta qualità come i lubrificanti, ma anche per la virgin naphta data la flessione della domanda interna registrata dalla petrolchimica. Quanto alle importazioni di prodotti finiti, pari a 15,5 milioni di tonnellate (+2,3%), va rilevato l’aumentato peso di quelle provenienti da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait e India, in particolare di distillati medi, tutti Paesi che negli ultimi anni sono stati tra i pochi a sviluppare nuova capacità di raffinazione.
Ciò vale anche per i biocarburanti che continuiamo ad importare in attesa dell’ulteriore sviluppo di una filiera nazionale che già oggi ci permette di essere i secondi produttori europei: prodotti low carbon che avranno un ruolo rilevante nel processo di decarbonizzazione del trasporto che oggi è
soddisfatto per oltre il 90% da prodotti di origine fossile.
IL RIASSETTO DELLA RETE CARBURANTI
Un’evoluzione che dovrà accompagnarsi anche ad un riassetto della rete di distribuzione carburanti che oggi appare ridondante e poco efficiente considerato un atteso e progressivo calo dei consumi legato all’aumento dell’efficienza media dei veicoli, grazie anche all’ibridizzazione, e allo
sviluppo di motorizzazioni alternative.
Una infrastruttura che negli ultimi 15 anni ha visto aumentare il numero dei marchi presenti di un fattore 10 in un contesto estremamente competitivo dove il prezzo assume un rilievo decisivo nell’indirizzare le scelte degli utenti.
Prezzi che nel corso del 2023 sono stati al centro di molte polemiche, soprattutto all’inizio dell’anno per il ripristino delle accise piene sui carburanti, e durante l’estate per l’entrata in vigore dal 1° agosto dei nuovi cartelloni con in prezzi medi regionali per la rete ordinaria, nazionali per le
autostrade. Polemiche dimostratesi poi del tutto pretestuose perché, come rilevato dallo stesso Garante dei Prezzi, i prezzi hanno riflesso gli andamenti dei mercati internazionali, toccando i minimi dell’anno proprio in queste ultime settimane. In media annua la benzina è stata pari a 1,867 euro/litro, mentre il gasolio a 1,793 euro/litro, cioè un valore ben al di sotto di quello del 2022
che pur scontava una componente fiscale inferiore di 30 centesimi euro/litro.
A livello di prezzo industriale, si conferma anche quest’anno uno stacco negativo rispetto all’area euro, salito in media ponderata a 3,6 euro/litro rispetto ai 3,2 dello scorso anno
LA FATTURA ENERGETICA
In questo contesto, la fattura energetica nel 2023 si stima intorno ai 66 miliardi di euro, inferiore di 48,4 miliardi rispetto al record storico del 2022 (-42%), con un peso sul Pil sceso al 3,2% – il valore più basso degli ultimi 15 anni – rispetto al 5,9% dello scorso anno. A contribuire maggiormente a questa flessione, senz’altro il gas il cui esborso si è praticamente dimezzato rispetto al 2022. Se però nel conto consideriamo gli oltre 6 miliardi di euro che abbiamo speso quest’anno per l’acquisto dall’estero di tecnologie per la decarbonizzazione (accumulatori agli ioni di litio, pannelli fotovoltaici e per i veicoli ibridi plug-in) l’esborso netto sale a 72 miliardi di euro.
La fattura petrolifera si stima invece a 26 miliardi di euro, ossia 6,5 miliardi euro in meno (-20%), con un peso sul Pil sceso all’1,3% rispetto all’1,7% dello scorso anno. Un ammontare che in pratica è analogo a quanto speso in termini di tecnologie per la decarbonizzazione. Quanto al gettito fiscale degli oli minerali (accise+Iva), nel 2023 è stato pari a circa 42 miliardi di euro, circa 7 miliardi in più dovuti al ritorno dal 1° gennaio delle accise piene sui carburanti sebbene con prezzi nettamente
inferiori a quelli del 2023.