La ricerca, che ha analizzato 169 grandi aziende italiane sottoposte all’obbligo di rendicontazione di sostenibilità e ha coinvolto 115 imprese aderenti al network – mostra che, nonostante una crescente consapevolezza, la biodiversità resta ancora poco presente nelle strategie aziendali
Il 78% delle aziende italiane è consapevole che proteggere la natura rafforza la resilienza del proprio modello di business. Tuttavia, solo il 42% monitora in modo sistematico gli impatti delle proprie attività su biodiversità ed ecosistemi.
È questo uno dei dati principali che emergono dal nuovo studio “Le aziende italiane e la tutela del capitale naturale per contrastare il cambiamento climatico”, promosso dal Global Compact Network Italia, in collaborazione con The European House – Ambrosetti e l’Università Ca’ Foscari Venezia, con il supporto di Edison SpA. Il report sarà presentato domani alla COP30 di Belém, presso il Padiglione Italia, in collaborazione con il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica.
LA BIODIVERSITÀ È POCO PRESENTE NELLE STRATEGIE AZIENDALI
La ricerca – che ha analizzato 169 grandi aziende italiane sottoposte all’obbligo di rendicontazione di sostenibilità a partire dal FY2024 (escludendo banche e assicurazioni) e ha coinvolto 115 imprese aderenti al network – mostra che, nonostante una crescente consapevolezza, la biodiversità resta ancora poco presente nelle strategie aziendali.
Se circa la metà delle imprese dichiara di avere strumenti per gestire emissioni, acqua e rifiuti, la percentuale si riduce drasticamente quando si parla di tutela della biodiversità. Solo l’8% ha già adottato un Piano di Transizione per la Biodiversità.
SOLO IL 31% DELLE AZIENDE HA UNA POLICY AZIENDALE SUL CAPITALE NATURALE
L’integrazione del capitale naturale – cioè l’insieme delle risorse e dei servizi forniti dalla natura – nelle strategie ambientali delle imprese è in crescita, ma rimane poco strutturata. Il 57% delle aziende afferma di tenerne conto nelle proprie valutazioni ambientali e il 70% riconosce che un approccio integrato tra clima e natura porta benefici concreti.
Tuttavia, solo il 31% ha definito una policy aziendale specifica. Nella maggior parte dei casi, la spinta ad agire viene dalla necessità di gestire i rischi (67%), ma l’adozione di misure concrete è spesso ostacolata da difficoltà operative. Le principali barriere segnalate riguardano il coinvolgimento della filiera, i costi elevati, la mancanza di strumenti adeguati e di competenze interne.
Per questo motivo, le imprese chiedono incentivi economici, linee guida pratiche e strumenti di misurazione efficaci. Un dato incoraggiante arriva però dalle prospettive future, con l’81% delle aziende che prevede di rafforzare il proprio impegno nei prossimi anni.
IN EUROPA IL 72% DELLE IMPRESE È LEGATO AD ALMENO UN SERVIZIO NATURALE
Queste dinamiche si inseriscono in un contesto globale in cui la posta in gioco è altissima. Più della metà del PIL mondiale, pari a circa 55.000 miliardi di dollari, dipende direttamente dai servizi forniti dagli ecosistemi. In Europa, il 72% delle imprese è legato ad almeno uno di questi servizi naturali, e in Italia quasi l’80% dei prestiti bancari è esposto a settori vulnerabili ai rischi ambientali.
Nonostante un patrimonio naturale straordinario – che comprende oltre un terzo delle specie animali europee e quasi metà della flora – l’Italia mostra segnali allarmanti: 58 ecosistemi terrestri su 85 sono a rischio, pari al 46% del territorio nazionale.
BETTINI (UNGCNI): “AUMENTARE FLUSSI FINANZIARI DESTINATI ALLA TUTELA DELLA NATURA”
“Per raggiungere gli obiettivi fissati dal Global Biodiversity Framework al 2030, sarà necessario incrementare in modo significativo i flussi finanziari destinati alla tutela della natura”, ha dichiarato Filippo Bettini, presidente di UN Global Compact Network Italia.
“Oggi – ha aggiunto Bettini –, a fronte di un fabbisogno stimato in 1.150 miliardi di dollari all’anno – pari all’1% del PIL globale – solo 208 miliardi vengono effettivamente mobilitati. Le risorse pubbliche da sole non bastano, così come la quota – circa 35 miliardi – proveniente dal settore privato: serve un’alleanza pubblico-privato capace di catalizzare capitali, innovazione e competenze per costruire modelli di sviluppo che siano rigenerativi per la natura e sostenibili per l’economia”.
BERNACCHI (UNGCNI): “COINVOLGERE GOVERNI, IMPRESE, ISTITUZIONI E CITTADINI”
“La competitività delle imprese e la stabilità economica sono fortemente impattate dal capitale naturale. Esso rappresenta un vero e proprio asset strategico, e ignorarlo significa mettere a rischio il benessere delle persone, la solidità dei sistemi finanziari e le prospettive di sviluppo” ha dichiarato Daniela Bernacchi, Executive Director di UN Global Compact Network Italia.
“Di fronte alla crescente perdita di biodiversità e al degrado degli ecosistemi, è indispensabile un approccio integrato che coinvolga governi, imprese, istituzioni e cittadini in un’azione coordinata e ambiziosa. Le imprese devono attrezzarsi per comprendere e gestire le proprie dipendenze e i propri impatti sul capitale naturale. È importate definire obiettivi chiari e misurabili, investire in strumenti, competenze e governance e attivare partnership lungo le filiere e i territori in cui operano.
Non si tratta solo di una responsabilità ambientale: è una scelta strategica che rafforza la resilienza del business, crea valore condiviso e prepara le aziende a un futuro in cui sostenibilità e competitività saranno sempre più interdipendenti. In questo contesto, il Global Compact Network gioca un ruolo chiave nel promuovere competenze, confronto e apprendimento continuo tra le aziende aderenti”, ha concluso.


