All’Italian Hydrogen Summit l’appello di H2IT: servono il decreto Tariffe, il recepimento della direttiva RED III e una visione post-Pnrr. La strategia nazionale ha bisogno di concretezza.
Un tavolo interministeriale permanente per sbloccare i nodi normativi e dare certezze a un comparto strategico per la transizione energetica. È questa la richiesta forte e chiara emersa dall’Italian Hydrogen Summit, l’evento annuale organizzato da H2IT (Associazione Italiana Idrogeno) che ha riunito alla Camera dei Deputati il gotha dell’industria, della politica e delle istituzioni. A un anno dal varo della Strategia Nazionale, il messaggio è univoco: non basta pianificare, serve agire. Le imprese denunciano un quadro ancora troppo incerto, stretto tra ritardi burocratici e mancanza di strumenti operativi, rischiando di frenare investimenti cruciali proprio nel momento in cui l’Europa accelera sulla decarbonizzazione.
RITARDI NORMATIVI E RISCHI PER LA COMPETITIVITÀ
Il cahier de doléances del settore punta il dito contro due assenze pesanti. Da un lato il decreto Tariffe, strumento indispensabile per incentivare la produzione di idrogeno verde tramite i contratti per differenza, il cui ritardo sta paralizzando i piani industriali. Dall’altro il mancato recepimento della Direttiva UE RED III, fondamentale per stabilire quote obbligatorie di utilizzo dei carburanti rinnovabili nell’industria e nei trasporti. Per H2IT, questo stallo normativo compromette la fiducia degli investitori e mette a rischio l’efficacia dei fondi PNRR, rischiando di far perdere all’Italia il treno della competitività in un mercato globale che non aspetta.
LA MAPPA DELLE RISORSE E IL RUOLO DEI MINISTERI
La partita dell’idrogeno si gioca su più tavoli istituzionali, rendendo il coordinamento vitale. Al Ministero dell’Ambiente (MASE) fanno capo 1,5 miliardi di fondi PNRR e la responsabilità delle riforme chiave. Il Ministero delle Imprese (MIMIT) gestisce 2 miliardi destinati ai progetti IPCEI per la filiera industriale, mentre il Ministero dei Trasporti (MIT) ha stanziato 600 milioni per la mobilità su ferro e gomma. Ma le risorse, da sole, non bastano se manca la domanda. Dal summit è emersa la necessità di supportare l’acquisto di tecnologie “hydrogen-ready” e di veicoli a zero emissioni, creando un mercato interno solido.
L’IMPEGNO DELLE REGIONI: DAL TRENO LOMBARDO ALLA HYDROGEN VALLEY ADRIATICA
Mentre a livello centrale si cerca la quadra, i territori si muovono. Il 2025 ha visto passi avanti concreti grazie all’iniziativa delle Regioni. La Lombardia sta portando avanti il progetto del treno a idrogeno, un unicum europeo che punta a creare un ecosistema di mobilità sostenibile integrato con stazioni di rifornimento autostradali. Il Friuli-Venezia Giulia guida la North Adriatic Hydrogen Valley, esempio di collaborazione transfrontaliera, mentre la Puglia sfrutta il suo potenziale nelle rinnovabili per sviluppare una strategia industriale dedicata.
LE VOCI DELLE ISTITUZIONI: OBIETTIVI SFIDANTI E NEUTRALITÀ TECNOLOGICA
Dal palco del Summit, i rappresentanti del Governo hanno ribadito la centralità del vettore idrogeno. Il Ministro Gilberto Pichetto Fratin ha sottolineato l’obiettivo europeo al 2030 di 20 milioni di tonnellate (metà prodotte e metà importate), ammettendo però che i costi di produzione sono ancora troppo alti e serve un quadro normativo adeguato. Adolfo Urso (MIMIT) ha puntato sulla filiera nazionale e sulla pragmaticità delle scelte per rafforzare l’industria, mentre Raffaele Fitto, in un videomessaggio, ha evidenziato come l’idrogeno non sia più un settore emergente ma un pilastro della transizione, sostenuto anche dai 5 miliardi della politica di coesione.
LA POSIZIONE DI H2IT: “NON PIÙ SPERIMENTAZIONE, MA MERCATO”
Alberto Dossi, presidente di H2IT, ha tirato le fila del confronto con un appello alla concretezza: “L’idrogeno non è un esperimento, è una strategia industriale”. Per l’associazione, l’Italia ha le carte in regola per competere grazie a una filiera completa, ma serve neutralità tecnologica e continuità nei finanziamenti. Senza obiettivi chiari e strumenti stabili, avverte Dossi, il rischio è disperdere un patrimonio di competenze e progetti che potrebbe garantire al Paese sovranità energetica e crescita economica.


