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stop auto 2035

Bruxelles sotto assedio sul 2035: l’industria dell’auto chiede rinvii, Merz scrive a von der Leyen

ANFIA e la politica tedesca premono per neutralità tecnologica e biocarburanti: “A rischio 400mila posti». Gli ambientalisti: «Risorse scarse, priorità a navi e aerei”.

Si intensifica la pressione sulla Commissione Europea per rimettere in discussione lo stop alla vendita di veicoli a combustione interna previsto per il 2035. Un fronte compatto, composto dall’industria automobilistica italiana e dalla politica tedesca, sta chiedendo con urgenza una revisione delle tappe per la decarbonizzazione, invocando il principio della “neutralità tecnologica”. L’obiettivo è ottenere l’apertura ai biocarburanti e agli e-fuel per salvare il tessuto industriale continentale. Tuttavia, questa strategia incontra la ferma opposizione delle organizzazioni ambientaliste, secondo cui le alternative all’elettrico non sono praticabili su larga scala. Il confronto si accende in vista del 10 dicembre, data in cui l’Esecutivo UE dovrebbe presentare nuove misure a sostegno del settore.

L’ALLARME DI ANFIA: RISCHIO DEINDUSTRIALIZZAZIONE E DISOCCUPAZIONE

L’Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica (ANFIA) ha lanciato un grido d’allarme attraverso una lettera aperta indirizzata alle istituzioni e comparsa oggi sui quotidiani. I dati presentati sono drammatici: nonostante investimenti per oltre 250 miliardi di euro nell’elettrificazione, il 2024 ha visto la perdita di oltre 100.000 posti di lavoro nel settore in Europa, con altri 400.000 a rischio entro il 2028. L’associazione chiede di abbandonare l’approccio a “tappe forzate” verso il solo elettrico, proponendo un’estensione di cinque anni per l’adeguamento ai target e l’ammissibilità di una quota fino al 25% di veicoli non elettrici (BEV). La richiesta centrale è valorizzare i veicoli ibridi e i carburanti rinnovabili, rivedendo al rialzo gli obiettivi di emissione per il 2030, giudicati ormai irrealistici.

L’ASSE ITALO-TEDESCO E LA LETTERA DI MERZ

La posizione italiana trova una sponda politica di peso in Germania. Friedrich Merz, leader della CDU e candidato alla cancelleria, ha inviato una missiva alla presidente della Commissione Ursula von der Leyen, sollecitando un allentamento del divieto. Merz, secondo quanto riportato da Bloomberg, sostiene la necessità di considerare le emissioni dell’intero parco circolante e non solo delle nuove immatricolazioni, spingendo per un aumento delle quote di miscelazione dei biocarburanti sintetici e avanzati. La tesi è che una regolamentazione flessibile possa soddisfare gli obiettivi climatici senza compromettere l’innovazione e la creazione di valore industriale, in un momento in cui colossi come Volkswagen affrontano crisi senza precedenti.

LA REPLICA DI T&E: I BIOCARBURANTI NON SONO LA SOLUZIONE

A raffreddare gli entusiasmi sulle alternative al motore elettrico è intervenuta ieri Transport & Environment (T&E). L’organizzazione ambientalista ha diffuso un’analisi che definisce insostenibile l’utilizzo massiccio dei biocarburanti per il trasporto su strada. Secondo T&E, le materie prime sostenibili (come rifiuti urbani o scarti agricoli) sono limitate e dovrebbero essere riservate a settori difficili da elettrificare, come l’aviazione e il trasporto marittimo. Estendere il loro uso alle auto richiederebbe una quantità di risorse da due a nove volte superiore all’offerta sostenibile prevista per il 2050, aumentando il rischio di importazioni massicce dall’Asia e di frodi sulla reale origine “green” dei combustibili, con un impatto minimo sulla riduzione reale della CO2.

IL CASO ITALIA: PRODUZIONE AI MINIMI E COSTI EXTRA

Il focus di ANFIA si sposta anche sulle criticità specifiche del sistema Italia, dove i volumi produttivi sono crollati del 30% nel 2024 e di un ulteriore 15% nell’anno corrente, toccando il minimo storico di 450.000 unità. Oltre alla richiesta di attuare le proposte già condivise al Tavolo Automotive, l’associazione esprime ferma contrarietà all’introduzione di una nuova festività nazionale il 4 ottobre. Secondo le stime degli industriali, tale misura graverebbe sulla manifattura italiana per 4 miliardi di euro l’anno, minando ulteriormente la competitività del Paese rispetto ai concorrenti globali in un momento di estrema fragilità del comparto.

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