Tel Aviv sblocca l’export dopo mesi di stallo: in gioco la stabilità regionale e le casse dello Stato. Ma Il Cairo frena: “Solo business, nessuna intesa politica”.
Dopo mesi di rinvii e tensioni diplomatiche, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha dato il via libera definitivo a quello che ha definito “il più grande accordo sul gas nella storia di Israele”. L’intesa, del valore complessivo di circa 35 miliardi di dollari (30 miliardi di euro), prevede l’esportazione di gas naturale verso l’Egitto, coinvolgendo il colosso energetico statunitense Chevron e i partner israeliani NewMed Energy e Ratio Oil. La svolta arriva dopo un periodo di stallo caratterizzato da forti pressioni da parte degli Stati Uniti, culminate con l’annullamento della visita del Segretario all’Energia Chris Wright a ottobre, in segno di disappunto per i ritardi nella firma da parte del ministro israeliano Eli Cohen. L’accordo, siglato inizialmente ad agosto, era rimasto congelato a causa delle richieste di Cohen di migliorare le condizioni per il mercato interno e delle frizioni geopolitiche legate al conflitto a Gaza.
I DETTAGLI ECONOMICI E L’IMPATTO SULLE RISORSE
Il cuore dell’operazione è l’enorme giacimento offshore Leviathan, uno dei più grandi del Mediterraneo con riserve stimate in 600 miliardi di metri cubi. L’intesa prevede l’invio di ulteriori 7,5 miliardi di metri cubi di gas entro il 2029, triplicando quasi i flussi attuali verso l’Egitto, per un totale di 130 miliardi di metri cubi fino al 2040. Per sostenere questo incremento, NewMed ha annunciato investimenti per 2,5 miliardi di dollari destinati alla perforazione di nuovi pozzi. Netanyahu ha sottolineato l’enorme beneficio fiscale per Israele, stimando entrate statali per circa 18 miliardi di dollari, risorse cruciali per l’economia nazionale.
LA GEOPOLITICA DIETRO IL TUBO: IL RUOLO DI WASHINGTON
Al di là dei numeri, l’accordo si inserisce in una complessa manovra diplomatica orchestrata dalla Casa Bianca. Secondo fonti citate da Axios, l’amministrazione statunitense vede nel gas un volano per ricucire i rapporti, ormai logori, tra Netanyahu e il presidente egiziano Abdel-Fattah al-Sisi, deteriorati dallo scoppio della guerra a Gaza. L’obiettivo americano è favorire un incontro diretto tra i due leader, ipotizzato alla presenza del presidente Donald Trump nella sua residenza di Mar-a-Lago a fine mese. Tuttavia, la strada appare in salita: il Cairo mantiene una posizione rigida, condizionando qualsiasi avvicinamento politico a passi concreti di Israele verso la pace a Gaza.
LA REAZIONE FREDDA DELL’EGITTO: “SOLO COMMERCIO”
Nonostante l’entusiasmo israeliano, la risposta dell’Egitto è stata improntata alla massima cautela e distinzione. Il Servizio di informazione statale egiziano (SIS) ha diramato una nota ufficiale per chiarire che l’intesa è “puramente commerciale” e priva di qualsiasi “dimensione o intesa politica”. Diaa Rashwan, capo del SIS, ha ribadito che l’accordo è stato stipulato tra aziende private secondo le logiche di mercato, senza il coinvolgimento diretto del governo, e risponde all’interesse strategico dell’Egitto di consolidarsi come hub regionale per il commercio del gas nel Mediterraneo orientale. Una precisazione necessaria per il Cairo, che deve gestire l’opinione pubblica interna fortemente critica verso le azioni militari israeliane nella Striscia.
LO SCENARIO REGIONALE
La firma sblocca una partita energetica fondamentale ma lascia irrisolti i nodi politici. Mentre il gas fluisce per legare economicamente i due vicini, la diplomazia continua a lavorare sottotraccia. L’inviato della Casa Bianca Steve Witkoff è atteso a Miami per incontrare i rappresentanti di Qatar, Egitto e Turchia e discutere la prossima fase del piano di pace. Resta da vedere se le pipeline sottomarine basteranno a raffreddare le tensioni di una regione ancora infiammata dal conflitto.


