Perdite acqua, riconversione del settore auto, gas inglese e le interviste a Riberia e Marcegaglia: ecco cosa dicono i giornali oggi
Sull’acqua una ricerca Bain & Company mostra che servono 60 mld di euro di investimenti per tamponare le perdite della rete italiana. Mentre per quanto riguarda l’auto Di fronte alla radicalità della transizione elettrica, l’industria della componentistica auto italiana, è in grave difficoltà e sta pensando di riorganizzarsi riconvertendosi nell’industria dell’aerospace e della difesa. Per quanto riguarda la transizione due interviste oggi sui quotidiani: quella al ministro spagnolo Ribeira che si prevede sarà un prossimo futuro commissario Ue indicato da Madrid e all’ex presidente di Confindustria Emma Marcegaglia che chiede di utilizzare il debito Ue per il green deal. Infine secondo il ‘Focus Ue: dalla crisi energetica alla transizione green’ firmato dalla direzione studi e ricerche di Intesa Sanpaolo, nel periodo dal 2021 al 2023, le importazioni di gas dalla Gran Bretagna sono praticamente quadruplicate (+299%) da 7 a 29 miliardi di metri cubi, raggiungendo così l’Algeria, scesa invece del 12%, mentre la Norvegia (+5%) è diventata la prima fornitrice europea con 79 miliardi.
ACQUA, RICERCA BAIN & COMPANY: PERDITE RECORD E RIUSO AL PALO PER LA RETE ITALIANA
“Servono 60 miliardi di ulteriori investimenti per fronteggiare il crescente deficit idrico dell’Italia che deve fare i conti con perdite record (il 45% nel civile) per la rete nazionale, ben al di sopra della media Ue (10%), percentuali troppo risicate di riuso dell’acqua depurata (appena il 5% rispetto al 20% del resto d’Europa) e un prezzo dell’acqua potabile del 30% inferiore a quello che si registra nel Vecchio Continente e che, unito a tariffe di autoprelievo agricolo/industriale, pari a 0,04 euro per metro cubo, non risulta adeguato a stimolare comportamenti virtuosi. Poco diffusi anche a livello di consumi se si considerano i 220 litri di fabbisogno giornaliero pro capite a fronte dei 134 litri di media Ue con Spagna e Germania che si collocano anche al di sotto di questa asticella (rispettivamente 127 e 134 litri al giorno). A scattare la puntuale fotografia del sistema italiano è una ricerca realizzata da Bain & Company a valle di un incontro a porte chiuse che ha riunito attorno allo stesso tavolo istituzioni, autorità e aziende. Obiettivo: tracciare un quadro completo considerando che l’agricoltura rappresenta il 55% dei consumi idrici, seguito dal settore industriale con il 25%, mentre quello civile pesa solo per il 20 per cento”. È quanto si legge su Il Sole 24 Ore di oggi. “Secondo il check di Bain & Company, le criticità attuali – e quelle future in assenza di interventi adeguati – derivano da un settore complesso e frammentato (quasi il 50% del sistema è gestito da piccoli operatori e gestioni in economia), in cui pesa ancora la scarsa industrializzazione (appena il 28% della torta complessiva è in mano a player industriali). Ad aggravare la situazione, poi, c’è il rischio legato ai cambiamenti climatici che, con il continuo incremento delle temperature, renderà questa risorsa ancora più scarsa e preziosa, insieme all’aumento dei consumi (al 2050 previsto in crescita dell’8%) e alla riduzione dei deflussi idrici (-7% al 2050) (…)”, prosegue il quotidiano.
AUTO, ECCO IL ‘PIANO B’ PER L’INDOTTO ITALIANO
“Lascio l’auto e prendo il razzo. Di fronte alla radicalità della transizione elettrica, l’industria della componentistica auto italiana, uno dei nostri vanti, è in grave difficoltà. Cambia il terreno di gioco e molte delle parti che erano necessarie per realizzare il motore endotermico vengono completamente bypassate dall’avvento dell’elettricità. Soffrono le fonderie, soffrono le lavorazioni meccaniche e soffrono le imprese che a loro volta assemblavano sotto-componenti. Che fare? L’idea che, insieme, il Kilometro Rosso di Bergamo e la società di consulenza EY stanno portando avanti è quella di favorire la riconversione della fornitura dell’automotive in prodotti da vendere alle aziende dell’areospace e dell’industria della difesa”. È quanto si legge sull’inserto Economia del Corriere della Sera. “(…) Spiega Ivan Losio, partner di EY: ‘Il mercato della componentistica diminuirà in maniera sensibile perché nell’elettrico l’Italia non ha competenze specifiche e perché il nuovo motore necessita di un numero minimo di componenti. Noi non siamo presenti nella produzione di batterie e nemmeno nei componenti che vanno nelle stesse batterie, tutte specializzazioni di fatto monopolio dei cinesi’. Il risultato è che molti distretti della meccanica — citiamo Brescia, Reggio Emilia, Bergamo e Torino su tutti — andranno a soffrire anche perché nel frattempo i grandi carmakers — incluso Stellantis — stanno spostando altrove le produzioni (…)”, prosegue il quotidiano.
TRANSIZIONE, RIBEIRA: STOP AL CARBONE NEL MONDO, AIUTARE LA DECARBONIZZAZIONE
“Teresa Ribera, 53 anni, vicepresidente e ministra della Transizione del governo spagnolo, è considerata da molti il prossimo commissario europeo nominato da Madrid. All’Economia del Corriere parla della sua visione delle politiche verdi in Europa nei prossimi anni. Ministro, nel 2023 le emissioni a effetto serra hanno continuato a crescere a causa dell’aumento in Cina e India. Nell’opinione pubblica europea molti pensano che stanno facendo sacrifici, spendendo molte risorse e aumentando i loro costi di produzione per salvare il clima, ma ciò che accade nei Paesi emergenti vanifica del tutto gli sforzi in Europa. Come se ne esce? ‘Non siamo riusciti a far sì che la gente comune abbia l’esperienza concreta dei benefici della transizione. In Spagna e Portogallo il prezzo dell’elettricità è sostanzialmente più basso grazie alla produzione da fonti rinnovabili. Ma significa anche che dobbiamo affrontare la questione delle capacità di stoccaggio. Ci sono benefici concreti per la gente comune e per l’industria, grazie alla transizione. Sicuramente dobbiamo lavorare molto di più su questi aspetti e prestare attenzione ai settori della società che subiscono un impatto dalla transizione. Ma abbiamo insistito troppo sulle sfide e sulle difficoltà e non abbastanza sui benefici che la popolazione e l’economia possono avere: l’innovazione, le opportunità industriali. E aggiungo un punto: dobbiamo far sì che da nessuna parte del mondo si costruiscano nuove centrali elettriche a carbone’. (…)”. È quanto si legge sull’inserto Economia del Corriere della Sera. “La guerra in Ucraina e la crisi energetica che ne è seguita hanno rallentato la transizione europea? ‘L’invasione dell’Ucraina è stata una scossa. E questo porta a un’altra domanda irrisolta, su quanto hanno fatto i produttori di gas in quella fase. Nuove estrazioni che si erano già avviate sono andate avanti e sono stati firmati accordi di fornitura per venti o trent’anni’. (…) Cioè c’è un mercato dei sussidi all’energia in Europa per chi offre di più? ‘È un mercato. Le imprese dicono: quanto mi dai di fondi pubblici, se io prendo la decisione di investire da te e non in un altro Paese? Questo non è un fenomeno positivo. Dunque, sì: il ministro Lindner ha ragione. Dobbiamo aiutare la decarbonizzazione a livello internazionale, che è legata alla sicurezza energetica. Ma non mi sembra che il suo commento sia pienamente coerente’. (…)”, conclude il quotidiano.
ENERGIA, PERCHÉ L’EUROPA RINGRAZIA IL GAS INGLESE
“Parafrasando un vecchio slogan pubblicitario, il metano in arrivo dal Regno Unito ci dà una mano. Ne beneficia l’Europa che, all’inizio del 2022, davanti all’aggressione della Russia all’Ucraina, aveva dovuto tagliare i ponti con la sua prima fornitrice di gas, appunto Mosca. Da un lato, l’Ue è andata alla ricerca di nuovi venditori di materia prima energetica, aumentando altresì gli stoccaggi. Dall’altro, ha accelerato la transizione verso le rinnovabili”. È quanto si legge sull’inserto Affari & Finanza de La Repubblica. “Nella ricerca di nuovi fornitori di gas il Regno Unito ha svolto un ruolo di primo piano. Secondo il ‘Focus Ue: dalla crisi energetica alla transizione green’ firmato dalla direzione studi e ricerche di Intesa Sanpaolo, nel periodo dal 2021 al 2023, le importazioni di gas dalla Gran Bretagna sono praticamente quadruplicate (+299%) da 7 a 29 miliardi di metri cubi, raggiungendo così l’Algeria, scesa invece del 12%, mentre la Norvegia (+5%) è diventata la prima fornitrice europea con 79 miliardi (…). Dopo il conflitto ucraino, si è diffusa la cultura del ‘friendshoring’, termine con cui si fa riferimento al mantenimento degli affari nell’ambito dei Paesi ‘amici’. In questo quadro, osserva di Marcantonio, ‘l’Algeria è stata storicamente instabile a livello geopolitico, ma la guerra della Russia in Ucraina ha paradossalmente portato a uno scenario più tranquillo. C’è stata una stabilizzazione dell’economia del Paese legata anche al flusso monetario in arrivo dal gas, con la Francia ad assorbire buona parte dell’offerta. In ogni caso, il gas algerino, che presenta volumi stabili negli anni, appare facilmente sostituibile vista la competizione di Stati vicini come l’Egitto. Si tratta, tuttavia, di materia prima che giunge in Europa principalmente via tubo, quindi a differenza del Gnl già pronta e meno costosa’ (…)”, si le sull’inserto del quotidiano.
“In parallelo, le rinnovabili guadagnano posizioni: nel 2023, per la prima volta nella storia dell’Ue, hanno raggiunto il 40% dell’energia prodotta, spinte principalmente dal solare e dall’eolico, che da solo ha superato il contributo del gas naturale. Quest’ultimo, in ogni caso, continua a ricoprire un ruolo centrale. Basti pensare che rimane il principale combustibile per il riscaldamento, soprattutto domestico. (…) Secondo l’economista di Intesa Sanpaolo, il nostro Paese ‘continua a presentare una struttura di approvvigionamenti energetici legata al gas anche perché non ha potuto contare come la Francia sul nucleare o come la Germania sulle centrali a carbone, il cui programma di dismissioni è stato rimandato proprio per il venir meno dell’import dalla Russia. Va aggiunto che, nell’utilizzo del gas, l’Italia ha una conformazione geografica privilegiata, con un’ampia disponibilità di gasdotti, porti e impianti di rigassificazione’. In ogni caso, per di Marcantonio, ‘accrescere ulteriormente l’apporto delle rinnovabili resta fondamentale nell’ambito della transizione energetica in corso’”, conclude l’inserto del quotidiano.
TRANSIZIONE, EMMA MARCEGAGLIA: DEBITO UE PER CORREGGERE IL GREEN DEAL
“Spiega Emma Marcegaglia che gli imprenditori delle prime sette potenze industriali del pianeta hanno due fantasmi da scacciare. Uno è la debolezza dell’Europa, stretta tra ‘approccio burocratico alla transizione green’ e Unione ancora troppo flebile. L’altro si chiama protezionismo, che rischia di trovare nuova linfa nel ritorno di Donald Trump dopo essere già tornato di moda tra guerre e sovranismi. Marcegaglia mercoledì a Verona guiderà per Confindustria il B7 Italy 2024, il forum del mondo del business delle prime sette economie che precede il G7 di giovedì”. È quanto si legge su La Stampa di oggi. “Che cosa direte ai ministri del G7? ‘Arriveremo con un documento che metterà sul tavolo l’urgenza di quattro temi concreti da affrontare subito. Il primo è l’intelligenza artificiale, che se ben gestita può aumentare la competitività. Il secondo sono le catene del valore: la globalizzazione come l’abbiamo conosciuta finora non funziona più, ma temiamo che si torni a chiudere troppo i mercati, vediamo molte tentazioni protezionistiche che ci preoccupano molto. Il terzo è il clima: diciamo sì alla transizione, ma con meno burocrazia e massima neutralità tecnologica. Infine la partecipazione al lavoro di donne e giovani: servono nuove politiche di formazione e libera circolazione dei talenti nei Paesi del G7’ (…)”, prosegue il quotidiano. “Che cosa c’è di sbagliato nel Green Deal europeo? ‘L’approccio burocratico-ideologico e la mancanza degli investimenti necessari. Finora Bruxelles ha imposto regole troppo rigide su emissioni e auto, ma così ha penalizzato le imprese. Che pure sono assolutamente a favore della transizione’. In che modo vi aspettate che la prossima Commissione corregga la rotta? ‘Partiamo da due presupposti. Il primo: la domanda di energia crescerà, anche per la diffusione del digitale. Il secondo: per la transizione servono grandi capitali, pubblici e privati’. Come si risponde a queste due esigenze? ‘In primis con la neutralità tecnologica: va bene qualunque tecnologia riduca le emissioni. E poi con risorse davvero ingenti. L’Ira di Biden ha attirato capitali e imprese negli Usa: le aziende vanno dove ci sono le condizioni migliori, dobbiamo attrezzarci o l’Europa perderà la leadership sulle tecnologie green’ (…)”, prosegue il quotidiano.
“Come giudica il lavoro del governo italiano a favore delle imprese? ‘Penso si sia mosso bene tra revisione del Pnrr, Industria 5.0, collocazione atlantica e critiche al Green Deal europeo. Ora è importante supportare al meglio gli investimenti per la competitività delle imprese e ridurre il debito’. La transizione è decisiva anche per l’ex Ilva, in un settore che lei conosce bene. A che condizioni un privato oggi potrebbe investire su Taranto? ‘Purtroppo non c’erano alternative all’amministrazione straordinaria e il governo ha individuato figure di alto livello. Ora è importante far ripartire la produzione e capire i veri numeri dell’azienda: indebitamento e investimenti necessari. Poi si potrà riaprire a partner privati’. Il gruppo Marcegaglia è interessato? ‘Siamo da sempre i primi clienti di Ilva, che abbiamo già aiutato pagando le fatture in anticipo come chiesto dal ministro Urso. Per il futuro è presto per esprimersi. Aspettiamo che i commissari facciano il loro lavoro. L’Ilva va salvata: è decisiva per troppi settori della manifattura italiana’”conclude il quotidiano.