Urso chiede negoziato su dazi auto elettriche cinesi, rinnovabili +10,4% in un anno, spesa Pnrr ferma al 25% del totale. La rassegna stampa Energia
Il ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, propone all’Unione Europea una linea morbida sui dazi alle importazioni di auto elettriche cinesi: un negoziato. Intanto, in missione a Pechino, cerca investitori asiatici in diversi settori, dalle rinnovabili alle automobili. In particolare, in prima fila ci sarebbero il gruppo CCIG, che potrebbe investire con Seri e Invitalia nell’Industria Italiana Autobus di Flumeri, e Mingyang per un possibile stabilimento di produzione di turbine eoliche nel nostro Paese. Rinnovabili che a fine giugno hanno fatto registrare un aumento del 10,4% in un anno, con 72,84 gigawatt di potenza aggiuntiva installata, distribuiti tra 1.778.194 impianti. A fare la parte del leone è il solare. La spesa del Pnrr è ferma a 49,5 miliardi (appena 3,9 miliardi in più rispetto ai 45,6 miliardi di fine 2023), “di cui quasi 30 miliardi legati ai crediti di imposta automatici per i bonus edilizi e gli incentivi alle imprese. Gli investimenti pubblici veri e propri, insomma, restano a quota 20 miliardi circa. Un livello deludente, quello offerto dal censimento ufficiale della piattaforma ReGis, che fa crescere ulteriormente la montagna di spesa necessaria per completare tutti gli interventi del Piano entro la scadenza ad oggi fissata del 30 giugno 2026”, scrive Il Sole 24 Ore.
AUTO ELETTRICA, URSO CHIEDE NEGOZIATO CON CINA E CERCA INVESTITORI
“Il governo italiano, con il ministro delle Imprese e del made in Italy Adolfo Urso, apre a una «soluzione negoziale» tra Unione europea e Cina sull’applicazione di dazi aggiuntivi all’import di auto elettriche. Il ministro (e la cosa ha un valore doppio, visto che in queste ore si trova in missione ufficiale proprio a Pechino) attenua dunque i toni più bellicosi che nei mesi scorsi sembravano porre l’Italia decisamente tra i Paesi a favore dei dazi, in contrapposizione, per capirci, alla Germania. Ora la soluzione negoziale perorata dalla Germania, sebbene saranno i dettagli a fare la differenza tra le due posizioni, entra anche nel vocabolario diplomatico italiano. «I dazi – ha detto Urso al termine di un incontro con la comunità degli imprenditori italiani in Cina – sono talvolta lo strumento per ripristinare condizioni di mercato che siano state violate. Noi siamo ovviamente per un mercato libero ma equo e quindi ci auguriamo che in questo caso si possa trovare una soluzione negoziale che ripristini le condizioni dell’equità di mercato a fronte delle sovvenzioni di cui, come la Commissione europea ha verificato, hanno goduto le imprese cinesi».”, si legge su Il Sole 24 Ore.
“(…) L’obiettivo deve essere ripristinare le condizioni di mercato all’interno delle regole dell’Organizzazione mondiale del commercio. Restiamo favorevoli assolutamente al mercato libero, ma equo». Emerge il filo sottile della realpolitik. Perché, coincidenza forse imprevedibile, Urso si trova in Cina per preparare il terreno a investimenti cinesi in Italia, a partire dall’ambizione di portare nel nostro Paese un secondo produttore di auto, proprio mentre il caso dazi è al suo punto apicale. Dopo la decisione di non rinnovare l’intesa sulla Via della Seta – e in attesa della missione della premier Giorgia Meloni di fine mese, e poi del viaggio del presidente della Repubblica Sergio Mattarella dopo l’estate – il governo si gioca una fetta importante dei rapporti economici con il gigante asiatico”, continua il giornale.
“«Questo sarà un anno importante nel segno della storia e della cooperazione avvenuta in questi secoli tra i due mondi – dice Urso facendo riferimento alle celebrazioni per i 700 anni dalla morte di Marco Polo – un anno in cui si svilupperà questo partenariato strategico industriale che penso possa essere utile anche all’Europa. Per una collaborazione, per quanto ci riguarda, soprattutto sulla tecnologia green, sulla mobilità elettrica, sulla sostenibilità. Per arrivare a fare dell’Italia una piattaforma produttiva all’insegna di una nuova cooperazione win win».(…) Ieri Urso si è confrontato con il presidente di CCIG (China City industrial group, produttore di autobus), Gu Gifeng, e con il presidente di Chery Automobile, Yin Tongyue. Oggi sono in programma incontri con Dongfeng, Jac (produttori di auto elettriche come Chery), Weichai, Mingyang. (…) Discorsi in fase avanzata ci sarebbero in particolare con il gruppo CCIG candidato a investire insieme a Seri e Invitalia nell’Industria Italiana Autobus di Flumeri. Le rinnovabili, e in particolare un possibile insediamento per produrre turbine eoliche, sono invece al centro dell’incontro con Mingyang. E la farmaceutica e l’alta gamma sono oggetto di un’ulteriore azione di scouting di potenziali investitori. Le attenzioni più alte sono ovviamente riservate al possibile arrivo di un produttore di auto elettriche, che possa alimentare l’intera filiera italiana, e non è un caso che alla missione partecipi anche Roberto Vavassori, presidente di Anfia, l’associazione dei componentisti dell’automotive. Il ministero delle Imprese ritiene di avere buone carte per chiudere un’intesa, insistendo sulle «opportunità offerte dall’Italia come hub produttivo in Europa e nel Mediterraneo», piattaforma ideale per un costruttore cinese anche per dribblare alla radice il problema dei dazi.
PNRR, SPESI 49,5 MILIARDI: 25% DEL TOTALE
“Nel primo giorno della terza edizione di “Missione Italia”, l’evento annuale promosso dai sindaci dell’Anci per fare il punto sul Pnrr dei Comuni, emergono i numeri che spiegano la preoccupazione espressa mercoledì in cabina di regia dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. Il contatore aggiornato della spesa per i progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza, come indicano i dati dell’Ispettorato generale per il Pnrr del Mef guidato da Carmine di Nuzzo, è fermo a 49,5 miliardi (appena 3,9 miliardi in più rispetto ai 45,6 miliardi di fine 2023), di cui quasi 30 miliardi legati ai crediti di imposta automatici per i bonus edilizi e gli incentivi alle imprese. Gli investimenti pubblici veri e propri, insomma, restano a quota 20 miliardi circa. Un livello deludente, quello offerto dal censimento ufficiale della piattaforma ReGis, che fa crescere ulteriormente la montagna di spesa necessaria per completare tutti gli interventi del Piano entro la scadenza ad oggi fissata del 30 giugno 2026. Sulla cifra registrata dal cervellone informatico del ministero dell’Economia continuano a pesare gli inciampi nelle rendicontazioni (…) un’accelerazione è destinata ad arrivare, per esempio, grazie all’attivazione di Transizione 5.0, il cui decreto attuativo sta completando la lunga fase di gestazione e ora attende solo la registrazione da parte della Corte dei conti. Su quella misura in gioco ci sono 6,3 miliardi, totalizzati però ancora una volta con crediti d’imposta e non con il filone centrale della spesa in conto capitale da parte delle pubbliche amministrazioni”, si legge su Il Sole 24 Ore.
“Questa voce pare oggi esplodere solo nei conti comunali. Secondo le tabelle illustrate alla platea dei sindaci dal Ragioniere generale dello Stato, Biagio Mazzotta, nel 2023 gli investimenti locali sono stati pari a 17,1 miliardi, raddoppiati rispetto agli 8,7 miliardi del biennio 2017-2018. Una corsa che non accenna a fermarsi: nel primo semestre di quest’anno hanno raggiunto 8,64 miliardi, il 31,4% in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Il trend è figlio del Pnrr (…) – ma anche dei finanziamenti per le piccole e medie opere”, si legge sul giornale.
“Il futuro, con l’avvio operativo da gennaio della nuova governance fiscale comunitaria, è un’incognita. Per il ministro Raffaele Fitto, possibile nuovo commissario, «l’Unione europea dovrà costruire dinamiche analoghe al Next Generation Eu per affrontare la transizione verde e digitale», premiando ancora gli investimenti orientati alla crescita. Anche in questa ottica è cruciale la performance italiana sul Pnrr. Un metodo, prima ancora che un programma, che Fitto auspica «diventi la regola nell’attuazione e nella spesa della Pubblica amministrazione». Senza però illudersi troppo sulla possibilità di una improvvisa iper-efficienza del Paese. «È scontato – ha sottolineato il ministro – che problemi di attuazione continueranno a esserci; vivendo in Italia e non sulla Luna, dovremmo ricordarci sempre del 34% di spesa dei fondi della programmazione della coesione 2020-2026». Ma adesso accelerare è doveroso. Per questo Fitto non arretra sull’attuazione dell’articolo 2 del decreto legge Pnrr quater (19/2024) e sulla deadline intimata, non senza suscitare malumori, ai soggetti titolari: entro il 23 luglio dovranno aggiornare lo stato reale di attuazione del Piano”, si legge sul quotidiano.
“(…) Pronta la replica di Antonio Decaro, presidente uscente dell’Anci e fresco di elezione all’Europarlamento: «Non credo che avremo commissariamenti e penali, perché i Comuni non sono in ritardo. Abbiamo bandito gare per 34 miliardi dei 40 che ci erano stati assegnati. I nostri cantieri lavorano a pieno ritmo. Ma non sono sereno quando sento le parole di Giorgetti sulla spesa». Sempre ai Comuni sono destinati i 515 milioni di euro del piano per le mense scolastiche, grazie a un decreto del ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, convinto che «servirà ad abbattere un gap infrastrutturale in particolare nelle regioni del Mezzogiorno». Mentre Matteo Salvini, oltre a rilanciare lo stralcio attuativo da 950 milioni del Piano nazionale per le infrastrutture idriche (si veda Il Sole 24 Ore di ieri) e la proposta di elezione diretta dei presidenti delle Province, ha elencato i dossier di competenza del ministero delle Infrastrutture”, si legge sul giornale.
RINNOVABILI, 72,8 GIGAWATT INSTALLATI A GIUGNO: +10,4% IN UN ANNO
“La rotta l’ha disegnata il Piano nazionale integrato energia e clima, la strategia messa nero su bianco dal governo e appena trasmessa a Bruxelles con cui sono stati identificati gli obiettivi green e che fissa in 74 gigawatt (GW) aggiuntivi, rispetto al 2021 (l’anno di riferimento), la strada ancora da fare per centrare al 2030 l’asticella di 131 GW di potenza da fonte rinnovabile (dal solare all’eolico). Tradotto: per conseguire quel target assai ambizioso, la velocità di crociera necessaria deve attestarsi su un incremento di almeno 9-10 gigawatt di installato in più ogni anno (il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, posiziona l’asticella ancora più in alto, a 10-12 GW). Un bel salto, se si considera che siamo partiti da soglie molto basse poiché, fino al 2021, viaggiavamo poco sopra i mille megawatt annui in più, che sono diventati oltre 3mila aggiuntivi nel 2022 e quasi 5,8 GW di aumento nel 2023. E ora a che punto siamo? Per rispondere al quesito è necessario guardare alla fotografia elaborata dall’Osservatorio della transizione verde de Il Sole 24 Ore, che indica, secondo i dati di Terna, a fine giugno, 72,84 gigawatt di potenza installata da fonti rinnovabili distribuiti tra 1.778.194 impianti, di cui la fetta principale è rappresentata dal solare (33,62 GW pari a 1.763.977 impianti, +22,8% su giugno 2023), seguito dall’idrico rinnovabile (21,59 GW per 4.875 impianti, +0,1%) e dall’eolico (12,70 GW per 6.109 impianti, +4,8%)”, si legge su Il Sole 24 Ore.
“In soldoni, è un incremento di quasi 3,7 GW rispetto al dato di fine 2023 (69,15 GW), il 10,4% in più se confrontato invece con il livello toccato al 30 giugno dello scorso anno (65,97 GW), secondo il check del gruppo guidato da Giuseppina Di Foggia. (…) Tornando a quanto fatto finora, dai dati Terna, emerge inoltre che a fine giugno erano 33,62 i GW installati da solare (il 22,8% in più rispetto allo stesso periodo del 2023), 21,59 GW quelli da idrico (+4,8%), 12,70 GW da eolico (+4,8%) e 4,93 GW da bioenergie e geotermoelettrico (+10,4%). Considerando, poi, il dettaglio per fonte a partire dal solare, la fotografia di Terna evidenzia la prevalenza di piccoli impianti con potenza sotto i 12 kilowatt che ammontano a oltre 1,5 milioni e sono localizzati in particolare in Lombardia (254.829), in Veneto (221.670) e in Emilia Romagna (154.349). I progetti più grandi, di almeno 10 megawatt o sopra questa asticella, rappresentano una fetta molto piccola del totale (poco più di 2.400) di cui 586 nel Lazio e 542 in Sardegna e il resto distribuito soprattutto tra Puglia e Sicilia”, continua il quotidiano.
“Passando, invece, all’eolico dove le installazioni sono poco più di 6.100 secondo l’ultima rilevazione di Terna, la situazione è la seguente: gli impianti più grandi (almeno 10 megawatt o sopra tale livello) sono in Puglia (2.761), in Sicilia (2.221), e in Campania (1.995) e rappresentano la quota principale (11.399). Il resto è fatto soprattutto di impianti tra 20 e 200 kilowatt (4.151), di cui oltre 1.200 sono posizionati in Basilicata. Quanto all’idroelettrico, il numero di centrali al 30 giugno si attestava sui 4.876 distribuiti suddivisi tra impianti dai 20 ai 200 kilowatt (1.640) e quelli sopra i 200 kW ma inferiori al megawatt (1.592), localizzati soprattutto tra Piemonte, Lombardia e Trentino Alto-Adige.(…) Pniec. Nel quale, va detto, è contenuto un interessante capitolo che mette a fuoco gli investimenti necessari per lo sviluppo delle fonti rinnovabili e che indica in circa 20 miliardi lo sforzo da mettere in campo nel periodo 2024-2030 per realizzare gli obiettivi dello scenario Pniec rispetto a quanto previsto in quello a politiche correnti. A questi vanno aggiunti gli 8,3 miliardi in più necessari per sostenere lo sviluppo dell’eolico onshore e i 5,4 in più a supporto delle tecnologie offshore, per un ammontare complessivo pari a 35,7 miliardi”, continua il giornale.
“(…) L’Italia deve fare i conti, lamentano gli operatori, con le lungaggini burocratiche ancora esistenti, l’incertezza normativa determinata dagli ultimi provvedimenti adottati dall’esecutivo (le critiche sono concentrate soprattutto sul decreto Agricoltura) e le iniziative di singole Regioni (leggi Sardegna) che rischiano di introdurre possibili complicazioni rispetto al raggiungimento degli obiettivi (si veda altro articolo in pagina) con ricadute evidenti sui progetti in pista. Che pure, come detto, non mancano in base a quanto documenta la stessa Terna, secondo la quale le richieste di connessione al 30 giugno ammontano a 5.930 istanze per oltre 341 gigawatt di potenza, di cui 150,29 GW rappresentati dal solare (il 44,03% pari a 3.805 pratiche), 106,74 GW per l’eolico onshore (il 31,27% del totale, vale a dire 1.992 richieste) e 84,30 GW per l’eolico offshore (133 istanze, il 24,70% del monte complessivo). Il potenziale, dunque, è consistente e vale quasi cinque volte l’obiettivo da centrare nel Pniec. Quanto alla dislocazione, in testa c’è la Puglia con 1.422 richieste per 92,75 gigawatt, seguita dalla Sicilia con 1.167 istanze (81,73 GW) e dalla Sardegna con 824 pratiche per 54,39 gigawatt di potenza. Qui, però, bisognerà valutare, come si racconta in queste pagine, gli effetti della sospensione decisa dalla governatrice Alessandra Todde (M5S) che rischia di allontanare, e non di poco, lo sviluppo sostenibile del territorio e, più in generale, della transizione energetica”, continua il giornale.