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Banche e biodiversità: stretta creditizia per le imprese che inquinano di più

Studio BCE: i grandi polluters subiscono tagli ai prestiti e tassi più alti. Nel mirino le aziende vicine alle aree protette e quelle che minacciano le risorse idriche.

Le banche dell’area euro hanno iniziato a “prezzare” la perdita di biodiversità e l’inquinamento chimico, rendendo il credito più costoso o meno accessibile per le imprese meno sostenibili. È quanto emerge da un nuovo studio della Banca Centrale Europea (Working Paper n. 3164), che ha analizzato i dati di 832 istituti di credito e 5.000 grandi inquinatori industriali. La ricerca dimostra che il sistema finanziario sta integrando i rischi ambientali nelle proprie decisioni di prestito, allineandosi sempre più alle normative europee sulla tutela degli ecosistemi. Una svolta che penalizza soprattutto le aziende con un’elevata impronta di tossicità per le acque dolci e quelle operanti in prossimità di aree protette.

MENO CREDITO PER CHI MINACCIA GLI ECOSISTEMI

Il cuore dell’analisi rivela un meccanismo di mitigazione del rischio ormai consolidato: le banche riducono il rapporto loan-to-value (LTV) – ovvero la quantità di prestito erogata rispetto al valore delle garanzie – per le imprese considerate più rischiose sotto il profilo ambientale. Questo “razionamento” colpisce in particolare i grandi emettitori di sostanze tossiche per l’acqua dolce (freshwater ecotoxicity). I dati mostrano che un aumento dell’impronta di inquinamento si traduce in una riduzione significativa del credito concesso per unità di garanzia, un segnale chiaro che la tutela del capitale naturale è diventata una variabile finanziaria tangibile.

IL FATTORE GEOGRAFICO: AREE PROTETTE E ACQUE A RISCHIO

La localizzazione degli impianti industriali gioca un ruolo chiave. Lo studio evidenzia che le condizioni di credito si inaspriscono ulteriormente per le aziende che inquinano nelle vicinanze di siti sensibili per la biodiversità, come quelli della rete Natura 2000 o le aree protette a livello globale (WDPA). Ancora più drastica è la reazione delle banche verso le imprese che contribuiscono al fallimento degli standard di qualità chimica delle acque superficiali (EQS): per queste realtà, il taglio del rapporto LTV può arrivare fino a 41 punti percentuali, una stretta finanziaria che riflette il rischio normativo e reputazionale associato al mancato rispetto della Direttiva Quadro sulle Acque.

TASSI PIÙ ALTI PER LE PICCOLE IMPRESE E LE SCADENZE LUNGHE

Oltre alla riduzione dei volumi, le banche agiscono anche sulla leva del prezzo, applicando spread sui tassi di interesse più elevati (interest rate premium). Questo accade soprattutto in tre casi: quando il richiedente è un’impresa di dimensioni minori (più vulnerabile ai costi di bonifica o alle sanzioni), quando si tratta di prestiti a lunga scadenza (dove il rischio ambientale ha più tempo per materializzarsi) e nel caso di rifinanziamento del debito. Le banche che hanno adottato politiche specifiche sull’inquinamento tendono inoltre a caricare un premio di rischio maggiore per i polluters situati vicino alle aree protette.

IL RUOLO DELLE POLITICHE BANCARIE E DEI PRINCIPI DELL’EQUATORE

Un driver fondamentale di questo cambiamento è l’adozione volontaria di standard di sostenibilità. Lo studio conferma che gli istituti che hanno sottoscritto gli Equator Principles o che hanno formalizzato politiche interne sulla biodiversità sono molto più reattivi nel penalizzare l’inquinamento. In particolare, per i nuovi prestiti, queste banche riducono il rapporto LTV in modo molto più aggressivo rispetto alla media (-114 punti base per unità di aumento dell’ecotossicità, contro una media generale più contenuta), dimostrando che gli impegni pubblici si stanno traducendo in pratiche di mercato concrete.

IMPLICAZIONI PER LA VIGILANZA E LA TRANSIZIONE GREEN

I risultati offrono indicazioni preziose per i supervisori finanziari e i decisori politici. Da un lato, confermano che il settore bancario sta diventando un cinghia di trasmissione per l’ambizione “inquinamento zero” dell’UE; dall’altro, suggeriscono che regolamentazioni ambientali più stringenti potrebbero restringere l’accesso al credito per i settori hard-to-abate, influenzando la loro capacità di investire nella transizione. La ricerca, basata sull’incrocio innovativo tra dati finanziari (AnaCredit, Orbis) e ambientali (E-PRTR), rappresenta un passo avanti nella comprensione del nesso tra clima, biodiversità e stabilità finanziaria.

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