Skip to content
dazi

Dazi Usa-Ue, accordo fatto ma la stangata è servita: Per l’Italia costi nove volte più alti. L’analisi BCG

Particolarmente critica è la situazione dell’automotive, dove le carrozzerie sono tra le componenti più penalizzate, con dazi che possono arrivare fino al 38% a causa dell’utilizzo di acciaio e alluminio.

L’accordo commerciale tra Stati Uniti e Unione Europea evita una guerra dei dazi ma presenta un conto salatissimo per le imprese del continente, e in particolare per l’Italia. Con un’aliquota media effettiva che schizza dall’1,4% a circa il 16%, le aziende europee si trovano di fronte a un “cambiamento di scala” che, pur facendo chiarezza dopo mesi di incertezza, impone un ripensamento radicale di costi, filiere e strategie. Per l’Italia, l’impatto è ancora più duro: il dazio medio effettivo balza dal 2,2% al 18%, un aumento di oltre nove volte. A tracciare i contorni di questo nuovo e complesso scenario è l’analisi di Boston Consulting Group (BCG), contenuta nella prospettiva “The EU-US Trade Agreement: Some Clarity and Ongoing Uncertainty”, che seziona rischi e opportunità dell’intesa transatlantica.

UN NUOVO EQUILIBRIO CHE COSTA CARO

Se da un lato l’intesa fissa un’aliquota generale del 15% sulle esportazioni UE, scongiurando le fosche previsioni iniziali che parlavano di aumenti fino al 50%, dall’altro impone il livello tariffario più alto degli ultimi decenni. “Siamo a un cambiamento di scala nelle relazioni commerciali con gli Stati Uniti,” spiega Davide Di Domenico, Managing Director e Senior Partner di BCG. I settori europei più colpiti vedono incidenze pesantissime: i metalli raggiungono il 33%, il fashion e lusso si attesta al 24%, mentre i macchinari meccanici toccano il 20%. Per ciascuno di questi comparti, l’impatto stimato si aggira tra gli 8 e i 9 miliardi di dollari. L’incognita più grande riguarda il settore biofarmaceutico: se dovesse essere assoggettato all’aliquota piena, diventerebbe il più penalizzato d’Europa, con un impatto potenziale di circa 22 miliardi di dollari.

MADE IN ITALY, LA SFIDA PIÙ GRANDE PER LUSSO E MECCANICA

Per l’Italia, i numeri sono ancora più allarmanti. In termini assoluti, i maggiori aumenti di costo riguardano il settore fashion & lusso, con circa 1,6 miliardi di dollari in dazi aggiuntivi, seguito dai macchinari meccanici con 1,5 miliardi e dai metalli con 1,2 miliardi. Anche in questo caso, se il comparto biopharma venisse colpito dall’aliquota piena, balzerebbe al primo posto per impatto con circa 1,8 miliardi di dollari. Particolarmente critica è la situazione dell’automotive, dove le carrozzerie sono tra le componenti più penalizzate, con dazi che possono arrivare fino al 38% a causa dell’utilizzo di acciaio e alluminio.

Nonostante la batosta, secondo Di Domenico, il tessuto produttivo nazionale ha delle carte da giocare. “La struttura industriale italiana, fatta in larga parte di aziende familiari e di media dimensione, ci dà una certa agilità. Le imprese più vulnerabili saranno quelle più esposte a settori commoditizzati, dove non si riesce a trasferire i costi al cliente. Il made in Italy, per fortuna, spesso vive in nicchie premium e riesce meglio a “superare” gli aumenti di costo. Certo, ci sono mercati—penso al lusso, che subirà i dazi più pesanti—dove l’effetto sulla domanda potrà farsi sentire.”

LE ZONE D’OMBRA E LE MOSSE STRATEGICHE

Nonostante la definizione di un tetto tariffario, l’accordo lascia aperte ampie zone d’ombra. Molti dettagli operativi devono ancora essere chiariti e non è del tutto certo se i nuovi dazi ingloberanno o si sommeranno alle tariffe già esistenti. Restano dubbi anche sull’effettiva applicabilità degli impegni annunciati, come i 600 miliardi di investimenti europei negli USA o l’acquisto di 750 miliardi di dollari in prodotti energetici americani.

In questo scenario, la strategia diventa cruciale. “Bisogna trasformare questa sfida in opportunità,” continua Di Domenico. “Serve fare un’analisi dettagliata dei costi aggiuntivi che si subiscono, ma anche di quelli dei propri competitor, poiché non è detto che l’impatto sia simmetrico. Oltre a cercare di ridurre i dazi cambiando la base fornitori, è utile rivedere il proprio posizionamento competitivo, applicando logiche di teoria dei giochi”.

UN SEGNALE POLITICO, MA LA PARTITA È APPENA INIZIATA

Sul piano politico, l’accordo è un segnale forte di collaborazione transatlantica per rispondere alla concorrenza di altre economie globali. Tuttavia, sono stati esclusi dai dazi settori strategici come l’aerospaziale, i semiconduttori e alcuni prodotti chimici e agricoli. Inoltre, non sono previste modifiche alle tariffe per le esportazioni statunitensi verso l’UE, che ha ritirato ogni minaccia di ritorsione.

Per le imprese europee, la conclusione è chiara: l’intesa non è un punto d’arrivo, ma l’inizio di un profondo ripensamento operativo e sistemico. Si passa da una logica difensiva a un approccio proattivo che richiede di leggere le nuove regole come una leva per accelerare le transizioni digitale, ecologica e geopolitica. La capacità di adattarsi a questo nuovo mondo determinerà i vincitori e i vinti della nuova era del commercio globale.

ISCRIVITI ALLA NOSTRA NEWSLETTER

Rispettiamo la tua privacy, non ti invieremo SPAM e non passiamo la tua email a Terzi

Torna su