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Cosa Dice Il Nuovo Rapporto Irena

La decarbonizzazione del G7 passerà dall’idrogeno

Secondo il nuovo rapporto Irena sulle prospettive d’uso di H2 crescerà di almeno quattro volte fino a metà secolo

Quattro o sette volte. Il range è ampio ma la certezza sembra esserci. I maggiori Stati, i più potenti a livello economico, punteranno sempre di più sull’idrogeno. A dirlo è il rapporto Irena del mese di novembre pubblicato mercoledì relativo alle prospettive di decarbonizzazione dei Grandi Sette.

DAL RAPPORTO IRENA UNA CHIARA INDICAZIONE SU COME SODDISFARE UN MONDO NET-ZERO

Lo scopo, dettaglia la ricerca, è quello di adempiere al meglio alle prospettive di un mondo totalmente decarbonizzato. Un’operazione tanto lunga quanto tortuosa, che divide soprattutto i grandi (economicamente) Paesi al netto di una comune generica intenzione.

Commentando i risultati, il direttore generale dell’IRENA Francesco La Camera ha affermato che “è stato chiaro che l’idrogeno deve svolgere un ruolo chiave nella transizione energetica se il mondo vuole raggiungere l’obiettivo di 1,5 °C dell’accordo di Parigi”. Discorsi più che attuali visto che ci troviamo nelle fasi finali della Cop27, la conferenza Onu sul clima in corso a Sharm El-Sheikh. Secondo La Camera, “nonostante il grande potenziale dell’idrogeno, bisogna tenere presente che la sua produzione, trasporto e conversione richiedono energia, nonché investimenti significativi. L’uso indiscriminato dell’idrogeno potrebbe quindi rallentare la transizione energetica. Ciò richiede la definizione delle priorità nell’elaborazione delle politiche”.

Le priorità, secondo il rapporto, sono la decarbonizzazione delle “applicazioni di idrogeno esistenti” e l’uso dell’idrogeno in “applicazioni difficili da abbattimento” come l’aviazione, l’acciaio, la navigazione e le sostanze chimiche. I fari, su questo, sono puntati sull’idrogeno verde e a basse emissioni di carbonio. Irena punta sull’idrogeno dal 2018, ora cosa serve? Facile, o quasi: “implementare politiche e quadri normativi e fornire incentivi per la creazione e lo sviluppo di una nuova industria dell’idrogeno”.

TUTTO SUL G7

Ma perché guardare ai Grandi Sette? La spiegazione arriva dalla realtà, dai numeri. “Il G7 rappresenta circa il 30% della domanda globale di energia e il 25% delle emissioni globali di CO2 legate all’energia, pur rappresentando solo il 13% della popolazione mondiale”, ricorda il rapporto. “Il prodotto interno lordo (PIL) medio pro capite del G7 è del 60% superiore alla media mondiale. In combinazione con una forza lavoro qualificata e un’industria sviluppata, il G7 ha l’opportunità di dimostrare la propria leadership nella transizione del sistema energetico. I membri del G7 rappresentano circa il 16% della domanda globale di acciaio, circa il 21% della produzione globale di ammoniaca e l’11% della produzione globale di metanolo”.

Dunque, presto detto. “La sostituzione dei combustibili fossili nell’industria pesante può anche migliorare la sicurezza energetica. L’industria pesante del G7 rappresenta oltre il 15% dell’utilizzo globale di carbone e circa il 10% dell’utilizzo globale di petrolio e gas fossili”.

Sempre dal rapporto, si scopre che “tra i membri del G7, il Canada e gli Stati Uniti hanno le maggiori riserve di gas fossile, che insieme rappresentano l’8% del totale globale (con l’84% di tali riserve negli Stati Uniti)”.

I PRO E CONTRO

Il terreno, l’accesso idrico e la disponibilità di installazione delle rinnovabili sono due fattori chiave per la disponibilità idrogena. Che deve anche fare i conti con l’accettazione sociale di nuove tecnologie.

A livello di costi, “l’idrogeno rinnovabile non utilizza alcun combustibile e tutti i costi derivano da beni fisici. Il costo dell’elettricità è il fattore dominante ed è definito dalla spesa di capitale (CAPEX) e dalle ore di funzionamento della generazione rinnovabile a monte. Ciò rende il costo medio ponderato del capitale (WACC) un parametro chiave che definisce il costo di produzione dell’idrogeno”.

Inoltre, “la produzione di idrogeno da solare fotovoltaico più economica tra i membri del G7 è la Germania”, al netto di risorse qualitativamente più basse che in generale incidono sui costi.

Mentre a livello di benefici per l’industria nazionale, “l’Unione Europea nel suo complesso e la Germania in particolare mirano a diventare esportatori di tecnologia (elettrolizzatori), basandosi sul loro sviluppo industriale. Alla fine del 2021, circa la metà di tutti i produttori di elettrolizzatori si trovava in Europa4 e i loro fornitori di componenti erano per lo più europei”.

UNO SGUARDO SULL’ITALIA

E per l’Italia? Le prospettive sull’idrogeno nel nostro Paese al 2050 vedono questa tecnologia soddisfare fino al 20% della domanda finale di energia tra i vari settori (trasporti, industria, energia elettrica, commerci).

Nel 2020, Roma ha prodotto intorno ai 0.5 MtH2. “Circa l’89% di questa quota proviene dal reforming di gas fossili, mentre la restante parte è un sottoprodotto dell’acciaio, del cracking a vapore e dei cloro-alcali. Le raffinerie sono l’applicazione dominante dell’idrogeno, con il 75% della domanda, seguite dai prodotti chimici (20%)”.

Di più: “Le rinnovabili variabili avevano una capacità installata di 11,3 GW di eolico onshore e 22,7 GW di solare fotovoltaico alla fine del 2021, contribuendo a circa il 16% del mix di generazione”.

L’IDROGENO ALLA COP27 IN EGITTO

Come ricordato sopra, è in corso la Cop27 in Egitto. E, nel mezzo delle tante divisioni e perplessità sulle chances di arrivare a un documento finale chiaro e indicativo (probabile la chiusura dei lavori ritardata al weekend anziché a oggi), si discute anche di idrogeno.

Infatti, come reso noto dalla Commissione europea, Bruxelles e Il Cairo hanno stretto un accordo “per rafforzare la loro cooperazione a lungo termine sulla transizione dell’energia pulita istituendo un partenariato strategico sull’idrogeno rinnovabile e preparando il terreno per una transizione energetica giusta in Egitto”.

Di più, “entrambe le parti considerano l’idrogeno rinnovabile come un contributo chiave alla riduzione delle emissioni e alla garanzia della sicurezza energetica, rappresentando al contempo un’opportunità per la cooperazione industriale, la crescita economica sostenibile e la creazione di posti di lavoro. Il protocollo d’intesa fungerà da quadro per sostenere le condizioni a lungo termine per lo sviluppo di un’industria dell’idrogeno rinnovabile e il commercio in tutta l’Ue e l’Egitto, comprese le infrastrutture e i finanziamenti”, continua la nota Ue. “Sosterrà l’ambizione dell’Ue di raggiungere 20 milioni di tonnellate di consumo di idrogeno rinnovabile entro il 2030, come indicato nel piano REPowerEU, e contribuirà quindi a ridurre la dipendenza dai combustibili fossili russi. Il protocollo d’intesa faciliterà anche gli investimenti nelle energie rinnovabili e stimolerà il processo di decarbonizzazione in Egitto”.

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