Se il GME, per la determinazione dei prezzi di equilibrio nelle diverse sessioni di acquisto e vendita dell’energia elettrica, non avesse adottato un algoritmo caratterizzato dalla presenza di un “floor” pari a zero per la valorizzazione delle offerte presentate, anche in Italia si sarebbero potuti formare prezzi negativi
Diversamente dagli impianti fotovoltaici, i parchi eolici vengono definiti “sito dipendenti”. Quando, però, il solare è adottato per l’autoconsumo individuale o collettivo, diventa sito dipendente dall’edificio su cui è installato o dall’area dove si è deciso di realizzare una comunità energetica rinnovabile.
Il fotovoltaico – scrive l’analista energetico G.B. Zorzoli sulla rivista “Il Pianeta Terra” – non è quindi sito dipendente solo quando è utility scale, cioè di potenza uguale o superiore al MW. Condizione che gli permette l’installazione dove risulta meno costoso, cioè dove è maggiore l’irraggiamento solare.
I PREZZI NEGATIVI DELL’ENERGIA ELETTRICA
Non è così. Se, diversamente dagli altri Paesi europei, nel recepire la direttiva Ue sulla liberalizzazione del mercato elettrico, il Gestore dei Mercati Energetici (GME), per la determinazione dei prezzi di equilibrio nelle diverse sessioni di acquisto e vendita dell’energia elettrica, non avesse adottato un algoritmo caratterizzato dalla presenza di un “floor” pari a zero per la valorizzazione delle offerte presentate, anche in Italia sarebbe stata possibile la formazione di prezzi negativi.
GLI EFFETTI DEI PREZZI NEGATIVI
Una scelta destinata a creare anomalie, amplificate dalla concentrazione nelle aree meridionali dei siti più favorevoli per l’installazione dei due driver della transizione energetica: parchi eolici e impianti fotovoltaici. Innanzitutto, con prezzi negativi l’installazione nel Mezzogiorno di impianti fotovoltaici utility scale sarebbe stata più contenuta, per non rischiare una maggiore cannibalizzazione.
Mentre il distanziamento tra le turbine eoliche non crea grossi problemi, per il fotovoltaico sarebbe infatti molto difficile porvi rimedio con sistemi di accumulo, perché la superficie aggiuntiva richiesta avrebbe reso improbabile il già non banale processo autorizzativo.
GLI IMPIANTI FOTOVOLTAICI UTILITY SCALE
Ad esempio, un impianto fotovoltaico di 10 MW occupa circa 67.000 mq, cui va aggiunto un altro 20% per l’accessibilità. In totale fanno circa 8 ettari. E un sistema di accumulo, anche se l’area occupata dipende dalla capacità necessaria, richiede comunque un’area considerevole, superiore a quella di un sistema residenziale.
Di conseguenza, raggiunto un certo livello, la localizzazione di nuovi impianti fotovoltaici utility scale si sarebbe spostata verso Nord, riducendo la lunghezza e il numero di linee ad alta tensione per trasportare l’energia rinnovabile nelle regioni centro-settentrionali, dove si trova il baricentro delle imprese italiane (un effetto collaterale sarebbe la riduzione delle saturazioni virtuali della rete).
GLI INVESTIMENTI PER IL TYRRHENIAN LINK E L’ADRIATIC LINK
Per porre invece rimedio alla peraltro giustificata concentrazione di insediamenti di impianti a fonti rinnovabili nel Meridione e in particolare in Sicilia, nel Piano di Sviluppo 2025 Terna prevede oltre 23 miliardi di euro di investimenti nel decennio 2025-2034, in buona parte destinati a interventi interzonali, come il Tyrrhenian Link che collegherà la Sardegna alla Sicilia e da lì alla Campania, e l’Adriatic Link che collegherà la Puglia alle Marche; in entrambi i progetti con cavi percorsi da corrente continua, posati in profondità nel mare. Una soluzione ad alto costo, che sarà principalmente pagata dai consumatori del Centro-Nord.
GLI STRANDED ASSET
Purtroppo, gli squilibri creati dall’assenza di prezzi negativi hanno determinato un tipico caso di stranded asset, che rende difficile l’adozione di adeguate riforme del mercato.
Lo dimostra già ora la difficoltà nel rendere operativa la sostituzione del PUN con i prezzi zonali, presentata come misura premiale per le aree che maggiormente ospitano impianti a fonti rinnovabili, senza rendersi conto che si tratta di una decisione destinata ad accentuare gli effetti dannosi della mancanza di prezzi negativi nelle aree del Centro-Nord, riducendoli invece nelle zone ad elevata concentrazione di produzione rinnovabile.
I PREZZI ZONALI
Quando ci si è accorti dell’errore commesso, è stata introdotta una fase transitoria di durata indefinita: il pieno passaggio ai prezzi zonali potrà avvenire solo a partire dal 2026 e comunque con almeno dodici mesi di preavviso, ma non vi è tuttora alcuna indicazione sulla data di avvio di tale processo.
Probabilmente si è voluto prendere un tempo indefinito per consentire a Terna di potenziare la rete nazionale di trasmissione col suo Piano di Sviluppo 2025, in modo da minimizzare o addirittura annullare i vincoli alla capacità di trasporto. Ipotesi suffragata da una dichiarazione di Terna. Infatti, il Piano “ha un’importanza fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi di transizione energetica, indipendenza ed efficienza del sistema, attraverso investimenti in infrastrutture strategiche che cambieranno in modo sostanziale la capacità di trasporto della rete elettrica nazionale”.
I COSTI RICADRANNO SUI CONSUMATORI
Morale della favola: si eviterà la discriminazione caricando su tutti i consumatori italiani l’onere aggiuntivo introdotto dai costi delle nuove linee di trasmissione.
Nella situazione che si è creata, non è difficile immaginare l’impatto che, per l’eccessiva concentrazione di impianti nelle aree meridionali del Paese, sarebbe determinato dal Price Coupling of Regions (PCR) – avviato nel 2009 per sviluppare un’unica soluzione di price coupling in tutta Europa – prevedendo l’adozione di un unico algoritmo per l’allocazione della capacità e il calcolo dei prezzi in tutta l’UE, quindi l’imposizione di prezzi negativi. Impatto esteso anche ai parchi eolici, malgrado non ne siano responsabili, perché la loro localizzazione è imposta dalla “sito dipendenza”.