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Servono 48 miliardi per le rinnovabili al 2050, Pnrr di tagli e pochi dati, Fitto in pole per delega economia reale. Che c’è sui giornali

Servono 48 miliardi per ristrutturare gli impianti rinnovabili. Aumentano i soldi del Pnrr ma restano fuori i progetti del Terzo Settore. Pronta la squadra di von der Leyen, Fitto alla vicepresidenza. La rassegna Energia

Da qui al 2050 serviranno 48 miliardi di euro per ristrutturare impianti rinnovabili. È quanto emerge dallo studio “Net Zero: la sfida e il potenziale delle energie rinnovabili al 2050”, presentato oggi a Milano. Il 70% degli impianti che producono energia green è stato costruito prima del 1980, due terzi degli eolici e fotovoltaici sono stati invece realizzati nel periodo 2007-2014. Secondo il rapporto OpenPolis la revisione del Pnrr voluta dal governo Meloni ha fatto aumentare i soldi destinati dall’Ue all’Italia da 191,5 a 194,4 miliardi, ma 1.334 progetti legati al Terzo settore sono usciti dal Piano e le misure sui beni sequestrati alle mafie e sulle infrastrutture sociali di comunità sono state tagliate del tutto. Ursula von der Leyen presenterà questa mattina la sua nuova squadra europea e i relativi portafogli. Secondo fonti de Il Corriere della Sera sarebbero confermate le cinque vicepresidenze esecutive, tra cui una al commissario italiano Raffaele Fitto, che dovrebbe ottenere i portafogli di economia reale con la supervisione su Agricoltura e Salute, quello alla Coesione e il Pnrr, oltre al controllo diretto su una direzione generale e la Task force Recovery. La rassegna Energia.

RINNOVABILI, SERVONO 48 MILIARDI PER RISTRUTTURAZIONI AL 2050

“Partendo da una capacità stimata di 83 GW installati nel 2025, entro il 2050 dovranno essere rinnovati in Italia 73,8 GW con un costo ipotizzato di 48,3 miliardi di euro, destinati soprattutto a fotovoltaico e idroelettrico: emerge dallo studio “Net Zero: la sfida e il potenziale delle energie rinnovabili al 2050”, presentato oggi a Milano al workshop “Net Zero Economy al 2050: miraggio o realtà?” organizzato dalla società di ricerca Agici nell’edizione 2024 dell’Osservatorio internazionale rinnovabili alla presenza dei principali player del settore. «È una tema molto rilevante sia dal punto di vista degli operatori che dei finanziatori», ragiona l’ad di Agici Marco Carta. Dall’analisi emerge come il 70% degli impianti idroelettrici sia antecedente al 1980, mentre due terzi degli impianti eolici e fotovoltaici risalgano agli anni 2007-2014. Il che si traduce in investimenti per l’idroelettrico nel breve periodo, mentre solare ed eolico «nel solo triennio 2035-2037 potrebbero richiedere fino a un terzo della spesa complessiva considerata», si legge nello studio, che ha escluso il valore degli impianti rifatti tramite incentivazione, e quelli di termovalorizzazione”, si legge su Il Sole 24 Ore.

“Gli investimenti nell’idroelettrico si scontrano con lo stallo delle concessioni scadute, sentito da tutti gli operatori, vista la decisione dell’Italia, unica in Europa, di procedere con riassegnazioni tramite gara, pur tra stop e ricorsi. «Lo sblocco consentirebbe di mobilitare tra i 10 e i 15 miliardi di euro nei prossimi dieci anni. Gli operatori delle rinnovabili sono pronti a investire sull’intera filiera nazionale sostenendo impianti utility scale per incrementare la produzione, potenziare la rete e sviluppare lo storage. Per farlo è necessario modificare l’attuale quadro normativo che impedisce lo sviluppo dei nuovi impianti ma anche i revamping.(…), commenta Giuseppe Argirò, ad di Cva. D’accordo sull’idroelettrico Nicola Monti, ad di Edison, che aggiunge: «Stiamo per avviare la ricostruzione di quattro impianti eolici che porterà a più che raddoppiare l’energia prodotta. (…) Sulla stessa linea Paolo Merli, ad di Erg: «Il repowering di un parco eolico, a parità di suolo occupato e con la metà delle turbine, permette di raddoppiare la potenza installata e triplicare la produzione di energia, grazie alle nuove tecnologie.

il repowering dovrebbe beneficiare di priorità autorizzativa, come già sancito da normativa europea, e di tariffe migliori stante i benefici sistemici più ampi e i maggiori costi legati allo smantellamento anticipato dell’impianto esistente».(…) sintetizza Carta: «Sono ancora troppe le lungaggini, le moratorie e i singoli provvedimenti che, spesso in contrasto con lo stesso Pniec, rallentano e bloccano gli investimenti: accelerare i processi di implementazione è oggi un imperativo non più prorogabile». Le 17 grandi utility italiane ed europee prese a campione prevedono un aumento di capacità al 2030 di 147,6 GW (+63%) e investimenti complessivi per 174,3 miliardi di euro, 42 considerando solo gli operatori italiani (A2A, Hera, Acea, Cva, Iren, Edison, Enel, Snam, Eni, Erg) per 28 GW addizionali al 2030”, continua il giornale.

ENERGIA, POCHI DATI E MOLTI TAGHI NEL PNRR

“La sintesi fatta col martello sarebbe questa: più soldi al profit, tagli al non profit. Ma proviamo a dirla meglio partendo dalla buona notizia: anche dopo la revisione del Pnrr voluta dal governo Meloni l’Italia non solo resta il Paese europeo destinatario di più soldi ma il totale di questi soldi è addirittura cresciuto – da 191,5 a 194,4 miliardi – rispetto alla «vecchia» versione. La parte brutta è che 1.334 progetti legati in vari modi al Terzo settore sono usciti dal Piano, e che in questo ambito due intere sezioni di finanziamento (tecnicamente «misure»: quelle sui beni sequestrati alle mafie e sulle infrastrutture sociali di comunità) sono state tagliate del tutto, una terza è stata commissariata, diciotto modificate o ridotte. È questo lo spaccato che emerge dal rapporto realizzato da Openpolis per il Forum Terzo Settore e presentato la scorsa settimana a Roma. Andiamo con ordine”, si legge su Il Corriere della Sera.

“(…) E ora lo stato del Pnrr si compone in totale, quanto all’Italia, di 265 misure tra investimenti e riforme. Rispetto alla versione iniziale dieci sono state eliminate e altre ventisei ridotte, con un taglio complessivo di circa 22 miliardi. Il rapporto riconosce al governo attuale di aver «dichiarato» che i progetti sfilati dal Pnrr saranno «realizzati ugualmente attingendo ad altre fonti»: (…) Tradotto: dove prima c’erano soldi veri adesso c’è una promessa non chiarita. In compenso il colpo di scure è stato chiarissimo e si è abbattuto con particolare rigore su «misure e sottomisure individuate come di interesse per il Terzo settore». Cinquantaquattro quelle rimaste a suo favore. Due, citate qui in apertura, quelle eliminate del tutto: quella sui beni sequestrati corrisponde allo stralcio di 254 progetti, 803 sono quelli sforbiciati in tema di strutture sociali di comunità. Dopodiché ci sono altri tagli rilevanti decisi per molti progetti inerenti la rigenerazione urbana (-1,3 miliardi) così come gli asili nido e le scuole dell’infanzia (-1,4 miliardi). Per fortuna – è vero – ci sono anche misure «interessanti» per il Terzo settore che un aumento di risorse invece lo hanno avuto: un miliardo in più per le politiche attive del lavoro, 250 milioni in più per l’assistenza domiciliare. (…) Terzo settore sconta sia il fatto di non essere stato coinvolto nell’importante spostamento di risorse sul fronte dell’energia dopo la guerra in Ucraina sia la crescita di incentivi a favore delle imprese», continua il giornale.

“Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum, aggiunge un ulteriore elemento critico: «La mancanza di trasparenza. Verificare lo stato di avanzamento del Pnrr in corso d’opera è stato finora molto difficile». E anche sugli aspetti sociali che sono stati risparmiati puntualizza: «Il Pnrr era nato anche con obiettivi di perequazione, finora disattesi. Ora rischiano di esserlo ancora di più. E poi c’è il capitolo riforme. (…) «Importanti investimenti-cardine del Piano, per i quali il “vecchio” Pnrr aveva evocato la partecipazione degli Enti di terzo settore, sono stati oggetto di una revisione in pejus pur interessando temi di estrema rilevanza per i cittadini». E anche sulla promessa del «più volte assicurato ricorso ad altre risorse» il rapporto è piuttosto secco: è vero che anche «il più recente Decreto Coesione già convertito il Legge 95/2024 avrebbe dovuto» consentire di «individuare le risorse idonee alla prosecuzione dei progetti in essere», ma «l’impressione è che ciò potrà avvenire soltanto definanziando altri interventi già previsti». Coperta corta, qualcuno scoperto resterà. (…) Amministrazioni e Terzo settore allo stesso tavolo per decidere insieme il cosa e il come. «Soltanto una azione congiunta – si legge – può offrire una risposta efficace e valida ai bisogni delle comunità, permettendo al Pnrr di centrare i suoi obiettivi»”, continua il giornale.

ENERGIA, LA NUOVA SQUADRA DI VON DER LEYEN

Salvo colpi di scena — già ieri ci sono state le clamorose dimissioni del commissario Thierry Breton — Ursula von der Leyen presenterà questa mattina la squadra e i relativi portafogli in una riunione a Strasburgo con i leader dei gruppi e la presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola. Un puzzle complesso, che nelle ultime settimane ha continuato a cambiare. Nemmeno il caso Slovenia, ovvero la mancanza della nomina ufficiale della commissaria Marta Kos nonostante l’indicazione da parte del premier Golob, ha fermato von der Leyen. Il segnale da Lubiana è atteso in queste ore. Secondo le ultime indiscrezioni sono confermate le cinque vicepresidenze esecutive, tra cui una al commissario italiano Raffaele Fitto, che ha suscitato polemiche tra socialisti, verdi e liberali. Il suo cluster dovrebbe essere l’economia reale con la supervisione su Agricoltura e Salute più il portafoglio alla Coesione cui si aggiunge il Pnrr, con il controllo diretto su una direzione generale che andrebbe a unire le attuali Dg Regio e Dg Reform (ora nel portafoglio Coesione della commissaria Ferreira) più la Task force Recovery. Fitto ieri ha incontrato il presidente Mattarella per illustrargli le problematiche europee che dovrà affrontare, sapendo di avere anche il sostegno del Quirinale”, si legge su Il Corriere della Sera.

Le altre vicepresidenze esecutive dovrebbero andare alla Francia (…) alla Spagna (Ribera alla guida dell’Antitrust Ue più il cluster dell’Energia, portafoglio che però dovrebbe andare alla Repubblica ceca, Paese pro-nucleare), alla Lettonia (Dombrovskis responsabile dell’allargamento e della ricostruzione dell’Ucraina) e alla Slovacchia (…) Al commissario polacco Serafin viene attribuito il Budget. Al greco Tzitzikostas i Trasporti, alla finlandese Virkkunen il Digitale, alla svedese Roswall la Giustizia e alla belga Lahbib la Migrazione. Al falco olandese Hoekstra per giorni è stato attribuito il Trade mentre nelle ultime ore l’Economia (oggi di Gentiloni)”, continua il giornale.

“La nuova Commissione sarà sbilanciata a destra: il Ppe ha 14 commissari più la presidente, i socialisti 4 e 5 i liberali. Le donne sono 11 su 27. Von der Leyen è riuscita a imporsi facendo raddoppiare la presenza femminile iniziale con un forte pressing sui Paesi più piccoli come Romania, Bulgaria, Slovenia ma anche su Portogallo e Belgio. Soprattutto von der Leyen ha avuto la meglio su Breton, che nei mesi passati l’ha accusata di avere una guida accentratrice e poco collegiale: la presidente ha ottenuto la sua testa in cambio di un portafoglio più pesante per Parigi”, continua il giornale.

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