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Salvini smonta il piano per Newcleo e rilancia il trust Ansaldo-Enel-Leonardo. Orsini: “Impatto importante da dazi, no scontro con Usa”. Elkann vola da Trump

Salvini dice no all’ingresso dello Stato nel capitale di Newcleo e rilancia il trust Ansaldo-Enel-Leonardo. Orsini (Confindustria): “Impatto importante da dazi, no scontro con Usa”. Elkann vola di nuovo da Trump per parlare di competitività dell’automotive Usa. La rassegna Energia

Il ministro Matteo Salvini dice no al possibile ingresso dello Stato nel capitale di Newcleo con 200 milioni di euro e appoggia il trust di Ansaldo, Enel e Leonardo. “Perché, come leggo su La Stampa, dovremmo mettere i soldi nel privato (Newcleo, ndr) quando c’è un trust pubblico?”, ha sottolineato il ministro del Mit. Intanto, lunedì Mimit e Mase hanno diffuso una nota che conferma la volontà di “partecipare «attivamente alla realizzazione di tecnologie innovative nel nucleare con particolare attenzione ai progetti promossi da Newcleo”. Ieri il ministro Pichetto ha ribadito l’interessamento verso Newcleo, sottolineando che “la valutazione da fare è come accompagnare la sua crescita”. I dazi americani rappresentano un rischio importante per l’industria italiana, ma non bisogna iniziare una guerra commerciale contro gli Stati Uniti. “Per l’Italia il rischio c’è, e il nostro Centro Studi sta quantificando l’impatto che sarà imponente”, ha detto il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, in un’intervista a La Stampa. John Elkann vola negli Stati Uniti per parlare con Trump della competitività del settore automotive negli Usa. Le tariffe non sono state argomento di discussione nel colloquio alla Casa Bianca, sottolinea La Repubblica. La rassegna Energia.

SALVINI DICE NO ALL’INGRESSO IN NEWCLEO: “PERCHE’ METTERE SOLDI NEL PRIVATO QUANDO C’E’ TRUST PUBBLICO?”

“Sul nucleare è guerra intestina all’interno del governo Meloni. A smentire le manovre di una parte dell’esecutivo è il vicepremier della Lega Matteo Salvini: «Perché, come leggo su La Stampa, dovremmo mettere i soldi nel privato (Newcleo, ndr) quando c’è un trust pubblico?». Lunedì, in seguito a un colloquio telefonico, il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin e quello al Made in Italy Adolfo Urso hanno diffuso con una nota la volontà di partecipare «attivamente alla realizzazione di tecnologie innovative nel nucleare con particolare attenzione ai progetti promossi da Newcleo». (…) Nella stessa giornata i ministeri hanno sottolineato di «non aver preso ancora una decisione» e parlato di «varie ipotesi in campo», senza però negare l’interesse verso l’azienda che si occupa di progettare piccoli reattori modulari e a piombo. In ballo due strumenti finanziari diversi e magari una cifra più bassa, ma non la volontà di «assicurarsi una tecnologia con la quale portare il nucleare in Italia», hanno aggiunto le fonti vicine al piano. Che parlano di colloqui in corso anche con Palazzo Chigi”, si legge su La Stampa.

“Un’idea, però, che non piace al ministro Salvini, che sui social aveva già condiviso il suo plauso verso l’accordo tra Ansaldo, Enel e Leonardo: «Io sono un assoluto e convinto sostenitore del ritorno dell’Italia nel dossier nucleare – ha spiegato a Torino –, ma l’unico nucleare nel 2032 sarà quello a fissione con piccoli reattori modulari. Ma se c’è un trust pubblico Ansaldo, Enel e Leonardo non capisco perché mettere centinaia di milioni di euro nel privato». Parole confermate in serata: «Non sto smentendo nessuno, perché non mi sembra che nessuno abbia confermato. Ma se ci sono aziende controllate dal pubblico che fanno la stessa cosa quella è la strada». Peccato che sia stato lo stesso Pichetto, nella mattinata di ieri, a ribadire l’interessamento verso la Newcleo: «La stiamo seguendo e l’ho visitata». Non solo: «Conosco bene la situazione e la valutazione da fare è come accompagnare la sua crescita». (…) Nessuna decisione definitiva, certo, ma abbiamo parlato «di fare una valutazione rispetto a quanto Newcleo farà in termini di aumenti di capitale o se metterà in campo altre soluzioni. Chiaramente – conclude Pichetto – l’interlocuzione è continua»”, si legge sul giornale.

ORSINI (CONFINDUSTRIA): “IMPATTO IMPORTANTE DAI DAZI MA NIO A SCONTRO CON USA”

I dazi americani rappresentano un rischio importante per l’industria italiana, ma non bisogna iniziare una guerra commerciale contro gli Stati Uniti. “Per l’Italia il rischio c’è, e il nostro Centro Studi sta quantificando l’impatto che sarà imponente”, ha detto il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, in un’intervista a La Stampa.

“«Bisognerà valutare con molta attenzione i dazi che Trump annuncerà. Per l’Italia il rischio c’è, e il nostro Centro Studi sta quantificando l’impatto che sarà imponente» sostiene il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, visto che «l’Italia sul fronte dell’export deve la sua crescita a doppia cifra nel post Covid in gran parte all’aumento della nostra quota negli Usa. Nel 2024 siamo arrivati a quota 65 miliardi generando un surplus commerciale di 42». (…) «I settori oggi più esposti sono proprio quelli che hanno esportato di più: il farmaceutico, l’alimentare e quello delle macchine per la produzione oltre al tessile-moda». (…) «L’esperienza del 2018 ha mostrato che gli annunci di Trump sono volti soprattutto ad aprire trattative magari aspre (…) L’Europa ha due imperativi categorici: dialogare con tutti, a cominciare dalla nuova amministrazione americana, ed evitare reazioni di pancia che sono controproducenti». (…) «Europa ed Italia sono un sistema industriale trasformatore che non può contare su indipendenza energetica né su autonomia per molti metalli e terre rare. Se l’Europa alimentasse lo scontro con gli Usa, ne beneficerebbe solo la Cina. Quindi le cose da fare subito sono tre: accelerare il taglio dei tassi da parte della Bce perché deprezzerebbe l’euro attutendo l’effetto dei dazi americani. Poi occorre definire nuovi accordi commerciali con Messico, India, Giappone, Thailandia, Vietnam come scudo alla guerra delle tariffe e poi bisogna dare piena operatività al trattato con il Mercorsur sudamericano. Infine occorre migliorare il mercato unico europeo per facilitare e accrescere gli scambi intra-Ue». (…) L’Europa deve rimanere unita e chiunque ha buoni rapporti con l’amministrazione americana deve attivarli per il bene comune. Noi e la Germania siamo i Paesi più esposti nei confronti degli Usa e anche per questo stiamo lavorando con il presidente della Confindustria tedesca per rilanciare fattivamente le politiche industriali europee»”, si legge su La Stampa.

“«Le imprese italiane hanno fatto miracoli con un record dell’export, nonostante i 24 mesi consecutivi di calo della produzione. L’ipotesi da scongiurare è che i nostri imprenditori inizino realmente a considerare la delocalizzazione della produzione fuori dal nostro Paese, anche per le scelte fatte in Europa dalla precedente commissione. Lo dico da 6 mesi: serve una risposta in termini di produttività e competitività. Due esempi europei negativi sono il costo dell’energia e il peso della burocrazia, zavorre micidiali per gli imprenditori e per le politiche espansionistiche. Per questo, chiediamo con forza un mercato unico europeo dell’energia». (…) «L’auto e tutti i settori energivori perdono competitività per le scelte fatte su Co2 ed Ets, costi dell’energia, iper-regolazione dell’industria con enormi costi per le imprese. Tutte le Confindustrie produttive europee si battono affinché la nuova Commissione capisca che occorrono scelte nuove e immediate, per invertire questa deriva. È in ballo l’intero modello di coesione sociale europea. Lo ribadisco, occorre agire subito». (…) «Sì, realizzare un vero piano industriale di orizzonte pluriennale, senza aspettare le scadenze delle leggi di bilancio. Bisogna riorientare al più presto le risorse che non sono state spese, come per Industria 5.0, troppo difficile da attuare. Accelerare sul Pnrr e sostenere le proroghe annunciate ieri dal Commissario Fitto ma soprattutto definire una serie di interventi per le filiere industriali più esposte; investendo sui contratti di sviluppo di Invitalia, un potenziale volano di crescita virtuosa. L’Italia, come la Germania, deve quindi lanciare un grande piano industriale per superare la sua crisi mettendo al centro l’industria». (…) «Parlare di soddisfazione mi sembra eccessivo, siamo contenti di essere riusciti a riportare pragmatismo evitando disagi e confusione per le imprese. Serve analizzare prima impatti e modalità di attuazione dei provvedimenti e poi legiferare. Meglio, in ogni caso, la proroga dell’obbligo adottata dal governo, che il diktat senza tempo per le imprese verso il quale si andava”, continua il giornale.

“«Sono misure a tempo. All’industria servono misure strutturali: che passano da una parte per correzioni in Europa degli errori fatti, dall’altra per quote crescenti di energia a prezzo calmierato e quantitativi certi da riservare ai settori energivori. E poi dobbiamo vigilare sulle speculazioni che dominano il mercato del gas e che fanno quasi triplicare il prezzo dell’energia elettrica. E’ una pazzia che poche aziende non vigilate in Europa possano speculare alle spalle delle famiglie e delle imprese europee. (…) «Non manca la buona volontà, serve pragmatismo dai due lati del tavolo. In primis i contratti non rinnovati sono soprattutto nei servizi e nella Pa. Nel nostro sistema solo il 5,3% dei lavoratori ha ritardi contrattuali di oltre 24 mesi. (…) le aziende non stanno licenziando nonostante il calo della produzione. I dati del nostro Csc aggiornati a 48 ore fa dicono che il 34,8% delle nostre aziende, ovvero oltre una ogni tre, mantiene i livelli occupazionali nonostante un calo della produttività. Per questo dico dovremmo chiedere insieme ai sindacati un piano di politica industriale e quindi sociale da attuare subito. E, punto fondamentale, dobbiamo lavorare insieme per intervenire su formazione e prevenzione per evitare gli incidenti sul lavoro»”, scrive il quotidiano.

ELKANN INCONTRA TRUMP PER CHIEDERE SUPPORTO AL SETTORE AUTO

“Come rendere più competitivo il settore dell’automotive negli Usa, uno dei Paesi pilastro di Stellantis, insieme a tutto il Nord America. Di questo hanno parlato il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e il numero uno di Stellantis, John Elkann, nell’incontro alla vigilia del varo dei dazi da parte degli Stati Uniti. Le tariffe, però, non sono state argomento di discussione nel colloquio alla Casa Bianca, il secondo faccia a faccia tra Trump e Elkann. Il primo si era tenuto nella residenza di Mar-a-Lago, in Florida, qualche giorno prima dell’insediamento del nuovo presidente, il 20 gennaio. In quell’occasione Elkann aveva annunciato a Trump investimenti per 5 miliardi di dollari confermando la volontà di aumentare la produzione negli Stati Uniti e di dare «stabilità alla grande forza lavoro americana». D’altronde il gruppo, nato nel 2021 dalla fusione tra Fca e Psa, in Nord America ha 75.000 dipendenti, realizza un fatturato di oltre 63,5 miliardi di euro e vende 1,4 milioni di veicoli. (…) Elkann è tornato da Trump, questa volta alla Casa Bianca, mentre montano le polemiche sui dazi e sull’atteggiamento del presidente degli Usa nei confronti dell’Europa. Di tariffe non si è parlato. Anzi. Trump, dopo il colloquio, ha precisato che Elkann non ha chiesto una sospensione. I due avrebbero discusso della possibilità di ridurre gli standard ambientali. «Riporteremo gli standard a un livello che sia comunque molto valido dal punto di vista ambientale, ma che renda possibile la produzione », ha dichiarato Trump che poco dopo il suo insediamento ha tolto i sussidi sulle auto elettriche. Si sarebbe parlato di competitività del settore e standard meno rigidi sulla CO2”, si legge su La Repubblica.

“Elkann si è presentato a Trump solo come presidente di Stellantis, senza nessuna valenza politica, eha ribadito la necessità e l’importanza per il settore di regole chiare e stabili. Condizione necessaria per il rilancio dell’automotive a stelle e strisce. Concetti su cui si era già espresso la scorsa settimana con gli analisti finanziari in occasione della conference call di Exor, ricordando la posizione dell’American Automotive Policy Council, di cui fanno parte Stellantis, Ford e General Motors. «L’associazione ha rilasciato una dichiarazione chiara sul dialogo in corso con l’amministrazione Trump e sull’importanza della competitività del settore automobilistico nordamericano», aveva detto. Inoltre si è espresso sulla «preoccupazione per l’accessibilità dei nostri prodotti made in America e sulle ripercussioni che questa incertezza avrà sulla domanda degli Stati Uniti. Noi siamo determinati a concentrarci sulle nostre aziende e sulleperformance nel 2025». (…) Secondo l’agenzia Bloomberg Ford, GM e Stellantis stanno facendo pressioni affinché si escludano alcuni componenti per auto a basso costo dai dazi pianificati. I dirigenti si sono incontrati con la Casa Bianca, il dipartimento del Commercio e l’ufficio del rappresentante per il commercio Usa per discutere dell’esclusione”, continua il giornale.

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