Eni ha raggiunto un accordo di principio con il Dipartimento per la Sicurezza Energetica e Net Zero del Regno Unito. Obiettivo, l trasporto e lo stoccaggio di anidride carbonica nel cluster industriale CCS HyNet North West. Il punto sulla mossa del cane a sei zampe e la situazione italiana
Una delle tante soluzioni orbitanti attorno al mondo della transizione verso un mondo, un sistema di vita e produzione, puliti, è certamente quello della CCS. Meglio, la carbon Capture and Storage: cattura e stoccaggio di carbonio, CO2. Sigla a cui si può aggiungere anche la lettera U di “utilization”. Una tecnologia chiave per catturare l’anidride carbonica, immagazzinarla senza limiti temporali e utilizzarla con metodi innovativi.
In questo senso è fondamentale l’ultimo aggiornamento: l’accordo tra Eni e il Regno Unito firmato stamani.
L’ACCORDO ENI-REGNO UNITO
L’accordo di principio raggiunto con il Dipartimento per la Sicurezza Energetica e Net Zero (DESNZ) del Regno Unito, come reso noto dal cane a sei zampe stamani, prevede una importante intesa su termini e condizioni chiave relative al modello economico, normativo e di governance per il trasporto e lo stoccaggio di anidride carbonica nel cluster industriale CCS HyNet North West.
Si tratta, come spiegava la nota ufficiale, del primo business regolato al mondo in ambito CCS, che assicura dei ricavi per garantire un rendimento agli asset regolati (Regulated Asset Based), per il trasporto e stoccaggio delle emissioni di CO2 delle aziende “Hard to Abate” nel Nord Ovest dell’Inghilterra e del Galles del Nord.
“L’avvio del progetto è previsto entro la metà del decennio, con una capacità di stoccaggio annua di circa 4,5 milioni di tonnellate di CO2 nella prima fase per poi raggiungere negli anni immediatamente successivi al 2030 i 10 milioni di tonnellate”, spiegava la nota. “In tal modo HyNet North West fornirà un contributo significativo all’obiettivo del Regno Unito di stoccare 20-30 milioni di tonnellate di CO2 all’anno entro il 2030”.
COSA FA ENI SULLA CARBON CAPTURE NEL REGNO UNITO
“Eni ritiene che la CCS svolgerà un ruolo cruciale nella transizione energetica e che possa diventare una linea strategica importante per lo sviluppo e la decarbonizzazione dell’azienda”, ricordava il comunicato ufficiale sull’accordo con il Regno Unito. Dove il cane a sei zampe ha raggiunto una posizione di primo piano sia come operatore delle attività di trasporto e stoccaggio di CO2 grazie al progetto del Nord Ovest inglese, sia per aver da poco ottenuto una seconda licenza di stoccaggio per il giacimento di gas depletato di Hewett per un secondo progetto CCS da portare avanti nell’area di Bacton, nel Norfolk. In questo caso, spiegava Eni stamani, l’obiettivo è decarbonizzare le regioni del sud-est dell’Inghilterra e dell’estuario del Tamigi.
Complessivamente, allora, la capacità di stoccaggio totale dei due progetti arriva a 500 milioni di tonnellate di CO2. Un obiettivo considerevole specie perché il progetto di HyNet North West garantirà un forte ribasso di consumo energetico e quindi di generazione di emissioni nel distretto industriale di quell’area.
Ma oltre che nel Regno Unito, il cane a sei zampe lavora sulla CCS anche in Italia, Libia, Australia ed Egitto. Con l’obiettivo di arrivare a una capacità di stoccaggio totale annua di 30 milioni di tonnellate di CO2 entro il 2030. “La CCS svolgerà un ruolo fondamentale nella transizione energetica, in particolare consentendo di evitare in modo sicuro le emissioni dell’industria Hard to Abate, per le quali a oggi non esistono soluzioni altrettanto efficaci ed efficienti”, commentava stamani l’ad Claudio Descalzi a proposito dell’intesa d’Oltremanica.
LA SITUAZIONE ITALIANA: I PROGETTI RECENTI
In Italia, Eni opera sulla CCS con il progetto di Ravenna. Capacità totale di stoccaggio di 500 MT di CO2 e start up prevista nel 2024 (Fase 1) e alla fine del 2026 (Fase 2).
L’operazione è stata portata avanti con Snam e ufficializzata a fine 2022: La Fase 1 del Progetto Ravenna CCS – spiegava la nota dello scorso dicembre – prevede la cattura di 25mila tonnellate di CO2dalla centrale Eni di trattamento di gas naturale di Casalborsetti (Ravenna). Una volta catturata, la CO2 sarà convogliata verso la piattaforma di Porto Corsini Mare Ovest e infine iniettata nell’omonimo giacimento a gas esaurito, nell’offshore ravennate. “È un fatto che le tecnologie di Carbon Capture and Storage (CCS) stiano maturando a livello globale come uno strumento a disposizione per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione e per questa ragione è al centro dell’attenzione da parte di governi, investitori e operatori industriali. Progetti di CCS sono in corso di sviluppo a livello globale e sono già in fase avanzata di definizione sia in Europa – specialmente nel Regno Unito, in Olanda e nei Paesi nordici – sia negli Stati Uniti”, aveva commentato entusiasticamente Stefano Venier, ad di Snam. Sottolineando che questa joint venture era “la prima iniziativa che ha l’ambizione di offrire una soluzione all’intero cluster produttivo hard to abate della Pianura Padana e potenzialmente anche delle altre regioni italiane e di altri Paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo”.
A maggio scorso, invece, sempre Eni e Rina hanno ufficializzato un accordo per sviluppare l’uso di carburanti green sulle navi, valutare il loro livello di emissioni di CO2 dalla fase di produzione al consumo e sperimentare la cattura del carbonio a bordo. Nel 2020, con Saipem, Snam raggiunse un’intesa per sviluppare iniziative green tra cui quella della CCS.
LA CRITICA DEL WWF
Nel 2021, il Wwf criticò la tecnica della carbon capture and storage definendola poco significativa. Commissionando uno studio al think tank indipendente sul clima ECCO, l’organizzazione arrivò alla conclusione che appunto la CCS non sia “un’opzione significativa nella strategia di mitigazione dei cambiamenti climatici e in quella del processo di decarbonizzazione che deve rispettare le quantità e i tempi richiesti dall’Accordo di Parigi”.
“La CCUS (utilizzo e stoccaggio), poi, non regge il confronto rispetto alle soluzioni di decarbonizzazione attraverso l’annullamento delle emissioni climalteranti alla fonte, anche a causa delle incertezze, dei rischi e dei costi che la CCUS sposta sulle generazioni successive”, sosteneva il Wwf. Sottolineando poi che “un limite strategico enorme della CCUS è la sua inter-dipendenza dall’industria petrolifera, soprattutto rispetto allo stoccaggio della CO2”. Rischiando, così, che la carbon capture and storage sia soltanto “un modo per tenere in vita le filiere delle fossili compensandone in maniera poco significativa le emissioni-serra”.
FUNZIONA O NO LA CCS? (da Agenda Digitale)
L’idea della cattura della CO2 è quella di utilizzare processi di separazione gas già noti nell’industria chimica (assorbimento, adsorbimento, cambio di fase/distillazione, membrane) per separare la CO2 dal flusso di prodotti di combustione. La CO2, una volta separata (o “catturata”), viene poi o sequestrata in siti di stoccaggio permanenti (Carbon capture and storage, CCS, con stoccaggio in siti quali i giacimenti esauriti di gas o altre formazioni geologiche profonde) oppure riutilizzata per fabbricare altri prodotti contenenti carbonio (Carbon capture and utilization, CCU) quali cemento, plastiche e biocombustibili; oppure può essere sottoposta in parte all’una ed in parte all’altra delle due operazioni (sequestro e utilizzo, CCUS).
I siti di stoccaggio permanente della CO2 sono formazioni geologiche molto profonde, come ad esempio formazioni acquifere saline oppure giacimenti di gas o di petrolio esauriti. Ci sono già diversi siti di stoccaggio della CO2 che sono operativi e sotto monitoraggio da decenni.
Questi siti sono in Norvegia, Canada, USA ed Australia e stanno sequestrando circa 8 MtCO2/anno. Secondo l’International Energy Agency, la capacità degli stoccaggi di CO2 è tra 8000 e 55000 GtCO2 che dovrebbe essere catturata nel periodo 2020-2070 per raggiungere gli obiettivi di “net zero CO2” prefissati per il 2050 (Net Zero by 2050 – Analysis – IEA).
GLI SCENARI
Due anni fa, su Repubblica si faceva un punto sui progetti attivi e in via di sviluppo nel nostro Paese. Oltre al già citato Ravenna CCS, anche un progetto pilota di un cementificio di Piacenza, così come quello delle miniere di carbone del Sulcis, in Sardegna. Poco più, se non alcune ricerche in ambito universitario.
A maggio, su questo giornale, abbiamo approfondito poi la situazione statunitense, dove Biden ha richiesto passi avanti per impianti di cattura e stoccaggio, pena la chiusura degli impianti a carbone. A livello aziendale, invece, JP Morgan., Alphabet, Meta, McKinsey ed altre hanno contribuito ad un fondo da 1 miliardo di dollari che acquisterà crediti per la rimozione del carbonio, per supportare tecnologie che assorbono CO2 già presente nell’atmosfera. Così come Microsoft aveva annunciato un accordo per l’acquisto di crediti simili dal colosso energetico danese Orsted. Secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia, in un mondo che vuole raggiungere le zero emissioni nette entro la metà del secolo, la capacità globale di CCS entro il 2030 dovrà raggiungere gli 1,3 miliardi di tonnellate di carbonio catturato ogni anno, una cifra corrispondente a circa 30 volte la capacità odierna, facevamo notare su EO a maggio.
La CCS rappresenta una soluzione indispensabile per ridurre le emissioni delle industrie Hard to Abate, salvaguardando così la sopravvivenza e competitività di importanti settori economici. È quindi fondamentale che l’Italia definisca e attui una visione che, attraverso la CCS, coniughi obiettivi di sostenibilità ambientale, sociale e di politica industriale. Scriveva così uno studio Snam-Ambrosetti presentato il mese scorso. “Puntiamo inoltre a una rete in grado di gestire nuovi servizi di gestione del carbonio in Europa. Uno che potrebbe trasportare CO2 dal punto di emissione alle fonti e dalle strutture di cattura ai siti di stoccaggio e di fabbrica”, diceva un anno fa la commissaria Ue Kadri Simson. “Tutto questo pianterà i semi per una futura griglia di CO2. Abbiamo iniziato a lavorare su uno studio per analizzare uno schema delle infrastrutture di trasporto e stoccaggio di CO2 nel 2030 e nel 2040 e ci aspettiamo i risultati all’inizio del prossimo anno”. Se l’Europa avanza, in Italia la carbon capture fatica ancora a registrare risultati.