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Ex Ilva crisi

Ex Ilva, il grido di allarme di Federacciai: “Situazione drammatica, perdite fino a 100 milioni al mese”

Audizione in Senato: Gozzi avverte che gli impianti sequestrati allontanano gli investitori. Confermata la cassa integrazione per 4.450 dipendenti, mentre i sindacati chiedono il ritiro del “piano corto”.

L’acciaio italiano è a un bivio drammatico. Il dossier ex Ilva torna a infiammare il dibattito politico e industriale con numeri che lasciano poco spazio all’ottimismo. Durante l’audizione in commissione Industria al Senato, il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, non ha usato mezzi termini: “La situazione è drammatica dal punto di vista industriale. Secondo le nostre informazioni, le perdite attuali oscillano tra gli 80 e i 100 milioni di euro al mese”. Un buco finanziario che si allarga mentre la produzione arranca a 1,6 milioni di tonnellate, ben lontana dal break even fissato a 6 milioni, rendendo lo stabilimento tarantino un gigante dai piedi d’argilla incapace di attrarre investitori privati.

IMPIANTI SOTTO SEQUESTRO E DECARBONIZZAZIONE: LE BARRIERE ALLA VENDITA

Il nodo centrale resta l’inagibilità percepita dagli operatori industriali. “Non si può chiedere a dei privati di intervenire su un’azienda i cui impianti sono totalmente sequestrati da lustri”, ha tuonato Gozzi, sottolineando come l’assenza di offerte all’ultima asta sia la prova tangibile di questa sfiducia. A complicare il quadro è intervenuta la modifica del bando di gara, illustrata dal commissario straordinario di Acciaierie d’Italia, Giancarlo Quaranta. I vincoli sulla totale decarbonizzazione e la riduzione del target produttivo (da 8 a 6 milioni di tonnellate) hanno spiazzato i potenziali acquirenti, costringendo al ritiro soggetti come Baku Steel e gli indiani di Jindal, spaventati anche dalle limitazioni sulla disponibilità di gas.

IL NODO OCCUPAZIONALE: CASSA INTEGRAZIONE E “PIANO CORTO”

Sul fronte lavoro, l’amministrazione straordinaria ha confermato i numeri attuali: 4.450 dipendenti resteranno in cassa integrazione (di cui circa 3.800 a Taranto), smentendo le voci di un aumento a 6.000 unità a gennaio. Tuttavia, la tensione sociale resta altissima. I sindacati Fim, Fiom, Uilm e Usb, riuniti in consiglio di fabbrica permanente, hanno bocciato senza appello il cosiddetto “piano corto” presentato dal governo, definendolo un “piano di chiusura” che prevede lo spegnimento delle cokerie dal 2026. La richiesta unanime è il ritiro del piano e l’apertura di un tavolo a Palazzo Chigi per garantire investimenti su forni elettrici e impianti di pre-ridotto (Dri).

IL FUTURO STRATEGICO E LE PREOCCUPAZIONI DELLE IMPRESE

Nonostante le criticità, il sistema produttivo ribadisce la centralità strategica dell’acciaio. Luigi Sabadini di Confapi ha avvertito che perdere un campione nazionale come l’ex Ilva significherebbe “mettersi ai margini”, proponendo un modello misto che mantenga una parte a ciclo integrale per l’alta qualità. Manuela Aloisi di Confimi Industria ha invece puntato il dito contro il CBAM, il dazio ambientale europeo in arrivo, chiedendone una revisione per tutelare la competitività. Ma il tempo stringe: senza interventi strutturali e una chiara volontà politica e territoriale, il rischio è che il più grande polo siderurgico d’Europa si trasformi definitivamente in un vuoto industriale incolmabile.

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