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Studio CED

Gli inverter fotovoltaici sono un rischio per la cybesecurity? Lo studio CED

L’espansione di forme decentralizzate di produzione di energia e il passaggio da una rete centralizzata a una rete diffusa e smart amplifica enormemente la vulnerabilità dell’ecosistema energetico rispetto ad attacchi cibernetici. Lo studio CED analizza le implicazioni per la sicurezza, soprattutto per il settore fotovoltaico

LO STUDIO CED

Il Centro Economia Digitale ha reso pubblico il rapporto “Indipendenza energetica, sviluppo del fotovoltaico e questioni di sicurezza”. L’obiettivo dello studio CED è quello di analizzare le dipendenze strategiche dell’Europa nel settore delle energie rinnovabili e, in particolare, nel fotovoltaico evidenziando i rischi in termini di sicurezza dell’infrastruttura di rete elettrica e dei settori critici.

Dallo studio, infatti, Emerge infatti con chiarezza l’importanza di definire e implementare una strategia efficace per garantire la capacità effettiva dell’Europa di ridurre in maniera decisa la dipendenza da fonti fossili e aumentare la propria autonomia energetica nei confronti sia dei paesi produttori di fonti fossili sia dei paesi attualmente dominanti nella catena del valore del settore delle energie rinnovabili.

LE TECNOLOGIE SOLARI FOTOVOLTAICHE

Il settore fotovoltaico – secondo quanto emerge dallo studio CED – svolgerà un ruolo importante nel garantire quantità sufficienti di elettricità pulita, tanto che la Commissione stima che il raggiungimento degli obiettivi del Green Deal europeo comporterà un aumento di tre volte della produzione di energia solare entro il 2030 e un aumento di quasi dieci volte entro il 2050.

Per quanto riguarda il settore in questione, lo studio CED riprende l’ultimo Rapporto della Commissione Europea sulle dipendenze strategiche dell’Unione in cui si evidenzia che la maggior parte delle importazioni dell’UE proviene da meno di tre paesi terzi, con la Cina che rappresenta il 63% delle importazioni dell’UE. Le dipendenze strategiche dell’UE sono principalmente legate all’assenza di capacità produttive significative per lingotti, moduli e, in particolare, celle solari basate su wafer di silicio. Nel 2020, la quota di produzione globale dell’UE nel settore del fotovoltaico era dell’11% per il polisilicio, del 2-3% per i moduli, dell’1% per i wafer solari e dello 0,4% per le celle solari.

In pochi anni – come evidenziano i dati – il dominio cinese nelle fasi di produzione del polisilicio e delle celle fotovoltaiche è cresciuto significativamente: nel 2020, la Cina ha raggiunto una quota di produzione del 76% per il polisilicio e del 77% per le celle.

LA PRODUZIONE DI INVERTER

Per quanto concerne la produzione di inverter, una componente essenziale di un sistema fotovoltaico che consente di convertire in corrente alternata l’energia generata dai pannelli solari, lo studio CED evidenzia che nel 2020 è stata l’azienda cinese Huawei la più grande produttrice di inverter fotovoltaici a livello mondiale, con quasi il 23% della quota di mercato, sulla base delle spedizioni. Huawei è seguita da un’altra azienda cinese, la Sungrow Power Supply e dalla tedesca SMA, che rispettivamente detenevano nel 2020 il 19% e il 7% della quota di mercato.

Alla luce di una concentrazione di mercato così significativa, l’industria solare può trovarsi di fronte a una situazione in cui non è più in grado di mitigare tali rischi diversificando o rispondendo in modo flessibile a essi. Unitamente alla dipendenza nell’accesso alle terre rare, una tale situazione potrebbe ostacolare la futura diffusione delle tecnologie solari da parte dell’UE.

STUDIO CED: QUESTIONI DI SICUREZZA

Secondo lo studio CED, l’espansione di forme decentralizzate di produzione di energia e il passaggio da una rete centralizzata a una rete diffusa e smart amplifica enormemente la vulnerabilità dell’ecosistema energetico rispetto ad attacchi cibernetici. A tal proposito, il Centro Economia Digitale riprende il rapporto del World Economic Forum che, già nel 2019, mostrava come la produzione diffusa di energia avviene infatti attraverso dispositivi connessi digitalmente (IoT, Internet of Things), che possono essere soggetti ad attacchi informatici con conseguenze non solo per i singoli utenti ma per l’intera infrastruttura di rete. Secondo il Global Risk Report 2019 del World Economic Forum, invece, gli attacchi cyber su larga scala sono al quinto posto tra i rischi più probabili nei prossimi 10 anni.

Il punto chiave – secondo lo studio CED – è che gli inverter sono essenzialmente dei dispositivi IoT, collegati alla rete elettrica, che trasmettono e ricevono dati, inclusi quelli, decisamente sensibili, su come si distribuisce il consumo nazionale. A conferma di ciò il Centro Economia Digitale analizza il recente Report dell’Enisa, l’Agenzia dell’Unione Europea per la Cybersecurity, che sottolinea come l’inverter rappresenta una potenziale superficie di attacco cyber e può fare da “ponte” per incursioni malevole nelle reti intelligenti in grado di provocare estesi blackout o sbilanciamenti nella rete elettrica. Difatti, il report in questione evidenzia che nell’ultimo decennio le organizzazioni hanno dovuto affrontare diverse minacce alla sicurezza informatica delle loro infrastrutture di rete. Ad esempio, nel 2015 in Ucraina sono state scollegate dalla rete circa trenta sottostazioni.

LE RICHIESTE DI DIVIETO SUGLI INVERTER HUAWEI

Il Centro Economia Digitale sottolinea che la posizione dominante di Huawei nel mercato degli inverter, unita al sostegno di cui gode da parte del governo cinese, ha sollevato tali preoccupazioni negli Stati Uniti che, nel 2019, un gruppo bipartisan di senatori statunitensi ha inviato una lettera al Segretario all’Energia Rick Perry e al Segretario del Dipartimento di Sicurezza Nazionale Kirstjen Nielsen, esortandoli a vietare la vendita di tutti i prodotti solari di Huawei negli Stati Uniti, citando una minaccia alla sicurezza nazionale delle infrastrutture energetiche statunitensi, per via dei legami dell’azienda con i servizi segreti cinesi.

Queste forti pressioni politiche hanno portato Huawei a chiudere una parte delle sue attività nel business dell’energia solare sul suolo statunitense, mentre in Europa, nonostante crescano le preoccupazioni sul dominio statale cinese nel settore, ancora si tentenna sulle regolamentazioni da intraprendere.

Nell’UE – riporta il CED – è stato inizialmente adottato un approccio più ambivalente verso Huawei, avendo solo accettato di ridurre la sua dipendenza da apparecchiature suscettibili di influenza del governo cinese per le future reti 5G. Tuttavia, i funzionari di un certo numero di paesi dell’UE hanno recentemente lanciato un allarme sul ruolo dello stato cinese in settori delle loro economie che rappresentano interessi chiave per la sicurezza nazionale, tra cui le banche, l’energia e le infrastrutture.

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