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Guerra energetica su tre fronti: Kiev colpisce raffinerie russe ma compra gas di Mosca, accordo Ue-Usa su energia è bluff?

Il Corriere della Sera, Il Fatto Quotidiano, La Stampa e Affari & Finanza di Repubblica, dipingono un quadro di paradossi strategici ed economici che definiscono il conflitto e le sue ripercussioni globali.
L’Ucraina riprende a colpire il cuore energetico ed economico della Russia con droni a lungo raggio, ma al tempo stesso, indebolita dai bombardamenti sulle proprie infrastrutture, si trova costretta a comprare, seppur indirettamente, proprio il gas di Mosca per affrontare il prossimo inverno. Uno scenario di guerra energetica complesso, che si intreccia con un controverso accordo sui dazi tra UE e USA, definito da più parti irrealizzabile e utile solo a sventolare una bandiera politica. Le notizie, riportate oggi da diverse testate tra cui Il Corriere della Sera, Il Fatto Quotidiano, La Stampa e Affari & Finanza di Repubblica, dipingono un quadro di paradossi strategici ed economici che definiscono il conflitto e le sue ripercussioni globali.

KIEV RIPRENDE GLI ATTACCHI AL PETROLIO RUSSO

Nelle prime ore dell’alba di ieri, un drone ha scatenato un vasto incendio in un deposito di petrolio a Sochi, sul Mar Nero, costringendo alla sospensione dei voli nell’aeroporto della nota località turistica. Come riporta il Corriere della Sera, l’attacco non è un atto isolato. Nei giorni scorsi sono state bombardate raffinerie nelle regioni di Samara e Ryazan, e a inizio luglio era stato colpito un impianto a Ilsky. Era da più di quattro mesi, da febbraio, che Kiev non prendeva di mira leinfrastrutture considerate vitali per l’economia e la macchina bellica nemica.

La precisione e la portata di questi raid suggeriscono un netto cambio di strategia. Secondo l’analisi del quotidiano, queste operazioni erano state sospese durante i periodi di maggiore impegno diplomatico seguiti all’insediamento di Donald Trump e all’avvio di comunicazioni dirette tra Casa Bianca e Cremlino. Poiché i colloqui non sembrano aver prodotto risultati concreti, la ripresa degli attacchi indica che Washington potrebbe aver concesso a Kiev nuova libertà operativa per colpire obiettivi strategici.

L’obiettivo è duplice: da un lato, imporre costi materiali diretti e indebolire lo sforzo bellico russo, dall’altro, inviare un messaggio di deterrenza. Secondo stime di Reuters, solo all’inizio del 2025 i raid sono costati alla Russia circa il 10% della sua capacità di raffinazione, contribuendo, insieme alle sanzioni, a mettere in difficoltà economica Mosca.

IL PARADOSSO DEL GAS: KIEV BLOCCA I GASDOTTI MA COMPRA COMBUSTIBILE RUSSO DALL’EUROPA

Mentre colpisce la Russia, l’Ucraina combatte un’altra battaglia decisiva per la propria sopravvivenza: l’approvvigionamento di gas per l’inverno. Il Fatto Quotidiano evidenzia una profonda contraddizione. Kiev ha deciso di bloccare completamente il transito di gas russo attraverso il suo territorio, ma i pesanti bombardamenti russi sulle infrastrutture energetiche ucraine hanno ridotto di almeno un terzo la capacità di produzione nazionale.

Di conseguenza, per riempire gli stoccaggi, Kiev deve importare gas dall’Europa. Ma, come ricorda un articolo di Gianandrea Gaiani su Analisi Difesa, quel gas comprato dagli alleati europei proviene, in parte, ancora da Mosca. I principali fornitori, infatti, sono Ungheria e Slovacchia, che a loro volta acquistano combustibile dalla Russia.

Il secondo paradosso è finanziario. La Banca nazionale ucraina ha stimato un fabbisogno di 2,9 miliardi di dollari per le importazioni di gas nel 2025, finanziate in gran parte dagli aiuti e dai prestiti erogati dall’Unione Europea e dal Fondo Monetario Internazionale. In sostanza, l’Europa finanzia l’acquisto di gas che, indirettamente, arriva ancora dalla Russia. Per diversificare, Kiev ha recentemente firmato un contratto di fornitura con l’Azerbaigian, mossa che ha irritato Mosca.

L’ACCORDO UE-USA SULL’ENERGIA: UNA PROMESSA VUOTA

In questo scenario si inserisce l’accordo commerciale tra Unione Europea e Stati Uniti. Come scrive Affari & Finanza di Repubblica, la promessa europea di acquistare 750 miliardi di dollari di prodotti energetici dagli USA in tre anni (250 miliardi l’anno) è il cardine dell’intesa, ma è anche un impegno quasi impossibile da mantenere. L’anno scorso, le importazioni totali di energia dagli USA sono state inferiori a 80 miliardi di dollari, mentre le esportazioni totali americane verso il mondo intero hanno superato di poco i 330 miliardi. Dedicare 250 miliardi a un solo mercato appare uno sforzo insostenibile.

Gianni Murano, presidente dell’Unem (ex Unione petrolifera), intervistato da La Stampa, rincara la dose: «Non si capisce come si possano forzare società petrolifere private a comprare del greggio americano, che magari in questa fase non è nemmeno troppo conveniente». Murano definisce l’obiettivo “difficilmente raggiungibile”, sottolineando che l’accordo è “troppo poco chiaro”.

Il problema principale, come analizza Repubblica, è che il mercato energetico, in particolare quello del Gas Naturale Liquefatto (GNL), non è controllato dai governi, ma da operatori privati che stringono accordi a lungo termine. Il GNL viene scambiato su un mercato globale e le navi gasiere si dirigono dove le condizioni economiche sono migliori, non necessariamente dove la politica indica. Per ora, l’accordo sembra essere solo “una bandiera di cui entrambi possono ritenersi soddisfatti”: Trump potrà rinfacciare all’UE un’eventuale promessa non mantenuta, e Ursula von der Leyen si è presa un impegno legato a una tendenza già in atto ma, in fin dei conti, poco vincolante.

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