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Clima

Il riscaldamento globale rompe l’ultima piattaforma di ghiaccio del Canada

Secondo una nuova ricerca pubblicata su Nature l’innalzamento del livello del mare causato dal riscaldamento globale potrebbe minacciare 40 milioni di persone in più rispetto alle stime precedenti nei prossimi 30 anni

Gran parte della piattaforma di ghiaccio intatta rimanente del Canada si è rotta in enormi isole di iceberg per colpa dell’estate calda e del riscaldamento globale. Secondo gli scienziati, citati dall’agenzia Associated Press, la piattaforma di ghiaccio Milne di 4.000 anni del Canada sul bordo nord-occidentale dell’isola di Ellesmere era l’ultima piattaforma intatta del paese fino alla fine di luglio, quando l’analista del ghiaccio Adrienne White del Canadian Ice Service ha notato da alcune foto satellitari che circa il 43% della piattaforma si era incrinata.

IL RISCALDAMENTO

Le temperature da maggio all’inizio di agosto nella regione sono state di 5 gradi Celsius più calde rispetto alla media 1980-2010, ha detto il professore di glaciologia dell’Università di Ottawa Luke Copland. Questo in un contesto artico che si stava già riscaldando molto più velocemente del resto del globo. “Senza dubbio è il cambiamento climatico”, ha detto Copland aggiungendo che non esistono più molte piattaforme di ghiaccio nella zona: “Le abbiamo perse quasi tutte dalla Groenlandia settentrionale e dall’Artico russo. Potrebbero essercene solo in alcuni fiordi protetti”.

Il problema, semmai, è di altra natura: se gli iceberg dovessero raggiungere acque più calde, il clima potrebbe scioglierli, il che contribuirebbe all’innalzamento del livello del mare, secondo il National Snow and Ice Data Center.

LA MINACCIA SOPRATTUTTO PER L’ASIA

Secondo una nuova ricerca pubblicata su Nature l’innalzamento del livello del mare potrebbe minacciare 40 milioni di persone in più rispetto alle stime precedenti nei prossimi 30 anni, con i paesi asiatici più poveri maggiormente a rischio.

“La maggior parte dell’innalzamento del livello del mare tra oggi e il 2050 è già cosa fatta”, ha affermato Benjamin Strauss, coautore del rapporto peer-reviewed dell’organizzazione scientifica Climate Central.

RALLENTARE IL CAMBIAMENTO CLIMATICO

La maggior parte dell’attenzione politica si concentra infatti su come rallentare il cambiamento climatico riducendo le emissioni di gas serra che stanno aumentando la temperatura della Terra, ma una parte altrettanto consequenziale di questo problema è l’adattamento a un mondo più caldo a nei prossimi decenni.

I ricercatori hanno utilizzato un metodo più sofisticato per determinare “il vero livello del suolo dalle cime degli alberi o degli edifici”, ha detto al NYT il coautore Scott Kulp. Questo metodo è già stato utilizzato nelle parti più sviluppate del mondo, ma non in Asia, motivo per cui gli impatti previsti sono più nuovi e più gravi lì. I numeri sono più grandi in Asia in generale perché c’è una densità di popolazione alta e concentrata verso la costa”, ha detto Strauss. La ricerca però non tiene conto della crescita della popolazione, quindi l’impatto potrebbe essere ancora maggiore se questi paesi dovessero a crescere come previsto.

FINO A 200 MILIONI DI PERSONE IN PIÙ SARANNO A RISCHIO ENTRO IL 2100 SENZA INTERVENTI

La ricerca rileva che 40 milioni di persone in più vivranno in aree al di sotto dei livelli di alta marea entro il 2050, il che significa, ha detto Strauss, che “o si ottiene una difesa costiera o è meglio scappare”. Questo aumento si aggiunge ai 110 milioni di persone che già vivono al di sotto dei livelli di alta marea con protezioni infrastrutturali minime come gli argini. “Sebbene gli argini possano proteggerci, possono anche darci un falso senso di sicurezza, perché quando falliscono i risultati possono essere catastrofici”, ha detto Strauss, sottolineando le sfide che devono affrontare New Orleans.

Strauss spera che questa ricerca stimoli le città a prepararsi meglio per l’innalzamento dei mari che inevitabilmente stanno arrivando, ma anche a ridurre le emissioni per limitare gli impatti peggiori entro la fine di questo secolo. La sua ricerca suggerisce che se continuiamo lasciare le emissioni per lo più incontrollate, fino a 200 milioni di persone in più saranno a rischio entro il 2100.

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