Giorgetti e Urso confermano: niente più partecipazione statale nell’ex Ilva. Elettricità Futura sceglie tre saggi per il cambio di presidente. Marcegaglia: Il Green Deal minaccia l’industria. La rassegna Energia
Lo Stato non sarà più azionista dell’ex Ilva. A confermarlo sono i due ministri dell’Economia e delle Imprese, Giorgetti e Urso, che provano a rassicurare i sindacati riguardo il riavvio del terzo altoforno, importante per la capacità produttiva dello stabilimento. Tre saggi per un presidente. L’Associazione dell’energia di Confindustria ha sorteggiato tre “figure con esperienza e rispettate nel settore” per seguire l’iter di rinnovo del presidente, scrive La Repubblica. L’iniziativa è stata guidata dalle principali aziende che aderiscono all’associazione, tra cui Enel, Edison, Iren, A2A, Cesi, Sorgenia, Engie Italia ed Ep Produzione. Il Green deal minaccia l’industria italiana, servono regole certe per le imprese. Emma Marcegaglia, ad dell’omonimo gruppo, chiede senza mezzi termini di cambiare il piano europeo di transizione perseguendo un approccio meno ideologico. La rassegna Energia.
ILVA, GIORGETTI E URSO: LO STATO NON SARA’ PIU’ AZIONISTA
“Nel 2025 per Acciaierie d’Italia, l’ex Ilva, «dobbiamo immaginare la produzione tra 3,7-3,8 milioni di tonnellate e capire come valorizzare l’acciaio che produrremo per renderlo più remunerativo possibile. Non arriviamo al break even, ma questo serve a recuperare un assetto ottimale nella marcia degli altiforni. Chi verrà, non potrà dire che siamo stati inermi, ma ci siamo dati da fare per recuperare la migliore condizione possibile». Ieri sera al tavolo di Palazzo Chigi Giancarlo Quaranta, uno dei commissari di AdI, delinea lo scenario a breve per l’ex Ilva. Con i commissari delle due amministrazioni straordinarie, Acciaierie e Ilva, l’ad di Invitalia, Mattarella, ci sono il sottosegretario alla presidenza, Mantovano, i ministri Urso, Calderone e Pichetto Fratin e videocollegato Giorgetti. Dall’altra parte del tavolo, i sindacati Fim Cisl, Fiom Cgil, Uilm, Usb, Ugl e Federmanager”, si legge su Il Sole 24 Ore.
“«Mantenere l’asset integro è la priorità – dice Urso rispondendo ai sindacati -, così come è importante riattivare il terzo altoforno perché il prestito ponte della UE é stato ottenuto sul fatto che si sarebbe raggiunta una determinata capacità produttiva». (…) E l’ad Mattarella afferma che la via migliore per una società come Invitalia è più che la partecipazione societaria, la gestione e il controllo degli incentivi. (…) serio. Per Urso, la partita non si chiude con le offerte vincolanti attese entro fine novembre, «perché poi ci sarà un’ulteriore fase di negoziazione»”, continua il giornale.
“«Evitiamo che sull’occupazione ci sia un bagno di sangue» raccomanda la Uilm e Urso risponde che ci sarà un esame attento del piano industriale che dovrà avere il suo fulcro nella decarbonizzazione. Nel mentre, con il riavvio dell’Altoforno si ridurrà il peso dell’utilizzo della cassa integrazione, come sottolineato dalla ministra del Lavoro Marina Calderone. Quanto alla decarbonizzazione, i tempi di quest’ultima sono così scanditi da Quaranta: 33-36 mesi per l’impianto del preridotto che dovrà alimentare i forni elettrici e 22-24 mesi pergli stessi forni elettrici. «Ecco perché è stato necessario pianificare interventi sugli altiforni» dice Quaranta, che evidenzia: «Provvederemo al riavvio dell’altoforno 2 ma non sarà una passeggiata”, continua il giornale.
ENERGIA, TRE SAGGI PER SCEGLIERE NUOVO PRESIDENTE ELETTRICITA’ FUTURA
“Parte l’iter di rinnovo per nominare il nuovo presidente di Elettricità Futura, l’associazione che raggruppa i big del settore e le aziende che si occupano di rinnovabili. Il 29 ottobre, secondo le procedure dell’associazione che aderisce a Confindustria, sono stati sorteggiati Guido Bortoni (Cesi e già presidente Arera), Felice Egidi (Esi) e Marco Peruzzi (Edison). Saranno i tre “saggi” che avvieranno il percorso di ascolto e dialogo che porterà alla scelta del nuovo presidente. Figure con esperienza e rispettate nel settore.
Ai tre saggi toccherà il compito di raccogliere le candidature alla presidenza, provando a smussare gli angoli e a trovare il nome giusto. (…) L’iniziativa è stata guidata dalle principali aziende dell’associazione, tra cui Enel, Edison, Iren, A2A, Cesi, Sorgenia, Engie Italia ed Ep Produzione, alle quali si sono aggiunte anche diverse altre realtà che sono insoddisfatte dall’approccio timido di fronte alle sfide del settore, in particolare per quanto riguarda la transizione green”, si legge su La Repubblica.
“«Più che di risorse abbiamo bisogno di regole certe e meno burocrazia. Ma le cose che ci preoccupano davvero sono altre». (…) «La decarbonizzazione è senza dubbio uno dei temi più urgenti. Va fatta. Non possiamo e non vogliamo tornare indietro, ma l’approccio attuale è sbagliato. Abbiamo obiettivi sempre più sfidanti, ma non si considera quanto è alto il costo dell’energia e questo fa sì che alcune richieste siano irrealistiche. Ad esempio, non è sostenibile che entro il 2025 il 20% delle auto prodotte debba essere elettrico. Se il mercato non è pronto e non le compra, obbligare a produrre auto elettriche diventa un problema per i costruttori che rischiano pesanti sanzioni. Quando sono state definite queste regole c’erano presupposti che ora non esistono più». (…) «Prima di tutto bisogna allungare i tempi di adozione e puntare sulla neutralità tecnologica. Considerando, per esempio, i biocarburanti. Il mercato non è pronto a una transizione così veloce: i consumatori non comprano auto elettriche, anche per il loro prezzo elevato. Sulla decarbonizzazione, il Green deal dovrebbe essere gestito con un approccio meno dogmatico da Bruxelles, serve una visione più flessibile. E un investimento massiccio in innovazione oltre a una proroga della deadline per evitare che il settore automotive europeo venga indebolito». (…) «Nel 2026 entrerà in vigore la Cbam (Carbon border adjustment mechanism, ndr), una direttiva che impone una tassa sulle materie prime provenienti da fuori Europa se hanno una maggiore intensità di emissioni di anidride carbonica rispetto a noi. (…) Penso anche a Industria 5.0: sono stati stanziati 6,3 miliardi, ma ottenere i fondi è così difficile che sono stati chiesti appena 100 milioni. Risorse che, invece, per le Pmi sarebbero fondamentali». (…) «È un altro problema grave. In Francia si pagano circa 40 euro per megawattora, da noi oltre 100. Una soluzione potrebbe essere il nucleare, con i piccoli reattori nucleari che molti Paesi stanno sviluppando e che in Italia potrebbero essere realizzati tramite consorzi o distretti industriali. Un’altra idea è restituire parte delle imposte versate per la CO2 alle aziende che investono nella decarbonizzazione: in Germania, con questo meccanismo, le imprese incassano 4 miliardi l’anno”, continua il giornale.
ENERGIA, MARCEGAGLIA: “GREEN DEAL MINACCIA L’INDUSTRIA”
“Lo stop improvviso del Pil fa rumore. In molti temevano che il motore fosse in panne, ma ancora speravano in una frenata che non azzerasse la crescita. L’Istat, invece, certifica che l’obiettivo di fine anno, l’1% indicato dal governo, è diventato una chimera. «Ma il problema riguarda tutta l’Europa. La Germania ha recuperato lo 0,2%, ma viene da un anno di recessione e la Francia non sta particolarmente bene», riflette Emma Marcegaglia, alla guida dell’omonimo gruppo con il fratello Antonio e già numero uno di Confindustria e dell’Eni, che poi aggiunge: «La crescita resta appesa a decimali, ma per noi l’emergenza è il Green deal. Ci crediamo ma non può essere ideologico». (…) «Inutile girarci intorno, questo trimestre siamo fermi, ma anche la Germania. E questa è una cattiva notizia, perché ci danneggia. È l’Europa nel suo complesso a soffrire e, di conseguenza, siamo tutti meno competitivi. D’altra parte non è un mistero che il gap tra noi e gli Stati Uniti si stia allargando. Siamo di fronte a un’Europa stanca, che non riesce a reagire e questo si ripercuote anche su di noi».
Il biennio dopo il Covid ci aveva illuso. «Fino alla pandemia, crescevamo la metà della media europea. Poi siamo stati bravi a reagire, in particolare la nostra industria che sull’export ha fatto molto bene. E una spinta al Pil è arrivata dal Superbonus, dalla politica monetaria con i tassi negativi e dal Recovery Plan, ma ora questi aspetti si stanno esaurendo». (…) Speriamo che l’Europa confermi il percorso di rientro del deficit in sette anni. In questo scenario, i margini di manovra erano ridotti e le scelte obbligate. I tagli al cuneo fiscale e i sostegni alle fasce deboli sono passi importanti, ma ci sono anche misure strane, come l’obbligo di nominare un membro del collegio sindacale indicato dal Mef per chi riceve oltre 100 mila euro di incentivi pubblici”, si legge su La Stampa.
«Più che di risorse abbiamo bisogno di regole certe e meno burocrazia. Ma le cose che ci preoccupano davvero sono altre». (…) «La decarbonizzazione è senza dubbio uno dei temi più urgenti. Va fatta. Non possiamo e non vogliamo tornare indietro, ma l’approccio attuale è sbagliato. Abbiamo obiettivi sempre più sfidanti, ma non si considera quanto è alto il costo dell’energia e questo fa sì che alcune richieste siano irrealistiche. Ad esempio, non è sostenibile che entro il 2025 il 20% delle auto prodotte debba essere elettrico. Se il mercato non è pronto e non le compra, obbligare a produrre auto elettriche diventa un problema per i costruttori che rischiano pesanti sanzioni. Quando sono state definite queste regole c’erano presupposti che ora non esistono più». (…) «Prima di tutto bisogna allungare i tempi di adozione e puntare sulla neutralità tecnologica. Considerando, per esempio, i biocarburanti. Il mercato non è pronto a una transizione così veloce: i consumatori non comprano auto elettriche, anche per il loro prezzo elevato. Sulla decarbonizzazione, il Green deal dovrebbe essere gestito con un approccio meno dogmatico da Bruxelles, serve una visione più flessibile. E un investimento massiccio in innovazione oltre a una proroga della deadline per evitare che il settore automotive europeo venga indebolito». (…) «Nel 2026 entrerà in vigore la Cbam (Carbon border adjustment mechanism, ndr), una direttiva che impone una tassa sulle materie prime provenienti da fuori Europa se hanno una maggiore intensità di emissioni di anidride carbonica rispetto a noi. Il risultato è che i produttori europei pagheranno di più le materie prime, mentre i prodotti extraeuropei continueranno a competere con i nostri, senza lo stesso sovrapprezzo. Così si rischia la de-industrializzazione. La burocrazia frena e complica ogni iniziativa e l’industria rischia di pagarne il prezzo. Penso anche a Industria 5.0: sono stati stanziati 6,3 miliardi, ma ottenere i fondi è così difficile che sono stati chiesti appena 100 milioni. Risorse che, invece, per le Pmi sarebbero fondamentali». (…) Una soluzione (per il prezzo dell’energia) potrebbe essere il nucleare, con i piccoli reattori nucleari che molti Paesi stanno sviluppando e che in Italia potrebbero essere realizzati tramite consorzi o distretti industriali. Un’altra idea è restituire parte delle imposte versate per la CO2 alle aziende che investono nella decarbonizzazione (…) con l’Energy Release voluto dal governo: un’azienda riceve energia a un prezzo calmierato, impegnandosi però a investire il doppio in rinnovabili. Noi imprenditori abbiamo bisogno di certezze, più che di fondi”, continua il giornale.