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Cina Eolico Offshore

La Belt and Road Initiative potrebbe diventare più sostenibile

In Cina si è proposto un meccanismo per disincentivare le banche ad investire nei progetti legati alla Belt and Road Initiative ad impatto ambientale negativo

Uno studio realizzato da una coalizione di organizzazioni non governative e promosso dal ministero cinese dell’Ambiente ha proposto un meccanismo per disincentivare le banche cinesi ad investire in progetti dannosi per l’ambiente legati alla Belt and Road Initiative.

LA CLASSIFICAZIONE IN TRE LIVELLI

Lo studio propone una classificazione a tre livelli dei progetti che rientrano nella Belt and Road Initiative – o Nuova via della Seta, il grande piano di infrastrutture cinese – a seconda dei loro impatti sull’inquinamento, sul clima e sulla biodiversità.

I progetti che richiedono un controllo più severo sono quelli “rossi”: ovvero le centrali a carbone, le centrali idroelettriche, gli impianti petrolchimici o le fonderie. Le infrastrutture “gialle” sono invece quelle con un impatto ambientale neutro o più facilmente gestibile, come quelle per il trasporto merci. I progetti “verdi” – quelli in cui le banche verrebbero incentivate ad investire – sono quelli legati alle fonti rinnovabili come l’eolico e il solare.

In una lista a parte, infine, rientrano tutti quei progetti legati alle fonti fossili che hanno un impatto sull’ambiente “grave ed irreversibile”, non mitigabile, e che pertanto non dovrebbero affatto ricevere finanziamenti.

I RISCHI AMBIENTALI PER GLI INVESTITORI

Una classificazione di questo tipo, scrive il Financial Times, allineerebbe la Cina ad oltre 120 istituti finanziari nel mondo, che hanno già adottato misure simili.

Christopher Nedopil Wang – direttore del centro Green BRI all’Università della finanza e dell’economia di Pechino, oltre che uno degli autori dello studio – ha spiegato che i progetti legati alla Belt and Road Initiative devono già rispettare gli standard sulle emissioni di anidride carbonica e sulla protezione ambientali dei paesi in cui vengono realizzati.

Il meccanismo su tre livelli, secondo Wang, non soltanto fornirebbe un’ulteriore garanzia ai vari “paesi ospitanti”, ma garantirebbe anche maggiore protezione agli interessi finanziari cinesi, considerato che quelli ambientali stanno diventando fattori di rischio sempre più rilevanti per gli investimenti.

Anche il Giappone e la Corea del sud si stanno dotando di regolazioni simili: il governo giapponese ha ad esempio detto che limiterà la possibilità per le banche statali di offrire prestiti a tassi vantaggiosi per la costruzione di centrali a carbone nei paesi in via di sviluppo.

LA DIPENDENZA DAL CARBONE

Tuttavia, le due più grandi policy banks cinesi – quelle banche che attuano e sostengono le politiche pubbliche –, la China Development Bank e la Export-Import Bank of China, non si sono ancora impegnate pubblicamente a smettere di investire nel carbone.

Il combustibile genera circa il 60 per cento dell’energia nel paese, che è il maggiore emettitore di anidride carbonica al mondo. Proprio la dipendenza dal carbone è uno degli ostacoli principali al raggiungimento delle zero emissioni nette entro il 2060, così come annunciato dal presidente Xi Jinping lo scorso settembre.

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