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La corsa all’eolico offshore nel Mediterraneo e la sfida italiana

Nel nostro Paese, uno dei principali ostacoli allo sviluppo dell’eolico offshore è rappresentato dai tempi dei procedimenti autorizzativi: la VIA dovrebbe concludersi in 175 giorni ma, secondo i dati raccolti da Legambiente su 24 progetti, in media richiede 340 giorni

Il Mar Mediterraneo ha tutte le carte in regola per diventare un hub strategico per la produzione di energia rinnovabile. Secondo il “Global Offshore Wind Report 2025” del Global Wind Energy Council, nel 2024 è stato effettuato il “commissioning” di impianti eolici offshore per una capacità totale pari a 41,8 MW e alla fine dello stesso anno erano globalmente installati 278 MW, di cui 101 MW in Norvegia, 78 MW nel Regno Unito, 40 MW in Cina, 27 MW in Francia, 25 MW in Portogallo, 5 MW in Giappone e 2 MW in Spagna.

In questo scenario, l’Italia ha l’occasione di guidare la transizione nel settore dell’eolico offshore. A certificarlo, tra i tanti, è stata anche Legambiente, che nel luglio scorso ad Augusta, in Sicilia, ha presentato una mappa dei progetti esistenti.

LEGAMBIENTE: IN ITALIA PRESENTATI GIÀ 93 PROGETTI DI IMPIANTI EOLICI OFFSHORE

La mappa dimostra che in Italia sono già stati presentati 93 progetti di impianti, per una potenza complessiva di 74 GW distribuita in 10 Regioni. La maggior parte dei progetti (88) prevede l’utilizzo della tecnologia galleggiante, mentre i restanti 5 progetti si basano su strutture fisse. Le Regioni più attive sono Puglia (26 progetti), Sicilia (25) e Sardegna (24).

Inoltre, secondo i dati di Terna, ad oggi vi sono 132 richieste di connessione alla rete per gli impianti eolici offshore, per una potenza complessiva di quasi 90 GW. Si tratta quindi di un potenziale notevole, che potrebbe soddisfare una grossa quota dei fabbisogni energetici futuri, ma che al momento resta fermo al palo a causa delle lentezze burocratiche che colpiscono il settore.

LA BUROCRAZIA OSTACOLA LO SVILUPPO DELL’EOLICO OFFSHORE

Uno dei principali ostacoli allo sviluppo del settore eolico offshore è rappresentato infatti dai tempi dei procedimenti autorizzativi: se la Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) in teoria dovrebbe concludersi in 175 giorni, secondo i dati raccolti su 24 progetti richiede in media 340 giorni, quasi il doppio.

Se a ciò aggiungiamo i ritardi del Ministero della Cultura nel rilasciare i pareri di competenza – che spesso superano i 140 giorni previsti – il risultato è una sospensione dell’intero iter autorizzativo. Un fatto che, secondo Legambiente, rischia di compromettere gli obiettivi climatici del nostro Paese, oltre che frenare lo sviluppo industriale e occupazionale del comparto offshore.

LE POTENZIALITÀ OCCUPAZIONALI DELL’EOLICO OFFSHORE

In Italia, tra l’altro, il settore dell’eolico offshore potrebbe garantire decine di migliaia di posti di lavoro. Come è emerso da uno studio presentato dal prorettore per la Sostenibilità dell’Università La Sapienza, Livio De Santoli, in occasione del Terzo Summit sull’eolico offshore di ANEV del 18 luglio scorso, con investimenti tra 10 e 20 miliardi di euro la filiera italiana può costruire le turbine e le infrastrutture per trasmettere l’energia prodotta alla terraferma, creando lavoro fino a 60 mila occupati a tempo pieno. Lo studio indica un potenziale di 25 GW per l’eolico offshore galleggiante al 2050, in linea con il piano di Terna, che prevede 15 GW al 2040. Ad oggi, però, in Italia non è ancora ancora attivo nessun impianto di questo tipo.

L’APPELLO DI TOGNI (ANEV): “L’ITALIA NON PUÒ PIÙ PERMETTERSI DI RESTARE FERMA”

Durante il summit, il presidente di ANEV Simone Togni aveva sottolineato come “l’eolico offshore in Italia è rimasto troppo a lungo in attesa, bloccato da ritardi normativi, incertezze autorizzative e da una visione frammentata. Oggi, però, le condizioni per cambiare passo ci sono tutte. Abbiamo tecnologie mature, una filiera industriale pronta, competenze consolidate e ampie aree marine adatte allo sviluppo. È arrivato il momento di agire, l’Italia non può più permettersi di restare ferma, mentre il resto d’Europa investe in maniera decisa sull’eolico offshore. Il mare rappresenta un elemento strategico della nostra sovranità energetica”.

L’EOLICO OFFSHORE ESCLUSO DALLE ASTE DEL DECRETO FER 2

A complicare la situazione del settore in Italia è l’esclusione dell’eolico offshore dalla seconda procedura di aste del Decreto FER 2, che promuove e incentiva la realizzazione di impianti a fonti rinnovabili innovativi. Un fatto che diverse associazioni, tra cui Aero (Associazione Italiana delle Energie Rinnovabili Offshore), hanno definito “incomprensibile”, oltre che dannoso dal punto di vista climatico.

Secondo il presidente di Aero, Fulvio Mamone, i ritardi nell’avvio delle aste “stanno spaventando le società e le imprese che hanno proposto i progetti”. Secondo il MASE, l’esclusione dell’eolico marino dalla procedura di incentivazione del decreto FER 2 è dovuta alla carenza di iniziative italiane, che sarebbero solo tre. Secondo Mamone, però, la questione non è così semplice.

“In Italia i progetti totali sono 132 per 86 GW di potenziale: 26 di questi, che valgono 16,5 GW, sono in fase di Valutazione di impatto ambientale (VIA)”. I tre progetti di cui parla il MASE sono quelli di Ravenna, Rimini e Trapani, che assieme raggiungono una potenza di quasi 1,2 GW e che ormai da mesi hanno superato la fase della Valutazione di impatto ambientale.

“Ora ne sta per arrivare un quarto, a Barletta, con le pale eoliche installate sulle piattaforme galleggianti. In totale, a breve avremo circa 2,2 GW con le autorizzazioni ambientali. Il Decreto FER 2, che ha un budget incentivante di 3,8 GW, è in grado di coprire una parte di questo percorso. Il MASE dice che i progetti di eolico offshore sono troppo pochi, ma in realtà si può partecipare alle aste anche solo con le autorizzazioni ambientali. Non credo sia nell’interesse del governo fare una maxi-asta nel 2026, quando magari avremo 3 GW autorizzati, è meglio “spezzettare”, per poter avviare il percorso”.

LE AZIENDE ITALIANE RESTANO IN ATTESA

Come abbiamo visto, quindi, in Italia abbiamo diversi progetti maturi, che però sono in attesa di regole chiare per procedere. E le aziende, non avendo ancora indicazioni ufficiali sugli incentivi governativi, comprensibilmente restano prudenti. Un anno fa, il ​​giorno dopo la pubblicazione dei risultati del primo semestre, il CEO di Saipem Alessandro Puliti aveva dichiarato: “siamo pronti a lavorare sui progetti eolici offshore in Italia a partire da ora. Cosa ci manca per iniziare? Sviluppatori e contratti”.

Sempre lo scorso anno, anche il direttore generale di Renantis Blue Energy, Ksenia Balanda, aveva parlato dell’eolico offshore ad un convegno de Il Sole 24 sull’idrogeno verde, spiegando che, “con una capacità di eolico galleggiante installata in Italia di 5,5 GW entro il 2032 da Renantis Blue Energy, è possibile produrre idrogeno per alimentare l’ex-Ilva”. Secondo Balanda, “senza l’eolico offshore gli obiettivi Ue sull’idrogeno verde, pari a 6 GW di elettrolizzatori entro l’anno e 40 GW entro il 2030 sarebbero più lontani e molto più faticosi da raggiungere”.

In conclusione, le problematiche dell’eolico offshore in Italia finiscono per posticipare lo sviluppo di una fonte di energia pulita che in molti Paesi europei è già attiva o in espansione.

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