Il blocco al greggio in Libia preoccupa Eni, obiettivo 0 emissioni al 2050 irraggiungibile per Exxon, Togni (ANEV): “Sviluppiamo filiera eolico flottante. La rassegna stampa Energia
Il primo ministro del governo dell’est della Libia ha annunciato il blocco a produzione e esportazione di greggio nel Paese. Una misura che, accompagnata alla mancanza di liquidità delle Banche nazionali, contribuisce ad alimentare i timori di Eni per le attività nella parte orientale del Paese. L’eolico offshore flottante rappresenta una miniera d’oro che nessuno sta ancora sfruttando. Lo afferma il presidente dell’associazione ANEV, sottolineando l’importanza di costruire una filiera nazionale dell’energia del vento offshore flottante. L’obiettivo di raggiungere zero emissioni nette di carbonio entro la metà del secolo ben fuori portata, poiché la domanda di petrolio rimarrà la stessa, secondo Exxon Mobil. La rassegna stampa Energia.
ENERGIA, ENI TREMA PER BLOCCO PETROLIO E BANCHE LIBIA
“Da ieri i due centri nevralgici del potere economico della Libia, i pozzi di petrolio e le banche, sono quasi fermi. Il primo ministro del governo dell’est, Osama Hamad, ha annunciato il blocco alla produzione e all’esportazione di greggio in tutto il paese. Hamad risponde al generale della Cirenaica, Khalifa Haftar, e non è riconosciuto dalla comunità internazionale. Il blocco dell’estrazione è una pratica consueta in Libia, ma negli ultimi tempi era stata uno strumento di pressione usato per migliorare le condizioni di lavoro o per aumentare gli investimenti. Stavolta la situazione è diversa, perché le ragioni sono politiche e potrebbe durare più a lungo. L’annuncio di Hamad è una ritorsione per il tentativo del premier rivale di Tripoli, Abdelhamid Dabaiba, di prendere il controllo della Banca centrale spodestando il governatore Siddiq Kabir. (…) da ieri il nuovo direttore ad interim nominato dal Consiglio presidenziale, Abdel Fattah Abdel Ghaffar, ha occupato l’istituzione più importante del paese senza avere legittimazione nazionale e internazionale e soprattutto senza l’autorità di esercitare alcun potere. “Non permetteremo a nessuno di prendere il controllo della Banca centrale senza seguire le giuste procedure”, ha minacciato Haftar. Laddove per “giuste procedure” il generale intende un accordo sottobanco che risponda anche ai suoi interessi”, si legge su Il Foglio.
“La Banca centrale libica a oggi è incapace di emettere lettere di credito e di intascare il denaro derivante dalla vendita del petrolio, che è gestito dalla Banca estera libica, che a sua volta dipende dall’istituto centrale di Tripoli. Le conseguenze potrebbero essere molto gravi in primo luogo per i libici, a corto di liquidità e degli strumenti per gestirla. Dopo due anni di sostanziale stabilità nel settore, adesso circa un milione di barili di petrolio è ostaggio della crisi. Subito dopo il blocco annunciato ieri, il Brent ha fatto un balzo del 3 per cento, assestando il prezzo al barile a oltre 81 dollari”, continua il giornale.
“Secondo gli esperti del mercato, il blocco petrolifero libico, accompagnato dalla guerra in medio oriente, potrebbe portare ad aumenti ulteriori. Per l’Europa, e soprattutto per l’Italia che è il primo importatore del greggio libico, i danni sarebbero notevoli. Tutti insieme, il nostro paese, Spagna, Grecia e Francia beneficiano di oltre il 50 per cento del greggio esportato dalla Libia. Alcuni impianti di estrazione, come quello di Sirte e quello di Waha, hanno già confermato di avere ridotto la produzione di petrolio. (…) il blocco petrolifero sia stato annunciato dal governo dell’est invece che dalla Noc, in teoria l’unica titolare a farlo, peraltro adducendo “cause di forza maggiore”, una motivazione che solitamente ha ragioni tecniche che in tal caso non sussistono. Due settimane fa, Haftar aveva fatto chiudere anche il più grande giacimento del paese, quello di Sharara, e con il blocco generale, secondo Reuters, resterebbe operativo solamente il giacimento di el Feel, gestito dalla Mellitah Oil & Gas, partecipata al 50 per cento da Eni. “Per quanto riguarda le attività nella parte orientale stiamo monitorando e gestendo la situazione col principale obiettivo di garantire la continuità delle attività in sicurezza”, ha detto l’azienda al Foglio. Il congelamento delle attività estrattive e di quelle creditizie in Libia potrebbe essere un problema non secondario per la compagnia italiana”, continua il giornale.
EOLICO, TOGNI (ANEV): “SVILUPPIAMO FILIERA NAZIONALE OFFSHORE FLOTTANTE”
“Nessuno sta facendo l’eolico offshore flottante. È molto costoso rispetto all’onshore e all’offshore tradizionale. È una tecnologia che sta nascendo, con impianti sperimentali. Oggi nel mondo non ci sono progetti industriali: stiamo immaginando di essere i primi a realizzarli. Non solo: potremmo sviluppare per primi nel mondo l’applicazione tecnologica che potrebbe poi essere esportata». Simone Togni, presidente di ANEV, l’associazione nazionale di energia del vento, sottolinea il ruolo cruciale dell’Italia nello sviluppo di una tecnologia che prevede turbine eoliche non fisse come nel Mare del Nord, ma su basi galleggianti, con costi che possono anche essere doppi o più. «Dobbiamo intercettare un percorso di crescita – aggiunge – e di conseguente riduzione di costi: se riusciremo a farlo ci apriremo un mercato che ci consentirà di diventare esportatori nel mondo. Il galleggiante ha infinite applicazioni, là dove l’offshore tradizionale non può arrivare»”, si legge su Il Sole 24 Ore.
“(…) «Oggi ci sono 100 GW di progetti flottanti presentati al Ministero, se ne realizzerà una piccola parte. È un business per grandi operatori. L’ultima revisione del Pniec ha indicato al 2030 una capacità eolica di 26 GW per l’onshore e di 2,1 GW per l’offshore. Noi pensiamo che al 2040 si possa arrivare per quest’ultimo a 10 GW». Per tali obiettivi numerici e temporali è necessaria una filiera capace di fornire nei tempi richiesti i componenti per la realizzazione dei parchi: turbine, cavi, boe galleggianti. «Non ci sono produttori europei in grado di rispondere con queste tempistiche, motivo per cui alcuni operatori si sono diretti all’estero, in Cina per esempio». All’inizio di agosto è stato firmato al Mimit un memorandum d’intesa tra lo stesso Ministero, l’azienda cinese MingYang Smart Energy e Renexia, per creare in Italia un polo produttivo di turbine eoliche da 1.100 dipendenti con un investimento di circa 500 milioni di euro”, continua il giornale.
“Sull’accordo italiano si è espressa in modo critico l’associazione degli operatori eolici europei Wind Europe, invocando il controllo di Bruxelles sui sussidi esteri, seguita dall’associazione danese Green Power Denmark. Togni invece non vede nulla di negativo: «È un esito che viene da lontano. Wind Europe suggeriva l’introduzione di dazi, su cui noi siamo contrari. Preferirei che gli impianti si realizzassero con tecnologia italiana, se possibile, poi europea, poi extra-Ue. Ma il punto centrale è farli. Oggi non c’è una tecnologia europea compatibile con le tempistiche del Pniec. Certo, le turbine se importate extra-Ue devono avere le stesse certificazioni di sicurezza, rispetto dei lavoratori e dell’ambiente di quelle europee. In prospettiva, rimane importante la crescita della filiera industriale: stiamo spingendo grossi operatori nazionali affinché si realizzi la catena necessaria all’approvvigionamento degli impianti».(…) Viene riconosciuta una tariffa di 185 euro al MWh: «Abbiamo apprezzato il testo finale, che ha recepito molte nostre osservazioni. Si tratta tuttavia di un valore iniziale, che deve consentire la riduzione dei costi, per rendere la tecnologia più competitiva. Come Anev abbiamo inoltre chiesto l’introduzione di meccanismi di tax credit e che i costi di connessione”, continua il giornale.
ENERGIA, EXXON: “IMPOSSIBILE ZERO EMISSIONI AL 2050”
“Exxon Mobil prevede che la domanda globale di petrolio nel 2050 sarà la stessa – o addirittura leggermente superiore – ai livelli attuali, rendendo gli sforzi per raggiungere zero emissioni nette di carbonio entro la metà del secolo ben fuori portata. La domanda di petrolio rimarrà al di sopra dei 100 milioni di barili al giorno fino al 2050, trainata dalla crescita degli usi industriali come la produzione di plastica e i trasporti pesanti”, si legge su Il Sole 24 Ore.
“Lo scenario Net Zero Emissions dell’Agenzia Internazionale per l’Energia prevede, invece, che la domanda debba scendere del 75% a 24 milioni di barili al giorno entro il 2050. (…) l’Opec, ad esempio, prevede un consumo di 116 milioni di barili al giorno nel 2045, mentre il gigante degli oleodotti Enbridge prevede che la domanda potrebbe superare i 110 milioni di barili al giorno”, continua il giornale