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Nucleare Francia

Perché il nucleare della Francia è fermo proprio nel momento del bisogno dell’Europa

Le centrali vengono chiuse per manutenzione o revisione decennale ogni 2 o 10 anni, ma il periodo in cui sono state fuori uso è stato notevolmente prolungato dal Covid

La Francia dovrebbe essere in una posizione di forza mentre l’Europa si riprende dalla crisi energetica, attingendo alla sua rinomata industria nucleare che fornisce la quota maggiore dell’energia del Paese. Il settore nucleare transalpino sta attraversando però un periodo difficile, poiché una parte significativa dei reattori francesi ha dovuto chiudere per manutenzione. Gli analisti affermano che questa situazione è dovuta ad un insieme di sfortuna e alle conseguenze di un accordo politico di un decennio fa.

Mentre l’invasione russa dell’Ucraina ha provocato la crisi energetica dell’Europa e il cambiamento climatico sconvolge il mondo, ci si aspetterebbe che la Francia possa dormire sonni tranquilli in virtù della sua vasta flotta di centrali nucleari. Dopotutto, il nucleare produce pochissima anidride carbonica e non lascia che i Paesi debbano fare necessariamente affidamento sulla Russia.

La Francia, dopo che l’embargo dell’OPEC del 1973 scatenò il noto shock petrolifero, puntò tutto sul nucleare; questo a differenza ad esempio della Gran Bretagna, che invece sfruttò le abbondanti riserve di combustibili fossili nel Mare del Nord e che ora è uno dei Paesi più colpiti dall’inflazione energetica.

L’energia nucleare oggi produce circa il 70% dell’energia della Francia – la percentuale più alta al mondo – grazie a questa strategia a lungo termine nota come “piano Messmer” (dal nome del suo architetto, l’allora primo ministro Pierre Messmer) per alimentare le competenze nucleari nazionali e costruire un grande flotta di reattori.

“Ovviamente c’era il fatto che la Francia non aveva grandi riserve di carbone o gas e non era in grado di iniziare a trivellare nel Mare del Nord; c’era poi quel desiderio gollista di garantire l’indipendenza nazionale, mentre la Francia aveva già una certa esperienza nucleare perché disponeva di un suo sistema di armi nucleari indipendente, noto come ‘force de frappe’”, spiega Jacob Kirkegaard, senior fellow in economia e commercio presso l’ufficio di Bruxelles del German Marshall Fund.

In gran parte grazie a questa politica risalente agli Anni 70, le emissioni francesi pro capite di CO2 nel 2019 si sono attestate a circa 4,5 tonnellate, rispetto alle 5,2 tonnellate del Regno Unito e alle 7,9 tonnellate della Germania, che si è fortemente appoggiata al gas russo.

L’IMPORTANZA DELLE CENTRALI FRANCESI PER L’EUROPA

Anziché godere dei vantaggi della sua industria nucleare, però, nel 2022 la Francia si è trovata ad importare elettricità dalla Germania. A novembre, un numero record di 26 dei 56 reattori nucleari francesi è stato chiuso per riparazioni o manutenzione, anche se dal 2 gennaio 2023 la cifra è scesa a 15 ed entro fine mese dovrebbe scendere a 9, secondo Olivier Appert, specialista in energia presso l’Istituto francese per gli affari internazionali (IFRI) di Parigi e membro dell’Accademia francese di ingegneria.

Nel frattempo, il governo francese sta nazionalizzando completamente EDF, la società energetica statale che gestisce le centrali elettriche, per evitare che fallisca. Il nuovo direttore di EDF, Luc Rémont, ad ottobre ha dichiarato che l’azienda stava affrontando una grave crisi. “La produzione di energia nucleare della Francia nell’agosto 2022 è stata la più bassa da 30 anni”, ha osservato Appert.

Negli ultimi decenni la Francia è stata un esportatore netto di elettricità, ma “dall’autunno del 2022, alla luce dei problemi di manutenzione, è diventata un importatore netto per la prima volta in circa 30 anni”, anche se la minore domanda di energia ha comportato che, il 2 gennaio, è diventata nuovamente un esportatore di energia.

Questo, nel suo insieme, peggiora le cose per l’Europa, che deve affrontare la crisi energetica causata da Putin, che ha interrotto le forniture di gas russo come rappresaglia per le sanzioni europee sull’invasione dell’Ucraina. “Le centrali nucleari francesi sono molto importanti per la produzione di elettricità in tutta Europa – ha aggiunto Appert – la rete è molto interconnessa, e ciascun membro contribuisce alla sicurezza complessiva del sistema”.

TRA SFORTUNA E PROMESSE ELETTORALI

In parte, le centrali nucleari francesi possono essere viste come vittime di quella risposta alla crisi energetica del 1973. Molte di loro sono state costruite nello stesso periodo in cui la Francia è rapidamente entrata nell’attuale paradigma energetico, e ciò significa che devono essere sottoposte a manutenzione nello stesso periodo. Inoltre, sono state costruite secondo un unico standard, e ciò significa che i problemi riscontrati in un impianto vengono risolti rapidamente in altri.

“Gli impianti dovranno essere chiusi per manutenzione o revisione decennale, e questo accade ogni 2 o 10 anni”, ha affermato Appert. “Il periodo in cui le centrali nucleari sono state messe fuori uso, però, è stato notevolmente prolungato dal Covid, perché ovviamente durante il lockdown le persone non potevano muoversi e svolgere il proprio lavoro come sempre. Non bisogna quindi sottovalutare l’effetto del Covid negli attuali problemi nucleari della Francia”.

Oltre all’impatto della pandemia, anche la siccità della scorsa estate è stato un fattore di “sfortuna” che ha contribuito ad abbassare la capacità nucleare della Francia perché – ha sottolineato Kirkegaard – significava che c’era “meno acqua disponibile per il raffreddamento dei reattori”.

Tuttavia, i problemi attuali non sono dovuti solo alla sfortuna: in vista delle elezioni presidenziali del 2012, il socialista François Hollande strinse un accordo con i Verdi in cambio del loro sostegno, promettendo di chiudere i due reattori di Fessenheim, la centrale nucleare più antica della Francia, e di ridurre al 50% la percentuale di energia nucleare prodotta dalla nazione entro 2025. Dopo aver vinto, Hollande chiuse i due reattori, anche se rinnegò parte dell’accordo, mantenendo il contributo nucleare al fabbisogno energetico francese intorno al 70%.

EREDITÀ DI UN’EPOCA PASSATA

Dieci anni fa, l’energia nucleare era percepita in modo molto diverso. Il disastro nucleare del 2011 nell’impianto giapponese di Fukushima, causato da uno tsunami, ha reso molti diffidenti nei confronti del nucleare, spingendo anche l’allora cancelliera tedesca Angela Merkel a promettere una graduale eliminazione del nucleare in Germania, sotto la pressione dei Verdi in ascesa.

Oltre all’effetto Fukushima, dieci anni fa le preoccupazioni per la sicurezza dell’approvvigionamento di gas naturale e l’impatto ambientale dei combustibili fossili erano meno evidenti. “Non è stata solo la Germania, ma molti altri Paesi europei – tra cui la Francia – a credere in una relazione con la Russia”, ha osservato Kirkegaard. “E nel 2012, specialmente in Germania ma anche altrove in Europa, dal punto di vista ambientale, molte persone vedevano l’energia nucleare come un problema di sicurezza più grande delle emissioni di carbonio”.

Oggi tutto questo è cambiato, con le ondate di caldo che ogni estate attanagliano l’Europa e l’invasione dell’Ucraina che ha dimostrato il ruolo della Russia come un fornitore di gas insostenibile per il vecchio continente. Secondo un sondaggio Elabe pubblicato a novembre, quasi l’80% dei cittadini francesi sostiene l’energia nucleare, in aumento di 20 punti rispetto al 2016. Anche la Germania – con i Verdi ora al governo – sta prolungando la vita di 3 centrali nucleari fino ad aprile.

“Il discorso sul  gas e sui combustibili fossili più in generale è cambiato molto a favore di fonti energetiche sostanzialmente prive di carbonio, come il nucleare. L’impegno di Hollande nel 2012 è l’eredità di un’epoca passata”, ha osservato Kirkegaard.

Per il membro del German Marshall Fund, però, le conseguenze del patto di Hollande hanno contribuito agli attuali problemi nucleari della Francia: avrà allontanato molti ingegneri di talento dal settore nucleare francese perché “la gente non ha intenzione di impegnare il proprio futuro in un settore percepito come in declino terminale. C’è poi chiaramente un motivo per cui così tanti reattori francesi sono così vecchi: non sono stati sostituiti in modo coerente, quindi le dichiarazioni di Hollande hanno avuto sicuramente un effetto”.

MACRON PUNTA AD UNA RINASCITA DEL NUCLEARE

Anche prima della crisi energetica, il successore di Hollande, Emmanuel Macron, desiderava rinnovare l’approccio di Messmer e mantenere la Francia all’avanguardia nell’industria nucleare, annunciando nel 2021 che la “priorità numero uno” per la sua strategia industriale è che la Francia sviluppi un flotta di reattori nucleari su piccola scala entro il 2030. Insieme a questo piano a lungo termine, Macron ha agito per affrontare la situazione nucleare a breve termine con la piena nazionalizzazione di EDF, in modo che lo Stato possa pompare fondi.

“Nazionalizzare EDF significa che è possibile investire molto denaro pubblico per risolvere i problemi e – cosa comoda per il governo di Macron – trattandosi di una società statale, i soldi che sta perdendo non arriveranno ufficialmente ai libri pubblici per un po’. Detto questo, lo Stato continuerà a pagare per sistemare EDF”, ha spiegato Kirkegaard.

Durante questo processo, la strategia di Macron porterà il settore nucleare francese in un nuovo paradigma, lontano dai grandi reattori come quello che EDF sta costruendo a Flamanville, vicino alla Manica, che ha già subito ritardi e sforamenti dei costi.

Secondo Kirkegaard il nuovo approccio ha buone possibilità di dare i suoi frutti: “costruire reattori più piccoli ha molto senso, perché sono molto più veloci e facili da costruire, quindi è molto meno probabile che si verifichino ritardi nella costruzione. Inoltre, essendo piccoli è molto più facile trovare dei luoghi adatti per loro, e ciò li rende vantaggiosi per la Francia e adatti da esportare in Paesi più densamente popolati, come il Regno Unito”.

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