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Perché le gare di distribuzione gas sono un flop nel nostro paese (e cosa bisognerebbe fare)

Dal 2000 oggi solo 3 assegnazioni effettive e 31 gare gas bandite. L’esempio (virtuoso) del settore elettrico

Avrebbero dovuto garantire maggiore efficienza e investimenti nelle reti ma anche prezzi più bassi per gli utenti le gare di distribuzione del gas introdotte per la prima volta dal decreto Letta del 2000 sulla base di una precedente Direttiva Ue del 1998. E invece, almeno nel nostro paese, gli affidamenti si sono rivelati un flop clamoroso.

Per capirlo basta leggere i dati: finora sono state bandite 31 gare e di queste solo sette si sono concluse mentre l’assegnazione effettiva è avvenuta solo in tre casi (secondo quanto emerge da un report dell’Istituto Bruno Leoni dal titolo “Come si cambia. La distribuzione gas tra la contendibilità promessa e la transizione annunciata”).

UN CAMBIO DI PASSO?

Per questo potrebbe essere arrivato il momento di un cambio di passo, in concomitanza con la riforme delle concessioni balneari e delle concessioni idroelettriche di cui si sta parlando insistentemente in queste ultime settimane.

COSA SONO LE GARE GAS

Come detto la distribuzione locale del gas è definita dalla direttiva 30/98/UE (norme comuni per il mercato interno del gas naturale) come l’attività di “trasporto del gas naturale attraverso reti di gasdotti locali o regionali per la consegna ai clienti”.

Il “decreto Letta” D.Lgs. (164/2000), emanato in attuazione di questa direttiva, ha effettuato la scelta della gara pubblica, bandita anche in forma aggregata fra gli Enti locali concedenti, come unica forma di assegnazione del servizio di distribuzione del gas. Non essendo economicamente sostenibile la duplicazione delle infrastrutture, la distribuzione locale viene infatti trattata come un “monopolio naturale”. L’impossibilità della competizione ex post (nel mercato) viene dunque compensata attraverso l’introduzione di forme di competizione ex ante.

In particolare, il “decreto Letta” aveva previsto all’articolo 14 che l’affidamento del servizio pubblico di distribuzione del gas avvenisse esclusivamente mediante gara per periodi non superiori a dodici anni. La gara deve svolgersi decorso il “periodo transitorio” disciplinato dal successivo articolo 15. Cessano quindi le gestioni comunali dirette (“in economia” o a mezzo di aziende speciali) per le quali è stabilito (articolo 15, commi 1-3) l’obbligo di trasformarsi in società di capitali. Gli enti locali, dunque, devono affidare la gestione del servizio solamente a mezzo gara.

GLI ATEM

Per garantire le gare il territorio nazionale era stato diviso in 177 Ambiti Territoriali Minimi (ATEM) ciascuno oggetto di gara unica in cui le reti sono gestite da un unico operatore a cui verrà trasferita la proprietà degli impianti previa corresponsione ai gestori uscenti del loro valore di rimborso.

La situazione di stallo però venutasi a creare ha portato a diversi interventi normativi come con il Decreto “del fare” (D.L. 69/2013) intervenuto per stabilire tra le altre cose, un termine perentorio per la selezione della stazione appaltante e un potere sostitutivo sugli enti locali in caso di inerzia, Ma gli interventi hanno riguardato nel tempo anche le date di avvio delle gare, i valori dei rimborsi con linee guida ministeriali su criteri e modalità applicative per la valutazione degli impianti di distribuzione del gas naturale. Con il risultato che arrivati nel 2024 il nostro paese avrebbe dovuto gestire, rispetto alle previsioni originarie, la seconda tornata di gare per l’assegnazione dei servizi pubblici di distribuzione gas mentre, tranne qualche raro caso, siamo ancora fermi al palo. Ma quali sono le ragioni di questa inerzia?

PERCHÈ LE GARE GAS NON DECOLLANO

Lo studio di Ibl basato su un questionario a campione su dieci operatori, rappresentativi di una quota di mercato congiunta di circa il 65 per cento in termini di volumi di gas trasportati e del 70 per cento in termini di punti di riconsegna evidenziava una serie di ostacoli riguardanti l’accesso alle informazioni necessarie, l’incertezza su alcuni elementi di offerta e difficoltà procedurali (le analisi costi-benefici soprattutto). Ma anche le estensioni delle reti e i criteri legati all’innovazione tecnologica.

TROPPA FRAMMENTAZIONE NEL SETTORE, SERVONO “CAMPIONI” NAZIONALI

Ma è indubbio che incidono anche altri fattori a cominciare dalla eccessiva frammentazione del tessuto imprenditoriale distributivo. In Italia si possono contare oltre 200 imprese attive nel settore, un elemento assente in altri paesi dove a farla da padroni sono in campioni nazionali in grado di assicurare portafogli più ampi per gli investimenti, maggiore solidità e competenze nello svolgimento delle gare. Basta guardare alla Francia dove la principale operatore è Gaz de France Suez (oggi Engie) ma per il resto sono presenti altre 24 compagnie, alcune di esse di dimensioni importanti come Edf, TotalEnergies, Endesa e così via.

L’ESEMPIO (DA SEGUIRE) DEL SETTORE ELETTRICO

Una situazione simile che in Italia abbiamo raggiunto solo nel settore elettrico dove a fronte di un campione nazionale come Enel Distribuzione sono presenti poco meno di 20 altre compagnie con il vantaggio, assente nel settore gas, di avere aziende più grandi, in grado di effettuare maggiori investimenti (da non dimenticare che nel settore gas è in corso un upgrade delle reti che presto dovranno/potranno trasportare anche idrogeno) e competenze del tutto assenti, per loro stessa natura, in società di piccole dimensioni. Ciò assieme, alla necessità, avvertita e richiamata più volte dagli stakeholder, di avere Ambiti territoriali più grandi da gestire, superando anche la frammentazione dei 177 Atem attuali.

NEL DL ENERGIA QUALCHE TIMIDO TENTATIVO (SBAGLIATO) DI RIFORMA

Alcune proposte di modifica, ma di segno contrario a quanto sarebbe auspicabile per il mercato italiano secondo gli stakeholder, sono arrivate con la conversione attualmente in corso alla Camera del Dl Energia varato dal governo a dicembre. Forza Italia e Lega avevano presentato due emendamenti – il 2.05 e il 2.06 – per il riordino del mercato della distribuzione del gas naturale poi giudicati inammissibili. Le due proposte avrebbero consentito all’esecutivo di avere una delega per adottare uno o più decreti legislativi di riordino del mercato della distribuzione gas entro 24 mesi con l’obiettivo dichiarato di adeguare la disciplina vigente agli obiettivi di transizione energetica, abilitando le reti all’immissione di graduale di gas rinnovabili e idrogeno e sostenendo l’innovazione tecnologia.

Ma si sarebbe trattato di una inutile ripetizione in quanto un tale obiettivo è già previsto dalla Legge Annuale per il Mercato e la Concorrenza per il 2021 (art. 6, comma 4), che aveva demandato al Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica di procedere all’aggiornamento della disciplina delle gare per la distribuzione del gas. Anzi. Il Ministero, allo stato attuale, ha già proceduto all’aggiornamento del decreto e il settore è in attesa da tempo della pubblicazione del provvedimento finale e dell’avvio delle procedure competitive, attraverso le quali le imprese auspicano possa esserci nuovo impulso al comparto. Mentre al contrario, la delega proposta con l’emendamento 2.05 avrebbe avuto l’effetto di vanificare il lavoro già svolto dal Mase per l’aggiornamento della normativa in essere e di prolungare la situazione di stallo in cui si trova oggi il sistema.

L’altro emendamento introduceva invece incentivi finalizzati a promuovere aggregazioni societarie tra operatori attraversi l’allineamento della RAB (Regulatory Asset Base, il valore del capitale investito netto) al VIR (il Valore di rimborso degli impianti cioè il valore a cui vengono ceduti gli impianti dal gestore uscente a valle dell’assegnazione della gara) per quanto riguarda la valorizzazione delle reti di distribuzione gas, Ma secondo alcuni stakeholder una simile impostazione avrebbe rischiato di avere un impatto economico sulle bollette dei consumatori incidendo sulla determinazione delle tariffe di distribuzione locale in un momento in cui i costi delle bollette alle stelle hanno richiesto due anni di interventi governativi per mitigare gli impatti.

E soprattuto, al contrario di quanto servirebbe al mercato, le aggregazioni tra società previste dalla proposta di modifica, sempre secondo operatori di settore, avrebbe finito per incentivare la nascita di operatori medi anziché piccoli o piccolissimi con il rischio di non vedere un miglioramento degli standard di qualità del servizio di distribuzione gas già definiti da Arera per tutti gli operatori.

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