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Petrolio

Perché le tasse sugli extraprofitti freneranno gli investimenti dell’industria petrolifera

Shell ha affermato che la tasse in Ue e nel Regno Unito costerà all’azienda circa 2,4 miliardi di dollari, mentre Total ha stimato l’effetto in circa 2,1 miliardi di dollari

Le tasse sugli extraprofitti improvvisamente sono diventate molto popolari. Con le compagnie petrolifere e del gas che hanno raccolto profitti record dall’andamento dei prezzi delle materie prime energetiche, i governi non hanno resistito alla tentazione di tagliare un po’ di queste entrate. Del resto – scrive Irina Slav su Oilprice – è difficile biasimarli: la crisi energetica ha spinto la maggior parte dei governi in Europa a stanziare miliardi di aiuti per famiglie e imprese. Nel Regno Unito, milioni di persone sono finite in povertà energetica e anche il governo ha dovuto agire con urgenza, e anche l’India ha imposto una tassa sul petrolio greggio e sui carburanti.

Eppure, mentre sembra un modo semplice per trovare qualche fondo in più da spendere per aiutare le imprese e le famiglie a sopravvivere alla crisi del costo della vita, le tasse sugli extraprofitti sono una misura controversa perché scoraggiano gli investimenti.

IL PARERE DI SAUDI ARAMCO

In settimana l’amministratore delegato di Saudi Aramco, Amin Nasser, ha affermato che queste tasse “sono controproducenti per l’industria petrolifera, in un momento in cui si prevede che la domanda di petrolio supererà l’offerta, e che scoraggeranno anche gli investimenti negli sforzi di decarbonizzazione. “Non le aiutano ad avere investimenti aggiuntivi. Le compagnie devono investire nel settore e far crescere il business nelle alternative e nell’energia convenzionale. Devono essere aiutate”, ha commentato Nasser.

“Anche la decarbonizzazione delle risorse esistenti costa un sacco di soldi – ha proseguito il ceo di Saudi Aramco – quindi dobbiamo vedere il sostegno da parte dei responsabili politici e dei mercati dei capitali allo stesso tempo. I mercati dei capitali stanno facendo molta pressione anche su queste società, per cui è molto difficile effettuare alcuni di questi investimenti e ottenere i finanziamenti e i capitali giusti”.

TASSA SU EXTRAPROFITTI: UNA “PUNIZIONE” PER BIG OIL

Finora, infatti, la tassa sugli extraprofitti è stata presentata al pubblico come una sorta di punizione per Big Oil per aver guadagnato così tanti soldi dal petrolio e dal gas, mentre milioni di persone lottavano per pagare le bollette: una punizione meritata. Nessuno ha detto quale sarà l’impatto di queste tasse sulle future decisioni di investimento, quantomeno nessun politico.

Le stesse compagnie petrolifere e del gas sono state molto esplicite sull’impatto: la britannica Harbour Energy questa settimana ha annunciato tagli di posti di lavoro a causa della tassa sugli extraprofitti del 35% che l’ha colpita; Shell ha affermato che queste tasse, nell’Unione europea e nel Regno Unito, costeranno all’azienda circa 2,4 miliardi di dollari; Total ha stimato l’effetto derivante dalla tassa in circa 2,1 miliardi di dollari, dopo aver affermato che quest’anno ridurrà gli investimenti nel Mare del Nord di un quarto. La tassa sugli extraprofitti del Regno Unito costerà alla major francese circa 1 miliardo di dollari.

L’UNGHERESE MOL RICORRE ALLE VIE LEGALI

Alcuni, poi, vanno oltre le semplici critiche: l’azienda energetica ungherese MOL ha citato in giudizio il governo della Slovacchia per la tassa sugli extraprofitti imposta alle imprese energetiche; Exxon ha citato in giudizio l’intera Unione Europea, sostenendo che, con questa decisione, ha superato la sua autorità legale. L’associazione dell’industria energetica in Gran Bretagna ha avvertito che, per effetto della tassa, i finanziamenti per nuovi progetti di petrolio e gas si esauriranno.

Quando queste tasse scoraggiano gli investimenti, non solo colpiranno investimenti specifici, ma porteranno ad una riconsiderazione completa dei piani di investimento, inclusi i progetti a basse emissioni di carbonio.

UNA MISURA CHE RIGUARDA ANCHE I PRODUTTORI DI RINNOVABILI

Inoltre, l’Unione Europea ha previsto che la tassa sugli extraprofitti riguardi anche i produttori di energia eolica e solare, sostenendo che hanno incassato enormi entrate dalla produzione di elettricità a basso costo, poiché i prezzi sono formati sulla base dei prezzi del gas (che erano alle stelle). Anche questo ha provocato un contraccolpo.

LA DECISIONE DEL CONSIGLIO DI STATO IN ITALIA

Ieri il Consiglio di Stato ha accolto la sospensiva chiesta dall’Arera ridando vigore alla delibera 266/2022 che ha attuato l’articolo 15-bis del DL Sostegni ter. Fino al pronunciamento sul merito, quindi, i produttori rinnovabili dovranno effettuare i versamenti richiesti.

Il Consiglio ha spiegato che la funzione affidata all’Autorità di disciplinare le modalità con cui vengono attuate le disposizioni la rende partecipe “della cura dell’interesse pubblico perseguito dal legislatore e ne giustifica l’interesse alla sospensione dell’esecutività del dispositivo”. Inoltre, prosegue l’ordinanza, “costituisce obiettivo riconosciuto e sancito nei considerando del regolamento europeo n. 1854 del 2022 che negli Stati membri il ricorso a un tetto sui ricavi di mercato sia strumento per generare entrate statali per finanziare misure a sostegno dei consumatori, nell’ambito di un insieme complesso di misure interdipendenti”. Inoltre, essendo una misura temporanea che sarà in vigore solo fino al 30 giugno 2023, “la mancata sospensione, nelle more, dell’esecutività del dispositivo impugnato finirebbe per vanificarne l’applicazione e quindi la finalità sopra vista, dato che il rinnovo del procedimento non potrebbe prescindere dalla conoscenza delle motivazioni dell’annullamento, non ancora pubblicate, e quindi interverrebbe con ulteriore ritardo”.

In conclusione, il Consiglio di Stato ha affermato che “non risulta comprovato che lo specifico prelievo a carico della parte appellata sia così oneroso da comprometterne la copertura degli investimenti e dei costi di esercizio, mentre il recupero delle somme sarà comunque possibile ove la decisione di primo grado dovesse trovare conferma in appello”.

Tutto questo avviene in un momento in cui l’Agenzia Internazionale per l’Energia – un sostenitore di una rapida transizione energetica – prevede che la domanda di petrolio quest’anno crescerà di 1,9 milioni di barili al giorno, mentre la crescita dell’offerta rallenterà a 1 milione di barili al giorno. Insomma, non era il momento migliore per scoraggiare gli investimenti energetici…

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