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Petrolio

Tutte le conseguenze degli alti prezzi del petrolio

L’Arabia Saudita vuole che siano alti, il mercato e l’Fmi temono un contraccolpo alla crescita. Per Cao (Saipem) anche l’industria petrolifera globale sta mostrando “alcuni deboli segnali di ripresa”

Prezzo del petrolio ancora in salita sui mercati mondiali. Dopo aver “sfondato” il muro dei 75 dollari al barile – in questi giorni, tuttavia, il prezzo si aggira attorno ai 67 dollari – la domanda che ci si pone è se la missione Opec di un taglio della produzione possa dirsi compiuta visto che quotazioni eccessive possono rappresentare un boomerang anche per la crescita economica mondiale. È quanto si chiede il Financial Times in un’editoriale nel quale il giornale finanziario ricorda come “il rimbalzo del prezzo del petrolio dell’ultimo anno” possa considerarsi per l’Arabia Saudita – il paese che ha fortemente voluto e cercato l’accordo sui tagli alla produzione – “un trionfo strategico”.

Arabia SauditaLA VITTORIA PUÒ SEMINARE LA SCONFITTA

La diplomazia dell’Arabia Saudita, “compresa un’intesa con la Russia, da tempo concorrente, ha portato a un accordo alla fine del 2016 tra l’Opec e altri grandi produttori, limitando l’approvvigionamento di petrolio. L’operazione ha sostenuto il costante aumento dei prezzi dalla scorsa estate. Il mese scorso il greggio Brent ha raggiunto i 75 dollari al barile, ed è ora a un livello che consente all’Arabia Saudita di coprire la spesa pubblica con le entrate fiscali, dopo tre anni di stretta”. Ma, avverte, FT “i produttori di petrolio dovrebbero ricordare che la vittoria può seminare la sconfitta. Se si consente che i prezzi continuino a salire, ciò potrebbe risultare dannoso per l’economia mondiale e, in ultima analisi, controproducente anche per i produttori”.

LA SPINTA ALL’AUMENTO DEI PREZZI DATA DALLA DOMANDA DETERMINATA DA UNA SANA CRESCITA GLOBALE SI È ESAURITA

Secondo il quotidiano finanziario il greggio è stato spinto in alto da una combinazione “di offerta limitata, forte domanda e tensioni internazionali, con le preoccupazioni sul futuro dell’accordo internazionale sul programma nucleare dell’Iran” in prima fila. Le restrizioni dell’offerta, dal canto loro, “sono state in parte intenzionali e in parte involontarie. Il Venezuela, dove la cattiva gestione e l’aggravarsi della crisi finanziaria hanno fatto scendere la produzione di circa un terzo dall’inizio del 2016, è stato un esempio della riluttanza all’invito alla moderazione dell’Opec”. In sostanza, sottolinea FT, la “sana crescita globale che ha portato ad un forte aumento della domanda” e “l’eccesso che ha fatto scendere i prezzi nel 2014-16 si è esaurito”, gettando “le basi per un aumento dei prezzi” e basta.

PER FMI DA AUMENTO PREZZI BARILE IMPATTO SULLA CRESCITA petrolio brent

“Finora le cose sono andate bene – ammette FT -. A circa 75 dollari, il petrolio è a un livello che molti produttori e consumatori trovano tollerabile. Tuttavia, qualcuno ha riferito che l’Arabia Saudita potrebbe essere tentata di migliorare le sue sorti. Il mese scorso, la Reuters ha riferito che nei briefing a porte chiuse i funzionari sauditi avrebbero suggerito di vedere di buon occhio un petrolio a 80 o addirittura 100 dollari al barile, in parte per contribuire ad aumentare il previsto collocamento sul mercato della saudita Aramco”. Tuttavia, avverte il Financial Times, “consentire che il petrolio salga così lontano sarebbe un errore. Nelle prospettive economiche mondiali del mese scorso, il FMI ha affermato che l’aumento dei prezzi del greggio non ha indotto una revisione al ribasso delle previsioni di crescita, ma che tale revisione si basa sull’ipotesi che il greggio si attesti su una media di circa 62 dollari quest’anno e scenda a circa 58 dollari l’anno prossimo. Se i prezzi risulteranno sostanzialmente più elevati, l’impatto sulla crescita potrebbe essere molto più grave”.

A LUNGO TERMINE SI INCORAGGERANNO LE VENDITE DI AUTO ELETTRICHE, RISPARMIO ENERGETICO E SHALE OIL

A più lungo termine, un prezzo del petrolio più elevato “incoraggerà i consumatori ad usarne meno, dando una spinta alle vendite di veicoli elettrici e ad automobili più efficienti dal punto di vista del consumo di carburante. Gli Stati Uniti stanno conducendo una battaglia interna tra governi statali e federali per via del tentativo dell’amministrazione Trump di eliminare l’inasprimento pianificato delle norme sul risparmio energetico. L’aumento dei costi del carburante rafforzerà la posizione di coloro che sostengono che gli standard dovrebbero essere mantenuti perché creano risparmi per i consumatori”. L’aumento dei prezzi stimolerà, infine, “anche gli investimenti nell’approvvigionamento di petrolio, non da ultimo nell’industria statunitense dello shale, che già oggi è molto calda. La carenza di oleodotti”, in particolare nel cuore dello “shale boom” del Texas occidentale, “sarà un ostacolo alla crescita, ma si stanno costruendo nuove capacità e più i prezzi rimarranno elevati, più gli investimenti saranno ingenti”.

DOPO AVER FATTO SALIRE I PREZZI ARABIA SAUDITA E OPEC DOVREBBERO CERCARE DI TENERLI BASSI IN PROSPETTIVA

Iran“La situazione è ulteriormente aggravata dall’incertezza sulla decisione del presidente Donald Trump di un accordo con l’Iran. Se gli Stati Uniti si ritirassero, ciò significherebbe nuove sanzioni che potrebbero togliere dal mercato parte del petrolio iraniano e inasprire le tensioni internazionali. Dopo essere riuscita a far salire i prezzi del petrolio, l’Arabia Saudita e i suoi alleati dovrebbero quindi ora prestare grande attenzione alla prospettiva di doverli tenere bassi”, conclude quindi Ft.

OCCHIO ANCHE AI LIVELLI DI INDEBITAMENTO E ALLE RIFORME STRUTTURALI SAUDITE

Non solo. Nella sua ultima disamina l’Fmi aveva posto l’accento anche sui livelli di indebitamento di alcuni paesi produttori di petrolio. “L’inasprimento delle condizioni finanziarie globali, se i tassi di interesse continueranno ad aumentare e la liquidità sarà meno disponibile, interesserà i paesi con un elevato livello di indebitamento – soprattutto i paesi importatori di petrolio in cui il debito medio supera l’80 per cento del Pil” aveva affermato Jihad Azour, direttore del Dipartimento Medio Oriente e Asia centrale presso il Fondo Monetario Internazionale alla CNBC aggiungendo che “ultimo ma non meno importante aspetto” è quello delle riforme strutturali. In questo senso l’Arabia Saudita, aggiungeva Azour, deve continuare sulla strada intrapresa “in particolar modo il piano Vision 2030 guidato dal principe ereditario Mohammed bin Salman. Nuove imposte, riduzione del disavanzo, riforme del mercato del lavoro e investimenti nei settori non petroliferi dell’economia sono cruciali”. Nonostante l’aumento dei prezzi, però, l’Fmi ritiene che l’Arabia Saudita abbia bisogno di raggiungere almeno quota “88 dollari al barile” per equilibrare il proprio bilancio e raggiungere gli obiettivi prefissati.

CAO (SAIPEM): SEGNALI DI RIPRESA PER INDUSTRIA PETROLIFERA GLOBALE

Nel frattempo l’industria petrolifera globale sta mostrando “alcuni deboli segnali di ripresa”, dopo la crisi causata dal crollo del prezzo del petrolio a inizio 2015. Segnali tuttavia non sufficienti a delineare la tempistica della ripresa, “ma che permettono di vedere la luce in fondo al tunnel” secondo l’amministratore delegato di Saipem, Stefano Cao, che ha parlato nel corso dell’assemblea degli azionisti. “Cogliamo i deboli segnali di ripresa in alcune delle nostre attività” soprattutto “nei piani di investimento delle compagnie petrolifere, quindi dei nostri clienti” anche se, ha precisato “non sono sufficienti a identificare la tempistica con la quale la ripresa si manifesterà”. In ogni caso, ha aggiunto Cao “a valle delle grandi crisi ci sono dei processi di ridisegno un po’ della struttura del mercato, nel senso che ci sono tante compagnie e tante società che non ce la fanno a superare la crisi. Sono compagnie che hanno competenze o hanno anche degli asset di interesse, per cui direi che anche una focalizzazione molto forte è nella direzione di monitorare”.

 

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