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Petrolio

Petrolio, coronavirus e guerra dei prezzi colpiscono anche l’Africa

I paesi che basano gran parte del loro bilancio statale sul petrolio sono a rischio, ma anche gli investimenti esteri, compresi quelli italiani

I paesi produttori di petrolio del Continente africano rischiano di ricevere una mazzata dai bassi prezzi del petrolio di questo periodo.
La maggior parte dei principali progetti petroliferi e di gas in corso in Africa erano basati su un’ipotesi di prezzo del greggio tra i 55 e i 60 dollari al barile. Ma ora, con la caduta delle quotazioni sotto i costi di pareggio, i progetti rischiano grosso, così come i paesi che si aspettavano forti entrate dalla vendita degli idrocarburi. Secondo la società di consulenza Rystad Energy questo fenomeno porterà a ritardare molti progetti, causando un calo di produzione nel continente e la sofferenza di parecchi bilanci statali che dipendono dall’energia per le loro risorse.

QUOTAZIONI SUI 35 DOLLARI PER ORA

Mentre il prezzo del petrolio si aggira attualmente ben al di sotto dei 35 dollari al barile, le imminenti decisioni finali di investimento (FID) in Africa hanno un prezzo del greggio in pareggio di oltre 45 dollari al barile, con alcuni addirittura vicino ai 60 dollari al barile, ha spiegato Rystad Energy nella sua analisi.

“Gli investimenti per i grandi progetti pianificati per il petrolio e il gas vedranno ora un cambiamento di tempistica o addirittura un taglio delle spese, che alla fine avrà un impatto sui livelli di produzione in questa regione”, dice Siva Prasad, analyst senior upstream di Rystad Energy.

L’IMPATTO SUI BARILI

Rystad Energy stima che i ritardi nei tempi di questi progetti in fase pre-FID in Africa possano portare a un calo di 200.000 barili al giorno della produzione di liquidi prevista in media tra il 2021 e il 2025. L’impatto potrebbe essere molto più alto nel lungo termine, con una produzione che dovrebbe scendere in media di quasi 1.185 milioni di barili al giorno negli anni tra il 2026 e il 2030.

MOLTI BILANCI DI BASANO SULLE ENTRATE PETROLIFERE

La situazione è molto complicata specie se si considera che le economie delle nazioni africane produttrici di idrocarburi dipendono fortemente dalle rispettive produzioni di petrolio e gas per soddisfare sia il fabbisogno energetico interno sia le esportazioni. Ad esempio, la Nigeria ha basato il suo budget per il 2020 sui piani di produzione di 2,1 milioni di barili al giorno di petrolio quest’anno ad un prezzo del greggio di 57 dollari al barile.
“Un periodo prolungato dell’attuale scenario dei prezzi potrebbe quindi rivelarsi dannoso per la salute di queste economie”, ha aggiunto Prasad.

DANNI COLLATERALI DI OPEC+

Sebbene i membri dell’Opec+, che attualmente stanno immettendo sul mercato milioni di barili di greggio non necessari, stiano cercando di svalutare la rivoluzione shale in atto negli Stati Uniti, i danni collaterali alle economie dei produttori di petrolio africani potrebbero essere gravi. Ma non solo per loro.

LE IMPRESE ITALIANE IN AFRICA

Le imprese italiane hanno, infatti, un rapporto strettissimo con il Continente anche nel settore degli idrocarburi. Saipem, ad esempio, opera da decenni in Africa e di recente ha vinto importanti contratti in Angola, Guinea Equatoriale e Nigeria.

In Angola Saipem sta lavorando assieme ad Eni per costruire un sistema di produzione sottomarino situato ad una profondità che va dai 400 ai 600 metri allo scopo di estrarre petrolio dai giacimenti Agogo e Cabaca. Inoltre ha un contratto di Front End Engineering Design (FEED) da 68 milioni di euro per una nuova raffineria a Hoima che dovrebbe essere completata entro quest’anno. Eni che ha una storia decennale nella regione è presente invece in Algeria, Nigeria, Sudafrica, Marocco, Tunisia, Gabon, Libia, Liberia, Egitto, Ghana, Costa d’Avorio, Kenya, Congo e Angola.

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