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Petrolio

Petrolio, crollano i margini delle raffinerie

A causa del calo della domanda di carburante, molte raffinerie di petrolio stanno operando con margini negativi: la crisi tocca anche l’Italia

I prezzi del petrolio si sono più o meno stabilizzati intorno ai 40 dollari al barile. Ma l’aumento dei contagi da coronavirus in Europa e le nuove restrizioni alla mobilità minacciano ancora una volta i bilanci delle compagnie petrolifere.

Stavolta ad essere a rischio sono i profitti della raffinazione. “I margini della raffinazione sono assolutamente terribili”, ha detto ad esempio l’amministratore delegato di Total, Patrick Pouyanné,

In questi giorni, e nei prossimi ancora, le principali società petrolifere – BP, Eni, Shell, Total, Exxon e Chevron – pubblicheranno i risultati ottenuti nel terzo trimestre dell’anno. Come scrive Bloomberg, si prevede che quasi tutte riportino delle perdite. E le prospettive per l’ultimo trimestre, peraltro, non sono positive.

MARGINI DI RAFFINAZIONE NEGATIVI

Le restrizioni agli spostamenti e la seconda ondata dei contagi da coronavirus hanno ridotto il consumo di carburante in diverse parti d’Europa. Il calo della domanda sta facendo sì che molte raffinerie – per alcune di queste è la prima volta – operino con margini negativi: significa che perdono soldi nel convertire il greggio in prodotti raffinati, come la benzina.

Exxon, tra le altre, ha detto che le cattive performance nelle sue raffinerie stanno danneggiando i ricavi per almeno 600 milioni di dollari; è dunque probabile che la compagnia registrerà perdite per il terzo trimestre di fila. All’inizio di ottobre Total aveva riportato un margine di raffinazione negativo per l’Europa: -2,2 euro a tonnellata.

La crisi non tocca soltanto le Big Oil, ma anche gli operatori più piccoli. L’italiana Saras, per esempio, ha detto che ridurrà al minimo le operazioni nella raffineria di Sarlux, vicino Cagliari: l’impianto è uno dei più grandi d’Europa e contribuisce da solo al 20 per cento della capacità di raffinazione italiana.

L’IMPATTO DEL GNL

Bloomberg nota che, ad aggravare la condizione delle compagnie petrolifere, c’è anche l’impatto del COVID-19 sugli scambi di gas naturale liquefatto (GNL).

Di solito i produttori vendono il GNL usando contratti a lungo termine e “agganciati” ai prezzi del petrolio, ma con uno sfasamento dai tre ai sei mesi.

Il crollo del benchmark petrolifero Brent, lo scorso agosto, ha adesso reso i contratti a lungo termine per il GNL più economici rispetto ai prezzi sul mercato spot: nelle ultime si è infatti registrato un aumento dei prezzi dovuto alla crescita della domanda asiatica.

Per questo motivo Shell, il più grande trader di gas naturale liquefatto, ha già detto di aspettarsi un “impatto significativo” sui margini per il terzo trimestre. Circa l’80 per cento delle sue vendite di GNL è legato al petrolio, con uno “sfasamento di prezzo” fino a sei mesi.

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