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Opec

Quanto è vicina la fine di Opec?

Lasciamo da parte l’accordo Opec+, la decisione dell’Arabia Saudita di abbandonare il contenimento della produzione è un colpo mortale per l’Opec stessa

L’Opec potrebbe non sopravvivere per festeggiare il suo sessantesimo compleanno in programma quest’anno. La decisione dell’Arabia Saudita di abbandonare il contenimento della produzione e di inondare il mercato di greggio a basso costo, segna la fine per un gruppo che per decenni è stato il cartello di maggior successo del mondo. È quanto riporta Bloomberg.

LE MOSSE SAUDITE

“Con un pizzico di egoismo, l’Arabia Saudita, di gran lunga il più grande produttore dell’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio, ha stracciato un accordo di produzione che era in vigore dall’inizio del 2017. Lo ha fatto perché la Russia, il più grande degli alleati esterni dell’Opec, non ha voluto prendere la palla al balzo e si è rifiutata di effettuare tagli più profondi alla produzione per aiutare a sostenere i prezzi del petrolio a fronte della devastazione economica causata dal virus Covid-19”, sottolinea la testata finanziaria.

Perché questa mossa? Secondo Bloomberg il Regno aveva probabilmente sperato di “scioccare il Cremlino” per farlo tornare al tavolo delle trattative, ma la cosa si è ritorta contro Riad. Anche se “l’impatto – aggravato dalla continua diffusione del virus – sarà molto più dannoso per gli altri membri dell’Opec, dall’Algeria al Venezuela, di quanto non lo sarà per la nemesi dell’Arabia Saudita nella più ampia coalizione Opec+”.

L’ARABIA SAUDITA VENDE CON SCONTI DI OLTRE 10 DOLLARI

“Il leader de facto dell’Opec avrebbe potuto fare altre scelte prima di propendere per un approccio ‘ognuno per sé’ e iniziare una guerra a tutto campo sul prezzo del petrolio. Dopo tutto, la Russia si era offerta di estendere gli attuali tagli alla produzione oltre la fine di marzo, e non c’era nulla che impedisse ai 13 membri Opec di concordare ulteriori riduzioni solo tra loro” ha sottolineato Bloomberg aggiungendo che poi, invece di aspettare,Riad ha agito “con vendetta, tagliando il costo del greggio per i carichi in consegna ad aprile. I prezzi di vendita ufficiali – fissati come differenziali rispetto ai benchmark regionali – con il Brent che si scambia a circa 30 dollari al barile prevede uno sconto per l’Arabian Light fissato a 10,25 dollari al barile: “Il mese prossimo ci sarà un mare di petrolio da 20 dollari che si dirigerà verso l’Europa. Ci sono stati anche grandi aumenti nei volumi destinati ai compratori sia in Asia sia sulla costa del Golfo degli Stati Uniti”.

ARAMCO FORNIRA’ AI CLIENTI 12,3 MLN DI BARILI AL GIORNO

Saudi Aramco ha già affermato che fornirà ai suoi clienti 12,3 milioni di barili al giorno in aprile, “più di quanto l’azienda sia in grado di pompare” il che significa che “attingerà il greggio stoccato in casa e nei serbatoi in Giappone, Paesi Bassi e sulla costa mediterranea egiziana”, ha spiegato il sito economico.

PER RIAD L’AUMENTO DELLA PRODUZIONE COMPENSERA’ I CALI DEI PREZZI. GLI ALTRI MEMBRI DELL’OPEC DESTINATI A PERDERE

Ma c’è un ma. “Mentre il regno può parzialmente compensare il crollo dei prezzi del petrolio con l’aumento dei volumi, la maggior parte dei partner Opec sono molto meno fortunati. Stanno già pompando quasi al limite. In Libia, per esempio, la produzione è stata ridotta quasi a zero” dopo la chiusura di quasi tutti i terminali di esportazione del paese da parte di Haftar. Un accordo di pace potrebbe aumentare l’output a più di un milione di barili al giorno, “ma sembra una cosa remota”, ammette Bloomberg. “Sia l’Iran che il Venezuela potrebbero aumentare la produzione se non fosse per le sanzioni statunitensi sul loro commercio di petrolio, anche se il vantaggio del Venezuela è limitato”. Per il resto la Nigeria è l’unico Paese al di fuori del Golfo Persico “che può aumentare la produzione di oltre 100.000 barili al giorno. Ma questo non la porterà molto lontano. Un semplice calcolo del back-of-the-envelope mostra che l’aumento della produzione alla capacità produttiva non farebbe altro che ridurre le perdite della nazione dell’Africa occidentale dalla caduta del prezzo a 30 dollari al barile da 60 dollari al barile del 6%”. Per l’Angola, il secondo produttore della regione, “la potenziale riduzione delle perdite è solo del 3%. Al contrario, l’Arabia Saudita, potrebbe recuperare più di un quarto dei ricavi petroliferi che perderà a causa del calo del prezzo, aumentando l’offerta a 12,3 milioni di barili al giorno da 9,7 milioni a 12,3 milioni di barili”.

NON È LA PRIMA VOLTA CHE L’ARABIA SAUDITA GETTA IN PASTO AI LUPI I PICCOLI PRODUTTORI OPEC

D’altronde, osserva Bloomberg, “non è la prima volta che l’Arabia Saudita getta in pasto ai lupi i piccoli produttori Opec. Come gruppo di paesi sovrani, hanno poca influenza sul più grande produttore del cartello. Ma le ultime azioni del Regno, a fronte di un colpo senza precedenti alla domanda globale di petrolio, mostrano il suo disprezzo per i partner”.

Quando l’Opec fu costituito nel 1960, parte del suo obiettivo principale era “salvaguardare gli interessi dei Paesi membri individualmente e collettivamente”. Questo obiettivo era ancora di primaria importanza nella revisione della statuto Opec del 2012. Così come “eliminare le fluttuazioni dannose e inutili” dei prezzi del petrolio. Le ultime azioni dell’Arabia Saudita sono però andate in “senso diametralmente opposto a questi obiettivi e hanno contribuito a far scendere i prezzi del petrolio di quasi il 40% in poco più di una settimana. A detrimento dell’interesse collettivo dei membri Opec”, ammette la testata finanziaria.

L’OPEC È UN INCONVENIENTE PER RIAD

Insomma, conclude Bloomberg, “il cartello petrolifero è stato una foglia di fico utile per la politica petrolifera saudita quando voleva sostenere i prezzi del petrolio. Ora che vuole mandarli a rotoli, l’Opec è semplicemente un inconveniente. Il gruppo è sopravvissuto a discordanze interne apparentemente inconciliabili in passato. Ma stavolta sembra un passo troppo lungo”.

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