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Ozono

Si chiude il buco dell’ozono, tutti i “se” e i “ma”

Il report dell’Onu che annuncia la possibile chiusura del buco dell’ozono nel 2040 ha destato molto scalpore. La completa restaurazione dell’ozonosfera rappresenta una buona notizia anche per il clima, ma ci sono anche incognite e rischi

Il buco dell’ozono potrebbe chiudersi nel 2040, se l’attenzione rimarrà alta. L’Antartide dovrà invece attendere il 2066 prima che lo strato di gas torni a livelli normali. La stella polare che ha guidato gli uomini verso questo importante traguardo è il “Protocollo di Montreal”, primo accordo internazionale sul clima. Dal 1989 ad oggi ha contribuito infatti in maniera decisiva ad abbattere il 99% dei gas a effetto serra. Un risultato che ha permesso all’ozonosfera di colmare il vuoto creato dalle emissioni di alcuni composti chimici. Indubbiamente una buona notizia, c’è un però. Infatti, alcune politiche pensate per contrastare il cambiamento climatico potrebbero vanificare il buon lavoro fatto fino ad oggi. Ad esempio, l’iniezione di aerosol stratosferico.

BUCO DELL’OZONO, UNA SPERANZA PER IL CLIMATE CHANGE

Il report dell’Organizzazione delle Nazioni Unite sottolinea che la progressiva chiusura del buco dell’ozono è merito principalmente dell’impegno degli Stati nel raggiungere gli obiettivi fissati dal protocollo di Montreal.

“Il trattato ambientale di maggior successo nella storia e offre incoraggiamento affinché i Paesi del mondo possano riunirsi e decidere un risultato e agire di conseguenza”, lo definisce David Fahey, scienziato della National Oceanic and Atmospheric Administration, uno degli autori principali del report.

Sebbene l’assottigliamento dell’ozonosfera non sia tra i principali responsabili del climate change, il primo accordo climatico internazionale offre una speranza anche per il futuro del Pianeta.

“L’azione sull’ozono costituisce un precedente per l’azione per il clima. Il nostro successo nell’eliminare gradualmente le sostanze chimiche che consumano ozono ci mostra cosa si può e si deve fare con urgenza per abbandonare i combustibili fossili, ridurre i gas serra e quindi limitare l’aumento della temperatura”, ha affermato Petteri Taalas, segretario generale dell’Organizzazione meteorologica mondiale.

MONTREAL, GLI EFFETTI SUL CLIMA

Il “Protocollo di Montreal” ha il merito principale di aver bandito alcuni gas nocivi che avevano importanti effetti sul clima.

Parliamo soprattutto di idro e clorofluorocarburi, composti chimici che riscaldano il Pianeta 7.000 volte di più rispetto alla CO2. Sostanze che venivano utilizzate come solventi nell’industria elettronica, propulsori nelle bombolette spray e refrigeranti nei frigoriferi.

Gli scienziati dell’Onu sottolineano che dal 1989 – anno della ratifica del protocollo – al 2050 il progressivo abbandono di queste sostanze inquinanti ha evitato che le temperature terrestri aumentassero di 1 grado celsius. I ricercatori stimano che se il testo non avesse mai visto la luce e il consumo di prodotti climalteranti avesse continuato a salire, nel 2050 il nostro Pianeta sarebbe più caldo di ben 3 gradi.

I POSSIBILI RISCHI DELL’INIEZIONE DI AEROSOL STRATOSFERICO

Gli autori del rapporto avvertono però che la chiusura del buco dell’ozono è sulla buona strada, ma non è certa. Bisognerà continuare a tenere la barra dritta. Il rischio maggiore è che innovazioni pensate per contrastare il climate change possano avere invece effetti negativi sull’ozonosfera.

Il maggior indiziato è l’iniezione di aerosol stratosferico che, secondo una ricerca recentemente pubblicata sulla rivista “Environmental Research Letters” rischierebbe di provocare la diminuzione del 30% delle piogge torrenziali tropicali.

Dai test emerge che le particelle riflettenti (aerosol) utilizzate per evitare che le radiazioni solari arrivino sulla Terra bloccherebbero anche parte dell’energia termica prodotta dal Pianeta.

“Il riscaldamento agisce per stabilizzare la parte dell’atmosfera in cui viviamo, riduce la risalita dell’aria rendendola più stabile. Nei tropici gran parte delle precipitazioni ha origine dall’aria che sale rapidamente, quindi questo agisce per ridurre le precipitazioni superficiali”, ha spiegato alla BBC il dottor Charlton-Perez, coatore dello studio.

Per svolgere l’esperimento “abbiamo immesso molta CO2 nel nostro modello e abbiamo utilizzato la geoingegneria per compensare. Abbiamo modellato aerosol di solfato, simile a quello emesso durante una grande eruzione vulcanica, ma si può anche semplicemente ridurre la quantità di radiazione solare che entra nel sistema. È un caso estremo, ma così facendo siamo in grado di isolare questo effetto molto più chiaramente. Pensiamo che si verifichi anche a temperature molto più basse”, ha aggiunto Charlton-Perez.

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