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CO2, Cosa dicono gli esperti sulle prestazioni della tecnologia CCS

I critici sostengono che l’industria CCS ha continuamente sopravvalutato il suo impatto e ha sottoperformato, con carenze sia nella tecnologia che nel quadro normativo.

Negli ultimi anni la tecnologia di cattura e stoccaggio del carbonio (CCS) è stata molto pubblicizzata; scrive Oilprice.com. . Molte aziende energetiche e governi hanno presentato la CCS come la potenziale salvatrice del petrolio e del gas in un mondo decarbonizzato. Mentre le potenze politiche di tutto il mondo corrono per decarbonizzare le loro economie nella transizione dai combustibili fossili alle alternative verdi, la CCS è stata vista come un modo per colmare il divario nella transizione, mentre le operazioni di energia rinnovabile continuano ad espandersi. Le tecnologie CCS vengono incorporate nei progetti petroliferi e del gas per contribuire a ridurre la quantità di carbonio rilasciata nell’atmosfera, consentendo alle aziende energetiche di continuare a produrre combustibili fossili mentre la domanda globale rimane elevata. Mentre molti considerano questa mossa necessaria per mantenere la sicurezza energetica, altri ritengono che la CCS sia solo un’altra forma di greenwashing, che contribuisce a ritardare l’inevitabile passaggio al vero green.

LA TECNOLOGIA CCS PER RIDURRE LE EMISSIONI

Sia il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) che l’Agenzia internazionale per l’energia (AIE) hanno sottolineato l’importanza dell’uso della tecnologia CCS nei progetti petroliferi e del gas per la riduzione delle emissioni, una fase necessaria nella transizione verso l’energia pulita. È considerato un modo semplice per ridurre le emissioni, fornendo al contempo l’energia necessaria a soddisfare la domanda globale prima che siano in funzione progetti di energia rinnovabile sufficienti a fornire tale energia. Tuttavia, mentre si dice al pubblico che la CCS aiuterà a decarbonizzare le operazioni, ci si interroga poco sulla portata di questa tecnologia e sulla sua capacità di rimuovere efficacemente il carbonio.

IL PARERE INSODDISFATTO DEGLI ESPERTI

Gli obiettivi nazionali di decarbonizzazione e le tasse sul carbonio – continua Oilprice.com – hanno fatto pressione sulle aziende del settore petrolifero e del gas affinché cambiassero, e molte di esse hanno investito rapidamente nella tecnologia CCS per poter continuare a gestire le proprie attività a combustibile fossile. Ma ora gli esperti temono che la gente veda la CCS come un proiettile d’argento per il cambiamento climatico e che il suo uso per la decarbonizzazione sia stato molto esagerato. Un rapporto del 2022 dell’Istituto per l’Economia dell’Energia e l’Analisi Finanziaria (IEEFA) ha rivelato che i progetti CCS stanno dando risultati insufficienti, con sfide significative in termini di tecnologia e quadro normativo. L’analisi di diversi progetti ha mostrato che circa il 90% della capacità CCS proposta nel settore energetico non è stata realizzata e molti progetti non riescono a raggiungere i tassi di cattura massimi previsti.

Bruce Robertson, un autore del rapporto, in una nota ha dichiarato: “Molti organismi internazionali e governi nazionali si affidano alla cattura del carbonio nel settore dei combustibili fossili per arrivare allo zero netto, e semplicemente non funzionerà”. Ha aggiunto: “Anche se potrebbe avere un ruolo da svolgere in settori difficili da abbattere come cemento, fertilizzanti e acciaio, i risultati complessivi indicano un quadro finanziario, tecnico e di riduzione delle emissioni che continua a sopravvalutare e sottoperformare”.

CCS IN NUMERI

Nel 2019 erano in funzione 59 impianti CCS in tutto il mondo, in grado di rimuovere oltre 40 milioni di tonnellate di CO2 su base annua. Si trattava solo di una frazione del carbonio che veniva rilasciato ogni anno, pari a circa 43 miliardi di tonnellate, ovvero 1.000 volte di più. Inoltre, il costo elevato della tecnologia CCS ha a lungo scoraggiato molte aziende dall’utilizzare questo metodo di decarbonizzazione in modo più diffuso.

Nel 2022, circa il 70% dei progetti CCS ha utilizzato la CO2 catturata per sostenere la produzione di più petrolio e gas.

CCS IN ITALIA: IMPIANTO ENI A RAVENNA

Nell’ambito della CCS Eni in una nota dichiara che punta a raggiungere uno stoccaggio complessivo di circa 10 milioni di tonnellate di CO2 all’anno (MTPA) nel 2030 e una capacità lorda complessiva di 30 MTPA per poi arrivare a uno stoccaggio di circa 35 MTPA nel 2040 e di circa 50 MTPA nel 2050.

Per quanto riguarda l’Italia, Eni sta portando avanti insieme a Snam il progetto Ravenna CCS: un sito per lo storage di CO2 al largo di Ravenna. Gli Ad di Eni e Snam, Claudio Descalzi e Stefano Venier, difatti, hanno firmato un accordo per una joint venture paritetica tra le due aziende. Grazie all’impianto di Ravenna si prevede lo stoccaggio di 300-500 milioni di tonnellate di CO2. Ma dietro ad un progetto che sulla carta risulta avveniristico e risolutivo si celano pericoli di grande portata.

LE PAROLE DEL SOTTOSEGRETARIO PER LE IMPRESE E IL MADE IN ITALY

Il progetto Eni di cattura e stoccaggio di anidride carbonica, denominato CCS Ravenna fase 1 “è riferito all’esecuzione di un programma sperimentale di cattura, trasporto e stoccaggio geologico di anidride carbonica CO2, proveniente dalla centrale di Casalborsetti, per un volume pari a 25.000 tonnellate all’anno, con una durata di iniezione pari ad un massimo di due anni nel complesso di stoccaggio individuato dal livello esaurito del campo Porto Corsini mare Ovest, operante in forza della concessione rilasciata da Eni con decreto ministeriale del 18 giugno del 1998 e prorogata, con decreto ministeriale del 5 aprile 2012, fino al 1° gennaio del 2027”. È quanto ha detto, recentemente, il sottosegretario per le imprese e il made in Italy Massimo Bitonci rispondendo in Aula al Senato rispondendo a un’interrogazione.

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