Advertisement vai al contenuto principale
Pitesai

Trivelle. Michele Emiliano perde un altro ricorso, ma aveva già fatto scappare l’investitore

Michele Emiliano ha perso un altro ricorso. Stavolta alla Corte Costituzionale.

No, non parliamo di quello, passato sotto silenzio, che ha stabilito l’incompatibilità del doppio incarico magistrato e politico.

Ve ne è stato ancora un altro, sotto silenzio anch’esso. Nessun organo di stampa infatti ha passato la notizia, cosa strana per il pm governatore che ogni mattina e sera è alla ribalta sulle tv nazionali a commentare politiche e sentenze altrui, ma tace su quelle che lo riguardano.
L’ultima, pubblicata tre giorni fa, è la 146/2018 riferita all’udienza del 5 giugno scorso.
Materia del contendere è il “Giudizio per conflitto di attribuzione tra enti” cui Emiliano si era appellato ricorrendo contro il decreto Guidi del 2015 che autorizzava l’azienda Petroceltic alla ricerca di idrocarburi al largo delle Tremiti.

Solo due mesi prima sempre sulle trivelle aveva perso quello al Consiglio di Stato contro il progetto dell’azienda Spectrum.
Il ricorso contro la Petroceltic era stato presentato dalla Regione Puglia il 29 febbraio 2016 tramite l’avvocato Marcello Becchetti (lo stesso che aveva firmato il ricorso di Emiliano contro un altro decreto Renzi, la Buona Scuola).

A seguito di questo ricorso però, la Petroceltic ha rinunciato al progetto, decisione cui si è appellata la difesa dell’avvocatura di Stato dinanzi la Corte.
La qual cosa non ha fatto differenza: “Poco importa se la stessa società nei mesi scorsi ha rinunciato all’autorizzazione”, è scritto nella sentenza, per la Corte il principio alla base del ricorso è valido sempre.
Nonostante questo, il ricorso è stato rigettato.

La competenza sulle autorizzazioni delle perlustrazioni petrolifere è dello Stato. Il parere della Regione deve essere acquisito solo sulla terraferma. È questo il principio sancito dalla Consulta che ha ritenuto inammissibile il ricorso presentato dalla Regione Puglia sul conflitto di attribuzioni.
Dunque, se la Regione riteneva che la funzione di concessione del permesso di ricerca degli idrocarburi liquidi e gassosi fosse una funzione amministrativa “ascrivibile alle materie di legislazione concorrente produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia e governo del territorio” per la Corte non è così. Nella sentenza infatti i giudici ricordano che, al momento del rilascio del permesso di ricerca, vigeva il decreto ministeriale 25 marzo 2015 il quale ribadiva che permesso di ricerca è conferito con decreto del Ministero. Dunque, è scritto nella sentenza, la mancata acquisizione dell’intesa con la Regione Puglia non è frutto di una scelta compiuta dal Ministero e, sotto questo aspetto, il d.m. 22 dicembre 2015 è “meramente esecutivo di precedenti norme che escludono la necessità dell’intesa e che non sono mai state oggetto di contestazione da parte delle regioni sul punto”.
In conclusione, è stabilito che il potere decisionale della Regione arriva finché arriva la terraferma, oltrepassata questa, in alto mare, decide lo Stato.

Il progetto delle Termiti era stato presentato dalla Petroceltic nel 2006.
Solo nel 2012, allora Ministro dell’Ambiente Corrado Clini, ne diede autorizzazione. Non senza polemiche. Sicché si arenò fin quando durante il governo Renzi fu autorizzato dall’allora ministro per lo Sviluppo Federica Guidi.
A quel punto a farsi paladino della pancia del fondale marino a rischio trivelle arrivò Michele Emiliano: “le Regioni dovranno elevare subito conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato davanti alla Corte Costituzionale per alcune norme dell’emendamento natalizio che hanno scippato al popolo italiano la possibilità di esprimersi in sede referendaria sul punto di restituire o meno alla Conferenza delle Regioni il potere di decidere se e dove sia possibile trivellare a fini di ricerca petrolifera. Trivellare il nostro mare è una vergogna e una follia”. E cosi attraverso l‘avvocato Becchetti ricorse alla Consulta.
Appena presentato il ricorso, l’investitore, stanco di queste continue interruzioni giuridiche e politiche, dopo 9 anni di trafila, decise di abbandonare il progetto: “La società Petroceltic ha presentato al Mise istanza di rinuncia in merito al permesso di ricerca nel Mare Adriatico meridionale, a largo delle isole Tremiti. Essendo trascorsi 9 anni dalla presentazione dell’istanza, periodo durante il quale si è registrato un significativo cambiamento delle condizioni del mercato mondiale, Petroceltic Italia ha visto venir meno l’interesse minerario al predetto permesso. Di recente la società ha avviato un’ottimizzazione strategica, tecnica ed economica dell’intero portafoglio italiano a seguito dei ripetuti cambiamenti della normativa italiana di settore e di un’attenta analisi che la società controllante, Petroceltic International Plc, ha elaborato alla luce delle evoluzioni del mercato globale. Obiettivo del nuovo piano è l’ottimizzazione delle risorse destinate ad attività di esplorazione, al fine di concentrare gli impegni della società su specifiche opportunità di crescita a lungo termine. La compagnia dublinese, che non ha alcun pozzo già in estrazione, non rinuncia agli altri investimenti nella ricerca di giacimenti in Italia, come quelli in Piemonte nel Biellese o in Adriatico al largo del Molise”.
Come se, nello stesso mare, al largo di Emiliano, alcuni fondali fossero più blu di altri.
Il pm governatore festeggiò la decisione dell’azienda di abbandonare l’investimento: «Renzi è in trance agonistica, sta prendendo diversi pali in fronte, uno dietro l’altro, e quello delle Tremiti è il più grosso. Sono soddisfatto. Dove non era arrivato il buon senso di alcuni, è invece arrivata la saggezza della Petroceltic, che non ritiene l’operazione economicamente conveniente. Come del resto avevamo sostenuto all’epoca in cui il permesso di ricerca era stato rilasciato”.
Nonostante questo, non ritirò il ricorso. Che ora ha perso.
Nel frattempo, ha perso anche il referendum contro le trivelle.

Il progetto della Petroceltic però andava fatto. L’investimento era regolare e aveva tutte le autorizzazioni necessarie.

Ma il ricorso poi perso del pm governatore lo bloccò.
Ora rimane in piede il ricorso contro il decreto Ilva. Statistica dice che il 100% di quelli che ha presentato finora li ha persi.

E pure Mittal si allontana. Insieme a 5 miliardi investimenti in ambiente e sicurezza. E a 20 mila lavoratori.

ISCRIVITI ALLA NOSTRA NEWSLETTER

Abilita JavaScript nel browser per completare questo modulo.

Rispettiamo la tua privacy, non ti invieremo SPAM e non passiamo la tua email a Terzi

Torna su