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Turchia, Ungheria e Slovacchia: ecco i clienti NATO che finanziano la guerra di Putin con il petrolio russo

Tra i membri NATO, la Turchia è il cliente più importante di Putin. Secondo il think tank finlandese Centre for Research on Energy and Clean Air (CREA), dopo le sanzioni UE, Ankara è balzata dal 14° al 3° posto nella classifica mondiale degli acquirenti di petrolio russo, dietro solo a Cina e India.

Mentre il presidente americano Donald Trump alza la voce, chiedendo a tutti i paesi NATO di smettere di acquistare petrolio russo per non indebolire l’Alleanza, i dati rivelano una realtà complessa: Turchia, Ungheria e Slovacchia, tutti membri dell’Alleanza Atlantica, continuano a essere importanti clienti di Mosca, importando greggio e prodotti petroliferi per miliardi di euro. A questo si aggiunge un flusso “indiretto” di carburanti, come il cherosene per aerei, che arriva in Europa attraverso l’India, la quale a sua volta si approvvigiona massicciamente dalla Russia.

L’analisi su quali paesi NATO continuino a finanziare, direttamente o indirettamente, lo sforzo bellico del Cremlino arriva da diverse fonti, tra cui e le stime di Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, che fanno il paio con le recenti dichiarazioni di Donald Trump e le cronache degli attacchi ucraini alle infrastrutture energetiche russe riportate dal Corriere della Sera e La Repubblica.

TURCHIA: IL TERZO CLIENTE MONDIALE DEL GREGGIO RUSSO

Tra i membri NATO, la Turchia è il cliente più importante di Putin. Secondo il il think tank finlandese Centre for Research on Energy and Clean Air (CREA), dopo le sanzioni UE, Ankara è balzata dal 14° al 3° posto nella classifica mondiale degli acquirenti di petrolio russo, dietro solo a Cina e India. “Soltanto nei primi sei mesi del 2025”, stima Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia su La Repubblica, “la Turchia ha comprato greggio e prodotti petroliferi dalla Russia per 15,6 milioni di tonnellate”.

Il think tank finlandese ha inoltre avanzato l’ipotesi che buona parte di questo greggio venga raffinato in Turchia per poi essere riesportato verso l’Europa sotto forma di prodotto petrolifero, di fatto aggirando le sanzioni.

UNGHERIA E SLOVACCHIA: IL CORDONE OMBELICALE DELL’OLEDOTTO DRUZHBA

All’interno dell’Unione Europea, due paesi NATO continuano a ricevere greggio russo in forma diretta attraverso l’oleodotto Druzhba, grazie a deroghe ottenute nel quadro sanzionatorio. Si tratta dell’Ungheria di Viktor Orbán e della Slovacchia. Nel primo semestre 2025, hanno importato rispettivamente 2,2 milioni e 3 milioni di tonnellate di petrolio e derivati.

Fino ad aprile, a loro si aggiungeva anche la Repubblica Ceca, che però ha annunciato di aver interrotto la sua dipendenza sessantennale dal petrolio russo. Complessivamente, ha stimato Tabarelli, “questi quattro Paesi hanno finanziato la Russia per circa 10 miliardi di euro nei primi sei mesi dell’anno”.

IL CANALE INDIANO: COME IL PETROLIO RUSSO TORNA IN EUROPA (E IN ITALIA)

Oltre agli acquisti diretti, esiste una via indiretta attraverso cui il petrolio russo rientra in Europa. L’India, diventata uno dei maggiori clienti di Mosca, raffina il greggio russo e lo riesporta sotto forma di prodotti come il cherosene per aerei (jet fuel).

“Solo l’Italia”, ha stimato sempre Tabarelli, “nei primi sei mesi ha comprato jet fuel dall’India per 220.000 tonnellate, per un valore di circa 144 milioni di euro”. A livello europeo, il valore sale a circa 1,5 miliardi di euro per prodotti “originati per due terzi dalla Russia”.

LA STRATEGIA UCRAINA: COLPIRE AL CUORE L’ECONOMIA RUSSA

Nel frattempo, l’Ucraina ha intensificato la sua strategia mirata a colpire il cuore del sistema energetico russo. Attacchi con droni sempre più sofisticati hanno preso di mira raffinerie, depositi e oleodotti, causando una riduzione stimata tra il 17% e il 25% della capacità di raffinazione russa. L’obiettivo, come dichiarato dallo stesso presidente Zelensky, è chiaro: danneggiare l’industria petrolifera per “limitare la guerra in modo significativo”.

Questa campagna sta avendo effetti tangibili: il prezzo della benzina in Russia è aumentato del 17%, l’export petrolifero è diminuito del 10% e le entrate mensili sono scese da 15 a 12 miliardi di dollari.

LA PRESSIONE DI TRUMP E LE DIVISIONI EUROPEE

È in questo contesto che si inserisce la forte pressione di Donald Trump. Il presidente USA ha definito “scioccante” che alcuni alleati NATO continuino a comprare petrolio russo, minacciando al contempo dazi fino al 100% sulla Cina. Tuttavia, lo stop totale ai legami energetici con Mosca resta un nodo politico complicato per l’UE, con il premier portoghese Antonio Costa che ha accusato l’Ungheria di essere il principale ostacolo, e il ministro degli Esteri ungherese, Péter Szijjártó, che ha replicato accusando altri paesi di acquistare greggio russo “segretamente” perché più economico.

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