La bozza di riforma dei porti del viceministro Rixi prevede una nuova governance centralizzata per gli scali commerciali. Tutti i dettagli
Una nuova società in house per gestire i porti commerciali, togliendo potere alle Autorità portuali di sistema. È quanto prevede la bozza di riforma firmata dal viceministro leghista alle infrastrutture, Edoardo Rixi, che dovrebbe essere bollinata nei prossimi giorni e approvata entro la primavera. La maxi-authority di diritto privato ma a capitale pubblico avrà l’ultima parola sugli investimenti sulle principali infrastrutture marittime. Un attacco frontale alle autorità portuali, che sarebbero svuotate di gran parte delle loro mansioni.
UNA MAXI AUTHORITY PER CONTROLLARE LE ADSP
La Lega vuole soffiare la gestione dei porti commerciali alle Autorità di Sistema portuali, enti statali con sedi territoriali. Le Adsp conserveranno solo la competenza sui porti di rilevanza regionale e il compito di redigere i piani regolatori. La maggior parte del potere passerà nelle mani di Porti d’Italia, una nuova maxi-authority privata con capitale iniziale di 500 milioni. Fondi che verranno versati dal ministero dell’Economia e finanze, che avrà il controllo azionario della società in house, d’intesa con il Mit. Gli investimenti saranno decisi da accordi di programma quinquennali che la nuova autorità dovrà definire col Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Gli interventi, finanziati dallo Stato, saranno realizzati “in regime di concessione” con una durata di 99 anni.
Entro il 30 settembre di ogni anno la società in house dovrà inviare ai ministeri competenti una relazione sullo stato di attuazione del programma e di avanzamento di opere e interventi. Inoltre, Porti d’Italia sarà esclusa dall’applicazione del decreto 175/2016 sulla razionalizzazione delle spese per le società a partecipazione pubblica. È il cuore della riforma pensata dal viceministro al Mit Edoardo Rixi per “lo sviluppo e la promozione” degli scali di rilevanza nazionale e internazionale, secondo quanto riporta il Manifesto. Un’impostazione che rischia di creare conflitti di competenze, complicando le procedure.
LA LEGA SPINGE PER L’ACCENTRAMENTO DEI POTERI SUI PORTI
La società in-house dovrà occuparsi della manutenzione ordinaria e straordinaria, ma deciderà anche della “costruzione di canali marittimi, dighe foranee di difesa, darsene, bacini, banchine» e dragaggi. Ma la società potrà anche svolgere “in regime di mercato, all’estero o in Italia, attività di progettazione e realizzazione di opere infrastrutturali attinenti alle attività marittime e portuali, nonché la realizzazione di consulenze, studi, ricerche, servizi anche di ingegneria nel settore delle infrastrutture portuali”, si legge nella bozza di riforma, riportata da il Manifesto.
Inoltre, Porti d’Italia gestirà anche i rapporti fra lo Stato e le 16 Autorità portuali. Un’impostazione che mostra una chiara volontà di accentramento della gestione dei porti, un cambio di rotta rispetto a quel federalismo che la Lega ha sempre sbandierato come uno dei principi fondanti del partito.
SI AVVICINA LA PRIVATIZZAZIONE DEI PORTI?
La riforma rischia di consegnare la gestione dei porti nelle mani dei privati. Infatti, la natura giuridica di Porti d’Italia non chiude la porta all’ingresso di capitali privati, affianco a Mef e Mit. Inizialmente il cda della società in house sarà composto da cinque membri, due scelti da ogni ministero e uno espresso dal presidente del Consiglio. Ma non è da escludere un allargamento del consiglio d’amministrazione. Queste infrastrutture così strategiche per la transizione energetica e digitale saranno privatizzate?
SOSTENIBILITA’ GRANDE ASSENTE
La sostenibilità sembra il grande assente della nuova riforma dei porti ideata da Rixi. Le infrastrutture portuali “di interesse generale” e “da realizzare in via prioritaria non sono assoggettate alla procedura di valutazione ambientale strategica (Vas)”, certificazione fondamentale per assicurare che la costruzione di moli e banchine non aumenti l’erosione costiera.
La bozza di riforma non specifica neanche i piani per l’elettrificazione delle banchine e il cold ironing, limitandosi a precisare che “la pianificazione del sistema portuale deve essere rispettosa dei criteri di sostenibilità energetica e ambientale” previsti dalle norme europee. Le misure specifiche sono rinviate a un “documento di pianificazione” da varare dopo l’adozione del decreto, senza specificare però una scadenza temporale. Tematiche non certo secondarie, se pensiamo che una sola nave portacontainer inquina quanto milioni di automobili e ha i motori sempre accesi, anche durante le operazioni di carico e scarico.
LE CRITICHE DEI SINDACATI
La bozza ha suscitato le ire dei sindacati.
“Svuotare le Autorità portuali di competenze e risorse in nome di un presunto efficientamento comporterebbe un ulteriore indebolimento degli enti di governo del porto a scapito delle tutele del lavoro. Siamo contrari a ogni tipo di riforma che possa mettere in futuro a pregiudizio la natura pubblicistica delle Ap”, ha detto Uiltrasporti.
“L’istituzione di Porti d’Italia modifica l’attuale governance multilivello che si è dimostrata finora efficiente”, ha sottolineato Filt-Cgil in una nota.


