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Usa India

Usa-India: per Trump e Modi è duello sul clima ma non sull’energia

Gas e nucleare sono al centro di una fitta rete di scambi commerciali tra i due paesi. Entro il 2022 il paese asiatico ha intenzione di produrre 100 GW di energia solare, 60 GW di energia eolica, 10 GW di biomassa e 5 GW di idroelettrico. Ma ha bisogno della tecnologia occidentale

 

 

Le posizioni di Stati Uniti e India sono state spesso in contrasto sui cambiamenti climatici ma ciò non ha inciso sugli affari, in particolare nel settore energetico. Da una parte si colloca Washington che ha chiesto e chiede ancora ai paesi in via di sviluppo, di fare di più per tagliare le emissioni. Dall’altro Nuova Delhi che invita proprio gli americani, storicamente i maggiori emettitore di Co2 del globo, ad assumere un ruolo predominante nel ridurre l’anidride carbonica. Tuttavia, i due paesi, sia sotto l’ex presidente Barack Obama sia ora con Donald Trump, hanno tranquillamente realizzato numerosi accordi commerciali per migliorare il trasferimento in India di partite di gas naturale liquido e tecnologie per le centrali nucleari attraverso commesse di società americane high-tech. Il premier indiano Narendra Modi, dal canto suo, è sempre stato un grande fautore dell’energia solare. E durante la presidenza Obama si è trasformato in un convinto sostenitore dell’accordo di Parigi sul clima mentre l’ascesa del presidente Trump e il suo rifiuto ad aderire all’intesa francese, ha diviso ancora una volta le strade dei due paesi. Soprattutto perché i piani di Trump rischiano di mettere in pericolo l’impegno di 3 miliardi di dollari Usa del Green Climate Fund (GCF) assunto da Obama, rallentando di fatto la spinta dell’India ad abbracciare rapidamente le tecnologie verdi.

Il contrasto India-Usa sui cambiamenti climatici

cambiamenti climaticiIndia e Stati Uniti non sono mai stati sulla stessa lunghezza d’onda sui cambiamenti climatici. Dopo i negoziati del Protocollo di Kyoto degli anni ‘90, i diplomatici dei due paesi hanno combattuto aspre battaglie durante i vertici internazionali sui tagli alle emissioni e sui costi per entrambe le economie. Anche i recenti eventi politici hanno fatto ben poco per realizzare un terreno comune. Ad esempio, due giorni prima che il presidente Trump annunciasse il ritiro degli Usa dall’accordo di Parigi, il primo ministro indiano Modi aveva avvertito che “giocare con il benessere delle generazioni future sarebbe stato un atto immorale e criminale”, sottolineando la necessità che le nazioni del mondo – compresi gli Stati Uniti – si sarebbero dovute sforzare per proteggere l’ambiente.

Il 1 giugno scorso il presidente Trump ha invece dimostrato di non essere in linea con i richiami alla responsabilità condivisa: “La linea di fondo è che l’accordo di Parigi è molto ingiusto per gli Stati Uniti – sottolineava nel suo discorso alla White House Rose Garden –. L’India potrà raddoppiare la sua produzione di carbone entro il 2020. Pensateci. Dovremmo sbarazzarci del nostro” accordo. Insomma, dal protocollo di Kyoto, non è cambiato molto dal punto di vista diplomatico tra India e Stati Uniti: Nuova Delhi ritiene che Washington debba assumersi maggiori responsabilità essendo il più grande emettitore di Co2 al mondo (ora al secondo posto dopo la Cina), mentre gli Usa sostengono che i paesi in via di sviluppo, specialmente quelli con grandi popolazioni, come India e Cina, non si debbano sottrarre all’obbligo di ridurre le emissioni perché in tal modo godrebbero di un enorme vantaggio economico. Indipendentemente dal grado di frattura tra i due paesi, gli osservatori internazionali auspicano da tempo che vengano prese soluzioni bipartisan sul cambiamento climatico. Il forte calo dei prezzi delle energie rinnovabili, per esempio, unito ad un’intesa tra imprese e cittadini potrebbe portare a una cooperazione.

“L’energia rinnovabile diventa sempre più accessibile e questo cambia i giochi – ha dichiarato Chandra Bhushan, vicedirettore generale del Centro per la Scienza e l’ Ambiente indiano, un’organizzazione di ricerca con sede a Nuova Delhi citato dal sito Mongabay –. Il mercato sta compiendo da solo quello che con le infinite discussioni dei leader mondiali non si può ottenere”. In realtà – anche se la retorica di Trump e Modi sembra a sé stante – i rapporti nel settore energetico avvicinano i due paesi. In parole povere, l’India possiede un enorme mercato che ha bisogno di tecnologie energetiche pulite: un’esigenza che le aziende americane potrebbero soddisfare. Degli oltre 1,2 miliardi di cittadini indiani, più di 360 milioni vivono in povertà. Si prevede che la popolazione salirà a 1,45 miliardi entro il 2028, superando la Cina. Con l’aumento della popolazione e della ricchezza complessiva del paese, anche la domanda di energia aumenterà vertiginosamente.

Le sfide indiane del futuro

Di fronte all’India si pongono, dunque, una serie di sfide: mantenere alti livelli di crescita economica nonostante la popolazione in espansione e ridurre l’impronta di carbonio. Nell’ottobre del 2015 il paese ha presentato un piano a lungo termine per contrastare i cambiamenti climatici, impegnandosi a rifornirsi entro il 2030 per il 40%, di elettricità prodotta fonti rinnovabili e altre fonti a basse emissioni di carbonio. Uno dei modi per raggiungere l’obiettivo è quello di affidarsi a fonti più pulite come il gas naturale e l’energia nucleare. Ma questo significa partnership globali che includono gli Stati Uniti.

Un esempio: la Gas Authority India Limited (Gail), la più grande società statale indiana di distribuzione del gas naturale, è attualmente impegnata ad acquistare 5,8 milioni di tonnellate metriche all’anno (Mmtpa) di gas naturale liquefatto (Gnl) da un terminale statunitense, anche se a un prezzo superiore rispetto a quello che l’India potrebbe ottenere dall’Asia occidentale o dall’Africa: gli analisti ritengono, tuttavia, che i fornitori di gas statunitensi potrebbero rinegoziare il prezzo visto il potenziale del mercato indiano. Di conseguenza, il presidente Trump, pur proclamando a gran voce una rinascita del carbone statunitense, ha anche spinto per siglare contratti a lungo termine con l’India per l’acquisto di gas americano. Entro il 2020, l’India potrebbe importarne qualcosa come 50 Mmtpa. “Se il prezzo fosse giusto, in linea di principio ci sarebbe margine per ulteriori importazioni. Quasi l’88% arriva dagli Stati Uniti – ha dichiarato Arunabha Ghosh, Ceo del Consiglio per l’energia, l’ambiente e l’acqua indiano secondo quanto riporta Mongabay –. C’è potenziale per un campo di applicazione più ampio nel partenariato bilaterale sull’energia, specialmente se consideriamo anche le tecnologie nucleari”. Già nel 2008, durante l’amministrazione Bush, Washington e Nuova Delhi firmarono un accordo sul nucleare civile, ponendo fine all’isolamento dell’India nel settore. Il paese asiatico ha commissionato, infatti, dieci nuove centrali, con una capacità di generazione stimata in 7000 megawatt.

La cooperazione energetica tra India e Stati Uniti

L’avvio della cooperazione tra India e Stati Uniti per cercare soluzioni energetiche pulite non può certo essere accreditato al Presidente Trump. Da quando il primo ministro Modi ha assunto l’incarico nel maggio del 2014, ha effettuato cinque visite ufficiali negli Stati Uniti, di cui quattro durante gli anni dell’amministrazione Obama. I due avevano compiuto enormi progressi sul fronte dell’energia verde tanto che durante una conferenza stampa congiunta, Modi modificò la sua posizione sui cambiamenti climatici concordando che anche l’India dovesse ridurre le emissioni per il bene della popolazione.

Quando il Presidente Trump ha assunto la carica di presidente, il ritiro dall’accordo di Parigi ha provocato uno scossone. La maggior parte dei paesi in via di sviluppo ha accettato di ridurre le emissioni in cambio di sostegno finanziario, trasferimento tecnologico e sviluppo delle capacità da parte dei paesi sviluppati per una somma complessiva, secondo alcune stime, attorno ai 2-4 trilioni di dollari. Per conseguire le riduzioni volontarie delle emissioni previste dall’accordo parigino, l’India necessita però di modificare il proprio mix energetico passando dal carbone alle rinnovabili. Secondo una fonte governativa citata dai media, entro il 2022 dovrà produrre 100 gigawatt (GW) di energia solare, 60 GW di energia eolica, 10 GW di biomassa e 5 GW di idroelettrico. Per realizzare tale cambiamento è necessaria tuttavia, un’assistenza internazionale significativa. Per ora gli Stati Uniti si sono chiamati fuori. Il presidente Obama aveva promesso 3 miliardi di dollari (su 10,13 miliardi di dollari promessi da 43 nazioni) al Green Climate Fund, un’entità creata ai sensi della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Ma dopo il ritiro di Trump, il futuro di questi progetti sembra incerto, secondo la Banca nazionale per l’agricoltura e lo sviluppo rurale che gestisce i progetti indiani.

La pressione sull’India per agire sul clima

climaAnche prima del vertice di Parigi del dicembre 2015, l’India si era impegnata a ridurre la Co2 del 35% entro il 2030 e a sviluppare 175 GW di energia rinnovabile entro il 2022. In linea con questo programma, quest’estate il ministero indiano dell’Ambiente ha commissionato una ricerca sul disaccoppiamento delle emissioni di gas a effetto serra dalla crescita economica.

All’Istituto di ricerca sull’energia, alla Fondazione per la ricerca sugli osservatori e al Centro di studi scientifici, tecnologici e politici è stato chiesto di evidenziare i futuri scenari di crescita a basse emissioni di carbonio per il paese per presentare i risultati prima che l’accordo di Parigi entri in vigore nel 2020.

“Questi cambiamenti stanno avvenendo non per volontà politica, ma nonostante la volontà politica”, ha dichiarato Srinivas Krishnaswamy, Chief Executive Officer della Vasudha Foundation, un’organizzazione attivamente coinvolta nei negoziati sul clima dell’Onu. “Il cambiamento climatico non è mai stato un problema elettorale in India – ha spiegato -. Continuiamo a confrontarci sull’economia e il lavoro”. Questo è uno dei motivi per cui, quando Trump si è incontrato a giugno a Modi, i colloqui si sono svolti intorno ai Visti e ad altre questioni strategiche. “Modi sa che è meglio non parlare con il presidente Trump dell’ambiente”, ha dichiarato ancora Krishnaswamy. Negli ultimi anni, però, da quando l’inquinamento atmosferico a Nuova Delhi ha fatto il giro del mondo, il governo si è trovato sotto pressione. E ha fatto dei piccoli passi nella direzione dell’energia verde annullando i progetti sulle centrali a carbone. A maggio, il governo ha abbassato l’obiettivo annuale di produzione di carbone da 660 a 600 milioni di tonnellate, impegnandosi a vendere solo auto elettriche entro il 2030. Infine le rinnovabili. Quando Modi era governatore dello Stato del Gujarat ha realizzato oltre 900 MW di energia solare in tutta la regione, esprimendo il desiderio di proseguire anche nel resto del paese. Tuttavia, senza il sostegno finanziario Usa sarà difficile proseguire non solo per l’India ma anche per qualsiasi altro paese in via di sviluppo. E di questo probabilmente si parlerà già al vertice sul clima di Bonn di novembre.

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