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Istat: Da rincari prezzi energia forte rischio per l’operatività delle imprese italiane

Per l’istituto di statistica è ragionevole presumere un impatto eterogeneo sui margini di profitto delle imprese causa dell’interazione di numerosi fattori

“I rincari dei prezzi energetici, registrati già a partire dal 2021 a seguito della ripresa ciclica post pandemica e accentuatisi notevolmente in seguito all’invasione dell’Ucraina del 2022, costituiscono un elemento di forte rischio per l’operatività delle imprese italiane”. È quanto sottolinea Istat nella nota mensile sull’andamento dell’economia italiana di settembre 2022.

DIFFICILE PREVEDERE EFFETTI DELLO SHOCK

“Ad oggi, sebbene sia difficile formulare precise valutazioni quantitative sugli effetti di tale shock, è ragionevole presumere un impatto eterogeneo sui margini di profitto delle imprese causa dell’interazione di numerosi fattori – prosegue l’istituto di statistica -. In primo luogo appare rilevante il mix energetico utilizzato dalle imprese nei processi produttivi, stretta-mente legato alle caratteristiche tecnologiche prevalenti per la produzione di beni e servizi: alla luce degli andamenti di prezzo molto eterogenei, con incrementi enormi per il gas naturale e l’elettricità, più contenuti, seppur considerevoli, per benzina, gasolio, olii combustibili, l’impatto complessivo dei rincari sulle singole imprese dipenderà in larga misura dal grado di utilizzo relativo delle diverse fonti”.

RISCHI ALLA REDDITIVITA’

In secondo luogo, “risulterà cruciale la capacità (o la possibilità) individuale di trasferire a valle, sui prezzi di vendita, la crescita dei costi. Il perdurare nei prossimi mesi di livelli dei prezzi energetici così elevati determinerebbe l’accentuazione dei rischi, già oggi osservabili, sulla redditività, costituendo un elemento di forte preoccupazione per la tenuta del sistema produttivo e dell’occupazione”, ha proseguito Istat.

POSSIBILE MOL NEGATIVO PER OLTRE 350 MILA IMPRESE

Da una prima stima del numero di imprese che potrebbero registrare margini di profitto negativi a seguito degli incrementi dei costi energetici, Istat evidenzia che “nel 2019, l’incremento dei prezzi dei beni energetici avrebbe determinato un Mol negativo per oltre 355mila imprese, pari all’8,2% del complesso del sistema produttivo; di queste, oltre 307mila nel comparto dei servizi (9,1%), 47.600 circa nell’industria (5,4%), per un totale di 3,4 milioni di addetti coinvolti (20,1%; oltre 2,5 milioni nei servizi, più di 85mila nell’industria). Non si tratterebbe, peraltro, di imprese di dimensioni trascurabili: nel 2019 tali unità impiegavano in media 17,9 e 8,3 addetti rispettivamente nell’industria e nei servizi, con dimensioni medie superiori di 3 e 2,4 volte alle rispettive medie di comparto”.

L’INDUSTRIA È QUELLA CHE SOFFRE DI PIU’

“In alcune attività la diffusione del fenomeno è considerevole”, osserva Istat. “Nell’industria, i primi sette presentano una elevata quota di imprese con margini negativi: dal 57,9% della carta al 41,7% della metallurgia.
Anche nei settori di minore dimensione (coke e raffinati, acqua) la quota di imprese con Mol negativo rappresenterebbe comunque oltre il 50% del totale del comparto. Nel tessile l’incidenza sarebbe notevolmente più bassa (21,2%) ma la quota di addetti delle imprese che registrerebbero profitti negativi appare ragguardevole (41,5%). Quest’ultimo comparto, insieme a quello degli alimentari, inoltre, non risulta tra i primi dieci per peso degli acquisti di materie prime energetiche sui costi intermedi. Nei servizi, i primi 9 settori riportati nella tavola presentano una quota di imprese con Mol negativo inferiore rispetto ai primi 9 comparti industriali; tuttavia l’aspetto occupazionale risulta comunque rilevante (quasi ovunque superiore a un terzo del totale)”.

Pertanto, “anche in un periodo ancora non interessato dai due shock esogeni della pandemia di Covid-19 e dalla invasione dell’Ucraina da parte della Russia, i fortissimi rincari delle materie prime energetiche avrebbero avuto un impatto esteso e significativo sui margini di profitto delle imprese italiane. In alcuni dei settori industriali nei quali le spese energetiche pesano in misura più elevata sui costi intermedi, tali aumenti potrebbero rappresentare un serio rischio per la capacità operativa di oltre la metà delle imprese; un fenomeno che non rimarrebbe confinato alle classi delle micro e piccole imprese (rispettivamente 1-9 e 10-49 addetti)”.

GLI AUMENTI DEI COSTI ENERGETICI INCIDE SULL’INFLAZIONE

Per quanto riguarda invece i prezzi più in generale, “a settembre, l’inflazione ha continuato ad accelerare. In base alla stima preliminare, la variazione tendenziale dell’indice per l’intera collettività (NIC) è stata pari all’8,9% (+8,4% il mese precedente)”, ha evidenziato l’istituto di statistica. ”Anche l’inflazione acquisita per il 2022 è aumentata sia per l’indice generale (7,1% a settembre da 7% a agosto) sia per quello al netto degli energetici (3,9% a settembre da 3,8% a agosto), confermando la diffusione del fenomeno inflativo soprattutto tra i beni alimentari e gli altri beni di consumo”.

“I beni energetici mostrano, nello stesso periodo, un lieve rallentamento (44,5 da 44,9% di agosto) dovuto sia ai prezzi degli energetici non regolamentati sia a quelli dei beni energetici regolamentati, entrambi influenzati degli effetti delle politiche di contenimento. La dinamica inflativa dei beni alimentari ha mostrato a settembre una ulteriore accelerazione (11,5% da 10,1% del mese precedente) ma il rialzo dell’inflazione ha interessato anche gli altri beni (4% da 3,5%) e quelli non durevoli (4,7% da 3,8%). I servizi hanno mostrato, invece, una sostanziale stabilità mentre i prezzi dei trasporti hanno continuato a decelerare (7,2% da 8,4% di agosto)” ha rilevato Istat.

CARRELLO DELLA SPESA IN DECISO RIALZO

A settembre, il “carrello della spesa”, sintesi dei prezzi dei beni alimentari per la cura della casa e della persona, “ha segnato un deciso rialzo (11,1% da 9,6% del mese precedente), così come l’inflazione di fondo al net-to degli energetici e degli alimentari freschi (5,0% da 4,4%). Nello stesso mese, l’indice IPCA ha segnato un incremento tendenziale pari al 9,5%. Il differenziale per l’indice armonizzato dei prezzi al consumo tra Italia e area euro è rimasto negativo e si è ampliato rispetto al mese precedente portandosi a 5 decimi di punto, caratterizzato dalla minore accelerazione rispetto alla media dell’area dei prezzi degli alimentari e degli altri beni”.

AMPIE FLUTTUAZIONI DA PREZZI IMPORT PETROLIO E GAS

Per quanto riguarda l’andamento tendenziale dei prezzi all’importazione di petrolio e gas, quest’ultimo “ha segnato ampie fluttuazioni dall’inizio del 2022 e nei mesi estivi, quando il prezzo del petrolio ha riportato una decelerazione in luglio, con effetti sui prezzi al consumo della componente energia dell’indice IPCA. Ad agosto è proseguita la crescita per i prezzi alla produzione del mercato interno (+50,5% la variazione tendenziale) spinti in prevalenza dai prezzi degli energetici. Anche il raggruppamento dei beni di consumo ha riportato un ulteriore rialzo dei prezzi (+10,4% ad agosto in termini tendenziali). La diffusione del processo inflazionistico appare influenzare anche le aspettative sui prezzi di imprese e fami-glie che hanno mostrato un aumento a settembre”, ha concluso Istat.

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